Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 14-12-2011, n. 26862 Indennità o rendita

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 28/1/99 il Pretore del lavoro di Teramo accolse la domanda proposta da M.R. nei confronti dell’Inail e condannò quest’ultimo alla corresponsione della rendita per inabilità permanente relativa a malattia professionale a decorrere dalla domanda amministrativa del 20/11/91. A seguito di appello dell’Inaii il Tribunale di Teramo emise sentenza in data 1/3/04 con la quale respinse il gravame.

Con sentenza n. 10212 del 4/5/2007, la Corte di Cassazione, accogliendo il secondo motivo del ricorso avanzato dall’Inail, cassò la sentenza del Tribunale di Teramo e rimise le parti davanti alla Corte d’appello degli Abruzzi L’Aquila. Una volta riassunto il procedimento la suddetta Corte d’appello, con sentenza del 25/9 – 13/10/08, accolse l’originaria impugnazione dell’Inail e, in riforma della sentenza del Pretore di Teramo, rigettò la domanda del M., compensando le spese di tutti i gradi del giudizio, dopo aver rilevato l’inammissibilità delle prove articolate da quest’ultimo in sede di giudizio di rinvio e la mancata dimostrazione del nesso causale tra la lamentata malattia e l’attività lavorativa svolta. Per la cassazione della sentenza propone ricorso il M., il quale affida l’impugnazione ad un unico motivo di censura. Resiste con controricorso l’Inail. Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

Nel censurare l’impugnata decisione per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c., il ricorrente sostiene che nel caso in cui, come quello attuale, la sentenza di annullamento della suprema Corte abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, oltre che per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, la "potestas iudicandi" del giudice del rinvio non debba limitarsi all’applicazione del principio di diritto enunciato nella sentenza rescindente, ma possa essere allargata alla valutazione "ex novo" dei fatti già facenti parte del processo, nonchè alla valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di legittimità e sempre nel rispetto delle preclusioni e delle decadenze. Ne consegue, secondo il ricorrente, che nel caso in esame il giudice d’appello avrebbe dovuto ammettere le nuove prove chieste a sostegno dell’originario ricorso, atteso che nella perizia medico-legale resa dal consulente di parte dott. Mo.Ma. in sede di rinvio era stata ampiamente dimostrata l’eziologia professionale della malattia denunciata in diagnosi ed un tale esito peritale avrebbe potuto trovare riscontri attraverso prove documentali, testimoniali e consulenza d’ufficio.

Da parte sua la difesa dell’Istituto assicuratore eccepisce che la Corte di Cassazione aveva già rilevato che non era stata offerta dal M. la prova circa il nesso eziologico tra la prestazione lavorativa resa in qualità di dirigente medico e l’insorgenza della malattia denunciata, per cui nel dettare il principio di diritto al quale la Corte d’appello avrebbe dovuto uniformarsi aveva inteso riferirsi alle norme processuali del rito del lavoro che regolano l’onere probatorio e le relative preclusioni e decadenze; quindi, bene aveva fatto la Corte di merito a non consentire l’acquisizione di nuove prove orali e documentali, essendo quello di rinvio un giudizio tipicamente "chiuso". Il ricorso è infondato.

Invero, contrariamente all’assunto difensivo del ricorrente, non risulta che la Corte di merito si sia discostata dai principi ispiratori della norma di cui all’art. 394 c.p.c. sul giudizio di rinvio nel momento in cui ha recepito esattamente le direttive della sentenza rescindente di questa Corte.

Infatti, nella sentenza n. 10212 del 4/5/2007 della Corte di legittimità si è chiaramente posta l’attenzione sul fatto che non era stata raggiunta, nè tantomeno offertala prova sulla sussistenza del nesso causale tra la prestazione lavorativa di dirigente medico svolta dal M. e l’insorgenza della malattia professionale non tabellata(dalla quale il medesimo aveva dichiarato di essere affetto. In effetti, il giudice d’appello ha rilevato la tardività e, quindi, l’inammissibilità proprio delle prove articolate nella stessa sede del giudizio di rinvio, vale a dire la prova per testi sui capitoli 1/7 e la produzione dei documenti sub nn. 1/22, ad esclusione di quelli dei precedenti giudizi di giudizio.

Orbene, come questa Corte ha già avuto modo di statuire (Cass. sez. lav. n. 15367 del 9/8/2004) "il principio secondo cui nel giudizio di rinvio è alle parti preclusa (con l’eccezione espressamente prevista del giuramento) ogni possibilità di nuove prove, nonchè di conclusioni diverse, intese nell’ampio senso di nuove attività assertive o probatorie ed anche di nuove produzioni documentali, trova applicazione anche nel rito del lavoro, rimanendo esclusa la possibilità di invocare in contrario i poteri officiosi del giudice (di cui all’art. 421 cod. proc. civ.), e segnatamente quelli del giudice d’appello (di cui all’art. 437 cod. proc. civ.), atteso che tali poteri riguardano il processo del lavoro limitatamente ai primi due gradi del giudizio e non si estendono anche al grado di cassazione del quale il giudizio di rinvio costituisce uno stadio." (v. in senso conforme anche Cass. sez. lav. n. 2382 del 19/2/2001).

Nè il giudice d’appello era tenuto ad espletare una nuova consulenza medicolegale, secondo quanto preteso dall’odierno ricorrente, dal momento che nell’ambito del giudizio di rinvio il medesimo giudicante ha tenuto conto dell’esito di quella già svolta d’ufficio, pervenendo a spiegare, con argomentazioni immuni da rilievi di carattere logico-giuridico, che dalla stessa non era emersa la sussistenza del nesso causale tra la malattia denunziata e l’attività lavorativa svolta. Inoltre, va osservato che non si era in presenza di fatti sopravvenuti, non potendo annoverarsi tra questi la consulenza di parte, il cui insorgere avrebbe potuto rendere necessario in sede di rinvio un rinnovo delle operazioni peritali.

Si è, infatti, avuto modo di precisare (Cass. Sez. 2, n. 21587 del 12/10/2009) che "nonostante il giudizio di rinvio conseguente a pronuncia di annullamento da parte della Corte di cassazione si atteggi come un giudizio "chiuso", nel quale, a norma dell’art. 394 cod. proc. civ., non è ammessa la produzione di nuovi documenti, tale divieto non trova applicazione qualora fatti sopravvenuti o la stessa sentenza di cassazione rendano necessaria un’ulteriore attività del genere". In ogni caso, il giudice d’appello ha adeguatamente esposto le ragioni del convincimento sulla insussistenza del nesso causale tra la malattia denunziata e l’attività lavorativa svolta dal ricorrente, mutuandole dall’esito della relazione medico-legale d’ufficio precedentemente eseguita, dopo aver evidenziato l’insufficienza del mero rilievo per il quale l’assicurato aveva rivestito, con conseguente stress, funzioni sempre più importanti in svariati settori della sua professione di dirigente medico.

E’, infatti, da considerare che "nel giudizio di rinvio, configurato dall’art. 394 cod. proc. civ. quale giudizio ad istruzione sostanzialmente chiusa, in cui è preclusa la formulazione di nuove conclusioni e, quindi, la proposizione di nuove domande o eccezioni e la richiesta di nuove prove, i limiti all’ammissione delle prove concernono l’attività delle parti e non si estendono ai poteri del giudice, ed in particolare a quelli esercitabili d’ufficio, sicchè, dovendo riesaminare la causa nel senso indicato dalla sentenza di annullamento, tale giudice, come può avvertire la necessità, secondo le circostanze, di disporre una consulenza tecnica o di rinnovare quella già espletata nei pregressi gradi del giudizio di merito, così può ben preferire, salvo l’obbligo della relativa motivazione, di fondare la decisione su tale primitiva consulenza, laddove la ritenga meglio soddisfacente, anche rispetto a quella eventualmente espletata in sede di rinvio, avendo egli il potere di procedere (nuovamente) all’accertamento del fatto valutando liberamente le prove già raccolte." (Cass. sez. 1, n. 341 del 9/1/2009). Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla va disposto in ordine alle spese di questo giudizio a norma dell’art. 152 disp. att. c.p.c. nel testo vigente prima delle modifiche apportate dalla L. n. 326 del 2003, atteso che il ricorso introduttivo fu depositato in data antecedente all’entrata in vigore di quest’ultima normativa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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