Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 18-03-2011) 21-07-2011, n. 29180 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. G.C., condannato con distinte sentenze alla pena di anni ventuno di reclusione per il delitto di omicidio di M. G., commesso in (OMISSIS), e alla pena di anni sei di reclusione per il delitto continuato di associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e illecita detenzione delle medesime sostanze, commesso in (OMISSIS), ricorre, tramite il difensore avvocato Finizio Di Tommaso, avverso l’ordinanza in data 20 maggio 2010 – depositata il successivo 22 giugno – della Corte di appello di Napoli, in funzione di Giudice dell’esecuzione, con la quale è stata respinta la sua richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione tra i predetti delitti, poichè, secondo la Corte territoriale, dalla lettura delle sentenze e dalla disamina del materiale probatorio a fondamento di esse non emergeva alcuna prova, nè questa era stata allegata dall’istante, che il G. avesse concepito la commissione dell’omicidio fin dall’inizio della sua partecipazione all’associazione criminale: al contrario, l’assassinio del M. doveva ritenersi il frutto di una risoluzione autonoma dettata sia da motivi di vendetta, per essere il M. ritenuto corresponsabile degli omicidi di G.V. e G. C., commessi rispettivamente nell’anno (OMISSIS) e nell’anno (OMISSIS);

sia da situazioni pregiudizievoli, maturate nel tempo, per la vita dell’associazione di appartenenza del G..

A sostegno dell’impugnazione il ricorrente adduce l’inosservanza di legge e la contraddittorietà della motivazione ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione all’art. 81 c.p..

La Corte territoriale avrebbe omesso di considerare che l’associazione si era protratta dal 1988 fino al 1995, anno di commissione dell’omicidio; che il sodalizio criminale fin dall’inizio si era prefissato l’eliminazione dei nemici e che il M., capo dell’organizzazione criminale rivale, era giudicato un avversario perchè ritenuto autore dell’omicidio di G.C., fratello dell’attuale ricorrente, commesso poco tempo prima; che l’assassino del M. era stato contestato al G. con la riconosciuta aggravante di cui al D.L. n. 152 del 1991, art. 7, convertito nella L. n. 203 del 1991.

Risultando, dunque, i reati commessi nel medesimo contesto criminale e in stretta contiguità spazio-temporale, essi, pur ontologicamente diversi, dovevano ritenersi espressione del medesimo disegno criminoso, in aderenza altresì alle prove acquisite nei due processi, tutte attestanti la contrapposizione tra il gruppo Gargiulo e il gruppo Mennella e la stretta connessione oggettiva e soggettiva tra i reati associativi e gli omicidi degli appartenenti alle cosche antagoniste.

Motivi della decisione

2. Il ricorso è manifestamente infondato.

Esso postula che siano sufficienti ad integrare l’identità del disegno criminoso: l’appartenenza di vittima e carnefice al medesimo contesto criminale, essendo militanti in associazioni contrapposte finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti; la contiguità spazio-temporale tra il delitto associativo e l’omicidio, peraltro sostenibile solo con riguardo all’indicata data di cessata permanenza dell’associazione per delinquere nell’anno 1995, ma non al suo inizio risalente al 1988; la finalità di eliminare i nemici della cosca avversa, che integra mero motivo a delinquere e non identità di programma criminoso comprendente, fin dall’inizio, secondo l’adeguata motivazione dell’ordinanza impugnata, la sola commissione di un numero indeterminato di violazioni in materia di sostanze stupefacenti.

Non prospettando, dunque, il ricorso proposto alcun effettivo vizio per contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, e, men che meno, alcuna violazione della legge penale sostanziale in materia di reato continuato, esso deve essere dichiarato inammissibile.

L’inammissibilità determina, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende della sanzione pecuniaria che si stima equo determinare nella misura media, tra il minimo e il massimo previsto, di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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