Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 29-03-2011) 21-07-2011, n. 29188 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Il 4 ottobre 2010 il Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame ai sensi dell’art. 309 c.p.p., rigettava l’istanza proposta da D.M.G. e L.M. avverso l’ordinanza con la quale il GIP della stessa sede giudiziaria, il precedente 29 giugno, aveva applicato nei loro confronti la misura della custodia cautelare in carcere, perchè gravemente indiziate, la prima, del reato di cui alla L. n. 356 del 1992, art. 12 quinquies, aggravato dalla L. n. 203 del 1991, art. 7, perchè ritenuta fittizia titolare dell’omonimo vapoforno gestito insieme a C.L. ma in realtà riconducibile a C.C., e, la seconda, del reato di cui all’art. 416 bis c.p. perchè ritenuta partecipe del sodalizio criminale promosso e diretto dal marito C.C., operante nel territorio di (OMISSIS).

1.2 A sostegno della decisione impugnata il Tribunale, dopo aver premesso cenni sulla operatività del clan malavitoso Crimaldi, dedotto da precedenti giudiziali, dichiarazioni di collaboratori, accertamenti di P.G., esiti di intercettazioni telefoniche ed ambientali, con riferimento a L.M. evidenziava, in particolare, che:

– le intercettazioni in carcere dei suoi colloqui con il marito ed altri familiari comprovavano la piena partecipazione dell’indagata alle attività illecite del clan capeggiato dal coniuge;

– la stessa era a conoscenza di ogni vicenda del clan;

– informava a tal fine il coniuge ed interloquiva sull’imposizione di dipendenti alle ditte locali e sugli stipendi ai sodali detenuti;

– si faceva portavoce del marito per la soluzione di conflitti interni al clan e dei minacciosi proponimenti del marito ed accompagnava la persona incaricata di risolverlo ( L.T.G.) presso D.F.P.;

– dava conto al marito dell’assolvimento degli incarichi ricevuti;

– da tutto ciò doveva dedursi l’elevato grado di intraneità dell’indagata nel clan di famiglia.

1.3 A carico di D.M.G. ed a sostegno della decisione adottata il tribunale osservava che:

– in base agli elementi acquisiti era la fittizia titolare del "Vapoforno Antico di D.M.G." per conto del capo clan C.C.;

– partecipava ai colloqui in carcere tra quest’ultimo ed i suoi familiari;

– l’assunto accusatorio trovava piena conferma nelle intercettazioni ambientali in carcere, dalle quali si deduceva l’interesse pieno e diretto del C. alla gestione dell’azienda detta;

– in particolare il C. si interessava del volume di affari, di contrastare eventuali concorrenti, era certo destinatario degli utili, usava l’espressione "il nostro forno", era immediatamente informato di eventuali problemi nella gestione aziendale;

– la D. si proponeva come mera esecutrice di ordini, senza alcuna iniziativa gestionale nell’impresa di cui pure appariva la titolare;

– il ruolo dell’indagata giovava oggettivamente all’intero sodalizio malavitoso.

2. Ricorrono per l’annullamento dell’impugnata ordinanza entrambe le indagate, per mezzo del difensore di fiducia, lamentandone l’illegittimità. 2.1 Nell’interesse di D.M.G. lamenta la difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento agli artt. 266, 268 e 271 c.p.p., in particolare osservando che:

– a carico dell’indagata il Tribunale ha richiamato esclusivamente le intercettazioni ambientali, da ritenere però inutilizzabili perchè assunte in violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3;

– le intercettazioni infatti sono state eseguite presso la sala d’ascolto del carcere di (OMISSIS) in assenza di decreti motivati quanto alla impossibilità di utilizzare gli impianti della Procura della Repubblica;

– la motivazione giustificativa della deroga alla regola appena detta, fondata su "eccezionali ragioni di urgenza", è del tutto inesistente, come dimostrato dalla circostanza che, all’esito degli ascolti, non vi è stata alcuna delle attività di indagine prefigurate nella impugnata motivazione;

– alle eccezioni difensive il Tribunale non ha dato risposta alcuna;

– nessun collaboratore di giustizia ha mai fatto il nome dell’indagata;

– la D. è incensurata e non sono provate frequentazioni con altri consociati;

– l’indagata ha avuto un trattamento cautelare del tutto diverso da quello riservato ad A.I. e L.A., pure interessate, al suo pari, nelle gestioni del Vapoforno e dell’impresa di pompe funebri, ma lasciate indenni da provvedimenti restrittivi;

– non v’è prova dell’assunto accusatorio che i soci del vapoforno e quelli dell’impresa di pompe funebri fossero privi di patrimoni personali, ma tale circostanza risulta apoditticamente affermata nell’ordinanza impugnata;

– è invece provato che tutti i soci acquistarono le quote ed i beni strumentali necessari all’esercizio delle due imprese dette contraendo mutui bancari;

– lo stesso C. ha ammesso nel suo interrogatorio la propria partecipazione prò quota in almeno una delle due imprese dette (quella per cerimonie funebri) e sono accertate iniziative imprenditoriali di C.L., marito di A. I. amministratrice dell’impresa;

– lo stesso C.C. è socio alla luce del sole del Vapoforno attraverso le quote intestate alla moglie;

– la D. è persona anziana e malata, è incensurata, non ha coinvolgimenti malavitosi di nessun tipo, non ha autonome capacità criminali, di guisa che insussistenti appaiono a suo carico esigenze cautelari anche di minimo spessore.

2.2 Anche nell’interesse di L.M. lamenta la difesa ricorrente violazione di legge e difetto di motivazione in riferimento agli artt. 266, 268 e 271 c.p.p., in particolare osservando che:

– anche per la L. valgono le eccezioni pregiudiziali in ordine alla inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali in suo danno richiamate dai giudicanti di merito;

– il quadro indiziario utilizzato a carico dell’indagata è inficiato da ripetuti travisamenti;

– travisate risulta essere state le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia M. e D.P.;

– per M. vanno in primo luogo sottolineate la ragione dell’odio che lo divide dal C., dal medesimo accusato apertamente di essere stato il mandante dell’omicidio del padre, alla cui vendetta il M. ha dedicato ormai la sua vita;

– le dichiarazioni del M. non sono pertanto attendibili;

– D.P. invece parla di altro rispetto alle vicende di interesse diretto del C.;

– il C. risulta già condannato e questo comprova l’interruzione della permanenza della condotta associativa;

– anche le intercettazioni ambientali appaiono all’evidenza travisate nel loro reale significato, dappoichè le disposizioni impartite dal C. riguardano soltanto la gestione dell’impresa di pompe funebri, come quando parla, con la moglie socia effettiva nell’impresa, dei salari da erogare ai dipendenti della ditta e non certo, come equivocato dal tribunale e dal GIP, a sodali dell’associazione malavitosa ormai in disarmo dopo le condanne del capo;

– il giudizio circa l’intraneità dell’indagata nel clan che si assume capeggiato dal marito si fonda sulle intercettazioni per le quali rimane ferma l’eccezione di inutilizzabilità.

Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto nell’interesse di L.M. è infondato.

1.1 Le eccezioni relative alla utilizzabilità delle intercettazioni ambientali, per violazione dell’art. 268 c.p.p., comma 3, sono prive di fondamento.

Per la verità le censure sembrerebbero appuntarsi su vizi piuttosto che sulla assenza della motivazione dei decreti censurati. Occorre dunque ricordare che sin da S.U., n. 17 del 21/6/2000, Primavera (nello stesso senso S.U. n. 45189 del 17.11.2004, Esposito e le successive) è principio consolidato che solo la mancanza – tale dovendosi intendere anche la mera apparenza o l’assoluta incongruità – della motivazione dei decreti che autorizzano o prorogano le operazioni di intercettazioni comporta rinutilizzabilità dei risultati delle operazioni captative. Mentre il difetto della motivazione – che si ha allorchè questa sia incompleta, insufficiente, non perfettamente adeguata, affetta da vizi che non negano, nè compromettono la giustificazione, ma la rendono non puntuale – è emendabile dal giudice cui la doglianza venga prospettata – ovverosia dal giudice del merito che deve utilizzare i risultati delle intercettazioni o dal giudice dell’impugnazione nella fase di merito o in quella di legittimità – e, non costituendo diretta violazione del precetto dell’art. 15 Cost., non conduce all’inutilizzabilità patologica delle captazioni. E’ ad ogni buon conto da rilevare, quanto all’inidoneità degli impianti installati presso la Procura, correttamente i giudici di merito hanno ritenuto congrua la motivazione dei decreti, basata soprattutto sul rilievo che la struttura carceraria rendeva impossibile, per fatto strutturale dipendente da ragioni di sicurezza, l’allaccio ad una sala esterna. La motivazione dunque non solo esiste ma è anche chiara e puntuale; nè risulta, quanto alla validità dei presupposti fattuali indicati, specificamente contestata.

Quanto alla motivazione sulle ragioni d’urgenza alla stessa danno corpo adeguato i riferimenti alle attività criminose in atto, riferibili all’associazione di stampo mafioso o ad essa comunque collegabili. D’altronde, la giurisprudenza di questa Corte è univoca nell’affermare che la sussistenza di eccezionali ragioni di urgenza può sicuramente desumersi dall’intero contesto motivazionale costituito dal provvedimento autorizzativo e dal riferimento in esso contenuto, anche per implicito, alle note di Polizia relative alla esistenza di attività delittuose in corso (Sez. 5, Sentenza n. 36090 del 27/09/2006, Santangelo). In linea con tale criterio si sono espresse altresì le Sezioni Unite con le sentenze del 31.10.2201, n. 32, Policastro; del 26.11.2003, n. 919 – anno dep. 2004 -, Gatto (nel senso della sufficienza dell’espressione "visto il decreto del G.I.P.", da intendersi quale rinvio al passo del decreto autorizzativo nel quale si esplicitava l’esistenza di una "situazione in atto di svolgimento dell’attività organizzativa dei reati fine dell’associazione"); del 29.11.2005, n. 2737, Campenni; del 12/07/2007, n. 30347, Aguneche (che anche con riferimento a tale aspetto ha richiamato le precedenti).

La circostanza che, poi, nessun intervento immediato (di Polizia o dell’Autorità giudiziaria) sarebbe stato – assertivamente – posto in essere, risulta – anche a superare la genericità della deduzione – del tutto priva di rilievo, trattandosi di mero post-fatto.

1.2 Ciò premesso e venendo alle censure relative alla gravità indiziaria, giova rammentare che, ai fini dell’emissione di una misura cautelare personale, per "gravi indizi di colpevolezza" ex art. 273 c.p.p., devono intendersi tutti quegli elementi a carico, di natura logica o rappresentativa, che, contenendo in nuce tutti o soltanto alcuni degli elementi strutturali della corrispondente prova, non valgono di per sè a provare oltre ogni dubbio la responsabilità dell’indagato ai fini della pronuncia di una sentenza di condanna, e tuttavia consentono, per la loro consistenza, di prevedere che, attraverso il prosieguo delle indagini, saranno idonei a dimostrare tale responsabilità, fondando nel frattempo una qualificata probabilità di colpevolezza (principio ampiamente consolidato; tra le tante: Cass., Sez. 6, 06/07/2004, n.35671).

3.3 Dando ora applicazione agli esposti principi generali, osserva il Collegio che, nel caso in esame, la motivazione impugnata si appalesa sufficientemente esaustiva e coerente con le regole della logica giuridica.

Richiamano infatti i giudici territoriali, innanzitutto, la certezza della attuale operatività di una cosca malavitosa di tipo camorristico operante in (OMISSIS) e capeggiata dal marito dell’indagata (copiosamente richiamando dichiarazioni collaborative, esiti giudiziali, intercettazioni ed attività di indagine) ed in questo quadro collocano le intercettazioni ambientali eseguite nel corso degli incontri in carcere tra il C., la moglie ed altri familiari e sodali per dedurre una serie di circostanze, quelle elencate nella premessa "in fatto" del presente provvedimento, di sicura significatività quanto all’accusa di partecipazione associativa.

1.4 Oppone all’argomentare del Tribunale, la difesa ricorrente, una serie di rilievi, anch’essi riportati nel "fatto", ai quali non può che riconoscersi una palese valenza di merito, giacchè volti, all’evidenza, a fornire letture alternative, rispetto a quelle accreditate dal tribunale, di elementi indiziali, aspetti e circostanze fattuali. Mentre gli asseriti travisamenti non riguardando i dati significanti, ma il loro, si risolvono in realtà nella inammissibile richiesta di accreditare una (per molti versi anche ipotetica) differente lettura dei colloqui tra l’indagata ed il marito. Giova qui pertanto ribadire che la funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici.

Ebbene, nessuna censura di illogicità argomentativa appare opponibile alla motivazione del tribunale come innanzi sintetizzata.

2. Va invece accolto, ancorchè parzialmente e con esclusivo riferimento alla ritenuta sussistenza, nello specifico, delle esigenze cautelari, il ricorso proposto nell’interesse di D. M.G..

2.1 Quanto alle eccezioni processuali relative alla utilizzabilità delle intercettazioni ambientali dei colloqui intercorsi tra l’indagata e C.L., per esse valgono le medesime osservazioni svolte a proposito delle analoghe doglianze della ricorrente L. (par. 1.1 che precede).

2.2 Infondate appaiono anche le doglianze relative alla gravità indiziaria a carico della D., apparendo di oggettiva significatività – ancorchè nei limiti propri della presente fase di cognizione cautelare e ferma restando la necessità di approfondimenti probatori – il colloquio intercettato in carcere tra C.L. e l’indagata, logicamente utilizzato dal giudice a quo sia per ritenere provati rapporti di stretta collaborazione tra i due, sia per dedurre l’interesse diretto del C. nell’impresa commerciale condotta e gestita dall’indagata.

2.3. Del tutto inadeguata è invece la motivazione in punto di esigenze cautelari.

Le argomentazioni sinteticamente utilizzate dal Tribunale per escludere l’insussistenza in concreto di pericoli risultano unitariamente riferite sia alla L. sia alla D., nonostante la palese diversità di ruoli, di funzioni, di condotte considerate. Mentre appare francamente illogico e giuridicamente errato valutare indistintamente "i fatti ascritti alle ricorrenti" come "particolarmente gravi", senza considerare che a carico della L. si procede per l’imputazione di associazione per delinquere di stampo mafioso e che a carico della D. il reato contestato è invece soltanto quello di interposizione fittizia di persona nella gestione di un Vapoforno nel quale, comunque, è indubbio (stando a quanto riferisce lo stesso provvedimento impugnato) che l’indagata svolgeva attività lavorativa, potendo legittimamente vantare anche una qualche pretesa dominicale. Del pari apodittico appare per conseguenza il parallelismo instaurato nel tratteggiare un’analoga personalità delle ricorrenti (ancora unitariamente considerate), deducendola da fatti la cui sostanziale diversità criminale è in re ispa (un progetto di gambizzazione per la L. e la "consapevolezza del contributo fornito non solo al capoclan ma all’intero sodalizio" per la D., là dove, come detto, il ruolo della D. contiene profili di indiscusso interesse personale insieme a quello di cui all’imputazione).

Risulta del tutto omessa, infine, la considerazione della avanzata età dell’indagata, ormai ai limiti di una disciplina di favore opportunamente introdotta dal legislatore in costanza di indagati ultrasettantenni.

E se è circostanza indubbia che la D. (nata nel (OMISSIS)) ha (OMISSIS) anni di età e non ancora (OMISSIS), è altrettanto doveroso considerare che non può l’interprete non ritenere la significatività, ai fini del giudizio cautelare, di una circostanza, quella dell’età avanzata, appunto ormai ai limiti di una regolamentazione di favore, che il legislatore sempre più di frequente ha deciso di assumere a fattore decisivo per normative in materia di ordine pubblico giustificative di più contenuti rigori.

Di qui la regola giuridica che la Corte ritiene di affermare nel caso in esame, che l’età assai avanzata dell’indagato, benchè non ancora ultresettantenne, deve necessariamente entrare nella valutazione richiesta dagli artt. 274 e 275 c.p.p., imponendo, in costanza di fattispecie riferibili alla particolare disciplina di cui al comma 3 di tale ultima norma, quantomeno una più rigorosa giustificazione della impossibilità di escludere la sussistenza in concreto di specifiche esigenze cautelari.

3. Alla stregua delle esposte argomentazioni, il ricorso della L. deve essere rigettato, e la stessa deve essere condannata, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali. L’ordinanza impugnata deve essere invece annullata nei confronti della D. limitatamente al punto relativo alla sussistenza delle esigenze cautelari, con rinvio al giudice territoriale per un nuovo esame sul punto; nel resto il ricorso della D. dovendo essere rigettato.

P.Q.M.

La Corte, annulla l’ordinanza impugnata nei confronti di D. M.G. limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso della D..

Rigetta il ricorso della L..

Condanna L.M. al pagamento delle spese processuali.

DISPONE trasmettersi a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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