Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-03-2011) 21-07-2011, n. 29160 Sentenza

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa il 10 febbraio 2010 e depositata il successivo 22 febbraio, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale capitolino in data 20 novembre 2007 e di altra sentenza dello stesso Tribunale emessa il 7 luglio 2006, di cui a due processi separatamente trattati in primo grado ma riuniti in appello, celebrati, rispettivamente, nei confronti di B.L., B. S.S., B.C.G. e P.R. (quello sfociato nella sentenza del 20/11/2007 all’esito di giudizio abbreviato), e del solo B.S.S. (quello definito in primo grado con la sentenza del 7/07/2006 all’esito di dibattimento), riconosciuta la continuazione tra tutti i reati ascritti a B. S.S., ha rideterminato la pena complessiva inflitta a quest’ultimo in quella di anni 8 e mesi 2 di reclusione ed Euro 154,000,00 di multa, tenuto conto della diminuente del rito, e in anni 5 di reclusione ed Euro 34.000,00 di multa la pena complessivamente inflitta a B.L. e a B.C. G., previo riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati ascritti agli stessi nella predetta sentenza del 20/11/2007 e quelli già giudicati, a loro carico, con sentenza del 10/02/2005 della stessa Corte di appello di Roma, divenuta irrevocabile; ha, infine, confermato la pena inflitta a P.R. nella misura di anni 2 di reclusione ed Euro 2.000,00 di multa, imputata nel solo processo definito con la sentenza del 20/11/2007, e ha condannato B.S.S. alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, B.A.M., per il grado d’appello, liquidate in complessivi Euro 1.550,00, come da notula.

Con la sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma il 20/11/2007, B.L., B.S. S., B.C.G. e P.R. sono stati dichiarati responsabili dei reati di associazione per delinquere, sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione di giovani connazionali, commessi in Roma dal marzo 2004 al marzo 2007, e hanno beneficiato delle circostanze attenuanti generiche, con giudizio di equivalenza alle aggravanti contestate per i primi tre imputati e di prevalenza per la P..

Con la sentenza del 7 luglio 2006 il solo B.S.S. è stato, inoltre, dichiarato responsabile di analoghi delitti (associazione per delinquere finalizzata a commettere più delitti di induzione e sfruttamento della prostituzione, e reato continuato di induzione e sfruttamento della prostituzione di cinque giovani connazionali identificate e di altre non compiutamente identificate) nonchè di favoreggiamento dell’ingresso clandestino nel territorio nazionale delle donne avviate alla prostituzione, delitti commessi fino al (OMISSIS).

2. Avverso la predetta sentenza d’appello ricorrono per cassazione, tramite il comune difensore, avvocato Sandro D’Aloisi del foro di Roma, tutti gli imputati proponendo i seguenti motivi.

2.1. B.S.S. e P.R. denunciano violazione di legge ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), perchè il decreto di citazione per il giudizio di appello in camera di consiglio avverso la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma in data 20 novembre 2007 sarebbe stato irritualmente notificato agli stessi B. e P. mediante consegna al difensore, senza il rispetto delle formalità indicate nell’art. 169 c.p.p., pur essendo noto il luogo di loro residenza o dimora all’estero, con la conseguente nullità del decreto di citazione e della sentenza d’appello emessa nei loro confronti.

2.2. Con il secondo motivo B.S.S. denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), l’omessa valutazione e la conseguente radicale mancanza di motivazione con riguardo alle circostanze attenuanti generiche, da lui tempestivamente richieste anche per i fatti oggetto della sentenza del 7 luglio 2006. 2.3. Con il terzo motivo lo stesso B. denuncia l’omesso esame e la conseguente mancanza di motivazione in merito alla sua domanda di riconoscimento del vincolo della continuazione tra i fatti-reato per cui è stato condannato con la citata sentenza del 7 luglio 2006 e i delitti della stessa indole per cui ha riportato condanna con precedente sentenza del Tribunale di Roma in data 23 giugno 2000, parzialmente riformata in appello con decisione del 21 novembre 2003, divenuta irrevocabile il 14 aprile 2004.

La Corte di appello, pur riconoscendo che l’organizzazione criminosa diretta dal B. era attiva fin dall’anno 1998, si sarebbe limitata ad affermare il vincolo della continuazione tra i soli fatti oggetto delle più recenti sentenze di condanna del 7 luglio 2006 e del 20 novembre 2007, senza neppure prendere in considerazione la specifica richiesta dell’imputato di estendere il riconoscimento della continuazione ai reati accertati nel 1998 di cui alla predetta sentenza del 23 giugno 2000, con conseguente violazione dell’obbligo motivazionale sul punto.

2.4. Con il quarto motivo P.R. deduce violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), con riguardo alla propria mancata assoluzione. Osserva che, a suo carico, sussisterebbe un unico elemento indiziario, costituito dal prelievo di modesta somma di denaro, presunto frutto dell’attività illecita, da lei inviata in Romania, senza il riscontro di altri dati probatori, non essendo stata accusata da alcuna delle prostitute sentite, con la conseguenza che nessuna condotta di agevolazione della prostituzione sarebbe configurabile a suo carico.

2.5. Con il quinto motivo B.C.G. denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l’erronea applicazione della pena, per avere la Corte determinato come pena base del delitto continuato quella di anni tre e mesi sei di reclusione oltre alla multa, di cui alla sentenza della Corte di appello di Roma in data 10 febbraio 2005, che, invece, aveva applicato la minore pena di anni tre e mesi due di reclusione.

2.6. Con il sesto motivo, relativo a tutti gli imputati, è denunciata l’eccessiva entità della pena stabilita a titolo di aumento per la continuazione, in contrasto con la funzione del medesimo istituto a vantaggio del reo, al fine di evitare il gravoso cumulo materiale delle pene.

Motivi della decisione

3. Il primo, il quarto e il sesto motivo sono inammissibili.

3.1 Il primo perchè deduce in modo del tutto generico un presunto vizio di violazione della legge penale, ricondotto dai ricorrenti all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), ma consistente in realtà nella denunciata violazione della norma processuale in materia di notificazione all’imputato all’estero, da inquadrare correttamente nell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c.), in relazione all’art. 169 c.p.p..

B.S.S. e P.R. lamentano, infatti, la nullità della notificazione del decreto di citazione per l’udienza camerale in appello, limitatamente all’impugnazione proposta avverso la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del 20 novembre 2007, poichè eseguita mediante consegna al difensore di fiducia, nonostante risultasse dagli atti notizia precisa della loro rispettiva residenza, all’estero, in quel periodo.

I ricorrenti, però, non offrono alcuna indicazione da cui desumere l’effettiva sussistenza della circostanza da loro affermata nè precisano gli atti del procedimento da cui risulterebbe la notizia precisa del loro recapito estero.

Va richiamata, al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte di cassazione, secondo la quale l’esame degli atti del fascicolo da parte del giudice di legittimità, nel caso in cui venga dedotto un motivo di natura processuale, presuppone che nel ricorso sia quanto meno specificamente indicato l’atto dal quale si ritiene derivino conseguenze giuridiche o l’atto affetto dal vizio denunziato, e che l’atto da esaminare sia contenuto nel fascicolo processuale medesimo o che, comunque, la parte ne richieda l’acquisizione al giudice di merito ovvero lo produca nel giudizio di legittimità (c.f.r., tra tutte, Sez. 4, n. 25310 del 07/04/2004, dep. 07/06/2004, Ardovino, Rv. 228953).

I poteri della Corte di cassazione di controllo degli atti per la verifica della fondatezza dei motivi inerenti ad asseriti "errores in procedendo" non esonerano, quindi, il ricorrente dalla specifica indicazione, secondo quanto previsto dall’art. 187 c.p.p., comma 2, degli elementi dai quali dedurre che un atto non è stato formato o è stato eseguito in violazione di norme prescritte a pena di nullità, di inutilizzabilità, di inammissibilità o di decadenza, secondo le previsioni di cui all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), (conforme: Sez. 1, n. 34351 del 11/05/2005, dep. 26/09/2005, Alvaro, Rv. 232508).

Poichè i ricorrenti, nel lamentare la nullità della notificazione del decreto di citazione per il giudizio camerale d’appello, hanno omesso ogni specifica indicazione degli atti e/o fatti a fondamento della violazione processuale denunciata, inibendo pertanto a questa Corte la verifica della fondatezza della censura proposta, va dichiarata l’inammissibilità del medesimo motivo di ricorso.

3.2. Il quarto e il sesto motivo sono inammissibili perchè generici e miranti ad una rivalutazione, in fatto, del materiale probatorio relativo alla posizione dell’imputata P.R. (quarto motivo) e dei parametri apprezzati dal giudice di appello nella determinazione della pena inflitta e, in particolare, dell’aumento applicato a titolo di continuazione alle imputate B.L. e P.R. (sesto motivo), mentre per B.S.S. e B.C. G. si impone una rideterminazione del trattamento sanzionatorio nei termini che seguono.

In proposito, è appena il caso di rilevare, quanto alla contestata sussistenza di prove sufficienti ad affermare la penale responsabilità della P., attinta – secondo la doglianza proposta – da un solo elemento indiziario per avere prelevato e inviato in Romania modeste somme di denaro, presunto frutto dell’attività illecita in materia di sfruttamento della prostituzione svolta dalla sorella B.L., che, in tema di motivi di ricorso per cassazione, pur dopo la novella codicistica introdotta con la L. n. 46 del 2006, non hanno rilevanza le censure che si limitino ad offrire una lettura alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di mera legittimità (c.f.r., tra le molte, Sez. 6, n. 36546 del 03/10/2006, dep. 03/11/2006, Bruzzese, Rv.

235510, e, con riguardo alla perspicua differenza tra travisamento del fatto non deducibile in sede di legittimità, e travisamento della prova denunciabile, invece, col ricorso per cassazione: Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, dep. 23/10/2007, Casavola, Rv. 238215, e altre conformi).

Va aggiunto che il motivo proposto dalla P. si limita ad isolare dal complesso quadro probatorio considerato dai giudici di merito un singolo elemento per denunciarne l’insufficienza ai fini dell’affermazione della sua penale responsabilità, che, invece, nelle conformi sentenze di condanna pronunciate dai giudici del doppio grado di merito, è più ampiamente fondata e motivata.

Quanto alla lamentata eccessiva entità del determinato aumento di pena ai sensi dell’art. 81 c.p., comma 2, va poi precisato che, in tema di continuazione, è da ritenersi assolto l’obbligo di motivazione allorchè, come avvenuto nel caso in esame, il giudice di merito dichiari di ritenere adeguato l’aumento della pena per il ritenuto delitto continuato, perchè tale affermazione vale ad indicare che egli ha tenuto conto, sia pure globalmente, dei criteri che governano la determinazione della misura della pena (Sez. 1, n. 4647 del 04/12/1991, dep. 23/01/1992, Navali, Rv. 188967).

4. Sono, invece, fondati il secondo, il terzo e il quinto motivo di ricorso.

4.1. Riguardo al secondo motivo, va detto che la Corte territoriale, investita della specifica richiesta dell’appellante, B.S. S., di applicazione delle circostanze attenuanti generiche nella determinazione della pena per il delitto continuato, come tale ritenuto dal giudice di appello relativamente ai fatti oggetto della sentenza del Tribunale di Roma in data 7 luglio 2006 e della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare dello stesso Tribunale in data 20 novembre 2007 (le medesime attenuanti non erano state applicate per i fatti giudicati con la prima sentenza, mentre erano state già riconosciute per i fatti della stessa indole, commessi successivamente e giudicati con la seconda sentenza), ha omesso totalmente di valutare le ragioni addotte dall’istante a sostegno delle invocate attenuanti, con la conseguenza che la sentenza va annullata limitatamente al suddetto punto, con rinvio ad altra sezione della stessa Corte d’appello.

4.2. Parimenti fondata è la censura formulata dallo stesso B. S.S. (terzo motivo) con riguardo all’omesso esame di altro specifico motivo di appello, da lui proposto, al fine di ottenere l’applicazione della disciplina della continuazione tra i fatti oggetto delle suddette sentenze del 7 luglio 2006 e del 20 novembre 2007 e quelli giudicati con precedente sentenza della stessa Corte di appello di Roma in data 21/11/2003 (irrevocabile il 14 aprile 2004), che lo aveva condannato alla pena di anni due e mesi dieci di reclusione per analoghi delitti (associazione per delinquere, induzione e sfruttamento della prostituzione, violazione delle norme in materia di ingresso e soggiorno di cittadini stranieri, commessi negli anni 1997-1998).

Questa Corte ha già enunciato il principio secondo cui, una volta che l’imputato abbia formulato uno specifico motivo di gravame sulla mancata applicazione della continuazione, il giudice dell’impugnazione ha l’obbligo di pronunciarsi sul tema di indagine devolutogli, per l’evidente ragione che al principio devolutivo è coessenziale il potere-dovere del giudice del gravame di esaminare e decidere sulle richieste dell’impugnante, con la conseguenza che, stante la correlazione tra motivi di impugnazione e ambito della cognizione e della decisione, non è ammissibile che il giudice possa esimersi da tale compito, riservandone la soluzione al giudice dell’esecuzione e possa, così, sovrapporre all’iniziativa rimessa al potere dispositivo della parte la propria valutazione circa l’opportunità di esaminare, o non, l’istanza dell’impugnante. Ne discende che, qualora il giudice di appello abbia omesso di pronunciare sulla richiesta di continuazione formulata con specifico motivo di impugnazione, sussiste l’interesse dell’imputato al ricorso per cassazione per la mancata pronuncia sul punto (Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, dep. 28/06/2000, "ruzzolino A., Rv. 216238; Sez. 6, n. 38648 del 30/09/2010, dep. 03/11/2010, Cosentino, Rv. 248582).

Poichè, nel caso in esame, risulta totalmente ignorata dalla Corte territoriale la richiesta di applicazione della continuazione come sopra estesa dall’imputato ai fatti oggetto della sentenza di condanna irrevocabile dal 14 aprile 2004, richiesta che ha formato oggetto di specifico motivo (il quarto) di appello, si impone l’annullamento in parte qua della decisione impugnata con rinvio per esame, sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Roma.

4.3. E’, infine, fondato il quinto motivo di ricorso col quale B.C.G. lamenta l’errata indicazione della pena base su cui la Corte di merito ha applicato l’aumento per la riconosciuta continuazione.

Risulta, invero, per tabulas, che l’imputato fu condannato con la sentenza del 10 febbraio 2005 della Corte di appello di Roma alla pena di anni tre e mesi due di reclusione, assunta come pena base, mentre nella decisione impugnata la medesima sanzione è stata erroneamente indicata in quella di anni tre e mesi sei di reclusione, alla quale è stato applicato l’aumento di anni uno e mesi sei per la continuazione con i fatti oggetto della sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma in data 20 novembre 2007.

Segue l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, sul punto, a norma dell’art. 620 c.p.p., comma 1, lett. l), con rideterminazione della pena detentiva complessivamente inflitta in quella di anni quattro e mesi otto di reclusione.

5. L’esito del presente giudizio di cassazione, che registra il parziale accoglimento dei ricorsi proposti da B.S.S. e da B.C.G. e la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi proposti da P.R. e B.L., importa, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna delle sole ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuna, al versamento della somma che si stima equo determinare nella misura media, tra il minimo e il massimo previsti, di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di B.S. S. limitatamente alle attenuanti generiche, alla continuazione e al trattamento sanzionatorio, e rinvia per nuovo giudizio su tali punti ad altra sezione della Corte di appello di Roma.

Rigetta nel resto il ricorso del suddetto imputato.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di B. C.G. limitatamente alla misura della pena, che determina in anni quattro e mesi otto di reclusione (pena base: anni tre e mesi due di reclusione). Rigetta nel resto il ricorso del suddetto imputato.

Dichiara inammissibile il ricorso di B.L. e P.R. e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, ciascuna, al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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