Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-03-2011) 21-07-2011, n. 29164

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 23 giugno 2010 il Tribunale di Cosenza, in composizione monocratica, pronunciando sull’opposizione proposta dall’imputato avverso decreto penale di condanna, ha dichiarato B.G. responsabile del reato di cui all’art. 660 c.p., perchè, con telefonate sull’utenza in uso a P. C., recava alla predetta molestia o disturbo per petulanza o altro biasimevole motivo, e ha condannato il B. alla pena di Euro 200,00 di ammenda, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e con applicazione dei doppi benefici di legge.

A sostegno della decisione, il Tribunale ha addotto le dichiarazioni testimoniali della persona offesa e gli accertamenti eseguiti sugli acquisiti tabulati telefonici che avevano consentito di risalire all’autore delle telefonate moleste, identificato nell’attuale imputato.

In particolare, la P. aveva riferito che dopo una serie di telefonate mute anche a tarda notte, nei giorni del 1 e 3 gennaio 2007, l’ignoto interlocutore le aveva rivolto apprezzamenti sulle sue qualità fisiche, facendole capire di sapere dove lavorasse e quali fossero i suoi spostamenti.

2. Avverso la predetta sentenza ha proposto appello il B., tramite il suo difensore di fiducia, avvocato Gianpiero Calabrese del foro di Cosenza, impugnazione convertita in ricorso per cassazione ex art. 568 c.p.p., comma 5, essendo la sentenza inappellabile ai sensi dell’art. 593 c.p.p., comma 3.

Il ricorrente osserva che il fatto ascrittogli postula un’insistenza molesta e invadente, non ravvisabile nella sua condotta, poichè egli si limitò a fare solo tre telefonate alla P., nei giorni del 1 e 3 gennaio 2007, e, avvertito da un amico della donna che il suo interessamento non era gradito all’interlocutrice, non telefonò più alla P..

Mancherebbero, dunque, gli estremi della contravvenzione contestata, alla luce della giurisprudenza di legittimità che richiede un quid pluris rispetto all’esiguo numero di telefonate effettuate nel caso in esame, il cui contenuto fu galante e mai aggressivo, e considerata altresì la tempestiva cessazione dei contatti una volta appresa dal B. la volontà della donna di non corrispondere all’interesse suscitato, senza dunque alcuna invadenza e petulanza nella condotta dell’imputato.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è stato proposto come appello dal difensore di fiducia del B., avvocato Gianpiero Calabrese del foro di Cosenza, unico firmatario dell’atto di impugnazione, il quale non è iscritto nell’albo speciale di questa Corte di Cassazione.

Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, "alla regola secondo cui il ricorso per cassazione è inammissibile qualora i motivi siano sottoscritti da avvocato non iscritto nello speciale albo dei professionisti abilitati al patrocinio dinanzi alle giurisdizioni superiori, non è prevista deroga per il caso di appello convcetito in ricorso. In caso diverso verrebbero elusi in favore di chi abbia erroneamente qualificato il ricorso obblighi sanzionati per chi abbia proposto l’esatto mezzo di impugnazione" (Sez. 3, n. 2233 del 14/07/1998, dep. 10/10/1998, Allegretti, Rv.

211855; Sez. 1, n. 11353 del 06/07/1995, dep. 22/11/1995, Pensa, Rv.

203649).

Segue, a norma dell’art. 613 c.p.p., comma 1, la declaratoria di inammissibilità del ricorso, restando precluso l’esame delle proposte doglianze, e la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali e al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si stima equo determinare nella misura media di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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