Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-12-2011, n. 26866 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

I.S. chiede l’annullamento della sentenza della Corte d’appello di Salerno, pubblicata il 6 novembre 2006, che ha confermato la decisione con la quale il Tribunale di quella medesima città aveva respinto il suo ricorso volto a far dichiarare la nullità del termine apposto al contratto a tempo determinato stipulato con Poste italiane spa il 30 aprile 2002, con scadenza 30 giugno 2002, per esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo anche un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi 17, 18 e 23 ottobre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002".

Il ricorso si articola in tre motivi.

Poste italiane si è difesa con controricorso.

La ricorrente ha depositato una memoria.

Con il primo motivo si denunzia "violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia".

Il motivo si conclude con i seguente quesiti di diritto, denominati principi di diritto:

"è configurarle la illegittimità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato quando non è menzionata la causa della sostituzione e/o le ragioni oggettive e soggettive di lavoro, che avrebbe giustificato l’assunzione a termine, che presuppone la temporaneità della occasione di lavoro".

"Incombe sul datore di lavoro che sostiene in giudizio di aver rispettato il limite percentuale per le assunzioni a tempo indeterminato rispetto a quelle a tempo indeterminato l’onere di provare le circostanze atte a dimostrare con certezza il mancato superamento del suddetto termine".

Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 25 ccnl del 11 gennaio 2001, nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia.

Anche in questo caso i quesiti riproducono i principi di cui al primo motivo, relativi alla illegittimità di un contratto a termine in cui manchi la specificazione della causale e al fatto che incombe su datore di lavoro l’onere della prova del mancato superamento del limite percentuale in questo caso previsto dall’art. 25 ccnl cit. Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 368 del 2001, art. 1 e insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia.

I relativi quesiti concernono, ancora una volta, la mancanza di specificazione causale, nonchè l’onere del datore di lavoro di provare l’adibizione del lavoratore a strutture, luogo, settore e mansioni per le quali è stato assunto.

Il ricorso non è fondato.

In primo luogo lo stesso è aspecifico. Denunzia la violazione di norme di legge e di contratto succedutesi nel tempo, senza precisare quale delle norme che si assumono violate era quella applicabile al rapporto e quindi quale doveva essere applicata ed è stata violata.

In secondo luogo, il ricorso pone (con il secondo quesito del primo e del secondo motivo) una questione di onere della prova di una circostanza specifica, il mancato superamento del limite percentuale previsto per i contratti a termine, senza spiegare se, in che sede, ed in quali termini aveva posto tale questione al giudice. Il ricorso sul punto viola il principio di autosufficienza.

Quanto alla adeguatezza e specificità della causale giustificatrice del ricorso al contratto a tempo determinato, il ricorso è infondato per le ragioni esposte in cause analoghe relative a contratti in cui, come in questo caso, la causale è stata individuata mediante il richiamo ad alcuni accordi collettivi espressamente indicati nel contratto individuale (Cass. 1 febbraio 2010, n. 2279 ha affermato il principio di diritto per cui è possibile trarre la specificazione della causale del termine dagli accordi collettivi richiamati dal contratto di lavoro. La fattispecie esaminata era la stessa di quella oggetto del presente giudizio, si trattava di un contratto a termine stipulato tra Poste italiane spa ed un dipendente con la seguente causale: esigenze tecniche, organizzative e produttive, anche di carattere straordinario, conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo anche un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi 17, 18 e 23 ottobre 2001, 11 gennaio, 13 febbraio e 17 aprile 2002").

Infondato è poi il motivo con il quale si assume che Poste italiane avrebbe omesso di provare l’adibizione del lavoratore a strutture, luogo, settore e mansioni per le quali è stato assunto. Nel ricorso per cassazione non si precisa se ed in che termini, la lavoratrice nel suo ricorso introduttivo del giudizio aveva allegato di essere stata adibita a strutture, luogo, settore e mansioni diverse da quelle indicate nel contratto di assunzione.

Infine, le censure concernenti i vizi di motivazione sono formulate in modo inammissibile, perchè il testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, applicabile ratione temporis è quello introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 che impone di indicare il fatto controverso e decisivo per il giudizio sul quale la motivazione sarebbe omessa, insufficiente o contraddittoria.

La ricorrente, da un lato,non ha precisato per quale di questi vizi censura la decisione (una motivazione non può al tempo stesso mancare ed essere insufficiente o contraddittoria e i concetti di mancanza, insufficienza e contraddittorietà sono diversi tra loro e nel ricorso è necessario spiegare quale censura viene specificamente formulata, oltre che perchè), dall’altro non ha specificato qual è il fatto su cui la motivazione è viziata, limitandosi a parlare genericamente di punti controversi (questa Corte ha costantemente affermato: "11 motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il "fatto" controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per "fatto" non una "questione" o un "punto" della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo.".

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato. Le spese, per legge, devono essere poste a carico della parte che perde il giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione alla società controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 40,00, nonchè 2.500,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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