Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-02-2011) 21-07-2011, n. 29150 Porto abusivo di armi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza deliberata il 9 marzo 2010, la Corte di Appello di Caltanisetta, In riforma di quella di proscioglimento emessa dal Tribunale di Enna in data 2 aprile 2007, impugnata dal Procuratore Generale della sede, ha condannato B.A. alla pena di giustizia, siccome colpevole del delitto di porto illegale di un fucile da caccia calibro 12. 1.1 – Il procedimento promosso nei confronti del B. – per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità – era sorto a ragione degli esiti del controllo di un’autovettura eseguito dai Carabinieri, la mattina dell’11 gennaio 2004, nelle campagne di Cacchiamo, una frazione del Comune di Calascibetta.

A bordo della predetta autovettura, su cui viaggiavano tre persone in abbigliamento da cacciatori, i militari avevano infatti rinvenuto tre fucili da caccia. Orbene, mentre due dei fucili dovevano ritenersi senz’altro "riferibili", rispettivamente, a L.A., proprietario dell’auto, ed a L.D., che li avevano regolarmente denunciati, il terzo – risultato di proprietà di B.R., padre dell’imputato – era da ritenersi, invece, secondo gli Inquirenti, nella materiale detenzione di quest’ultimo, il quale, però, a differenza degli altri occupanti il veicolo, era sprovvisto di licenza di porto d’armi.

1.2 – Orbene mentre il primo giudice aveva ritenuto di non poter escludere la veridicità della versione dei fatti fornita dall’imputato e dagli altri cacciatori – e cioè che il B. A. non avesse alcun ruolo nella "battuta di caccia" se non quello "di richiamare gli animali e di preparare il pranzo" e che il fucile era stato riposto sull’auto del L. dal padre, il quale avrebbe dovuto anch’egli partecipare alla caccia, e che solo dopo aver riposto l’arma nell’auto, essendosi rammentato di dover assumere un farmaco, aveva invitato i L., i quali avevano appuntamento con altri cacciatori, a proseguire senz’altro con il figlio in direzione del luogo convenuto, impegnandosi a raggiungerli subito dopo, con la propria autovettura – la Corte territoriale, invece, In accoglimento dei motivi di appello proposti dal Procuratore Generale della Repubblica, è pervenuta ad opposta conclusione.

1.2.1 – I giudici di appello, infatti, hanno ravvisato "numerose incongruenze" nella versione dei fatti fornita dall’imputato, individuate: (a) nella circostanza che l’imputato era In abbigliamento di caccia; (b) che lo stesso aveva fatto un riferimento solo generico, ad una presunta attività di "battitore", dato questo, oltretutto, ritenuto incongruo, in quanto "normalmente" la caccia alla volpe si svolge "senza l’ausilio di battitori"; (c) che l’imputato non aveva precisato quale attività di preparazione di cibi egli si apprestasse a svolgere, dal momento che non era stato rinvenuto alcunchè (prodotti alimentari ed altro) che potesse giustificare l’effettivo svolgimento di tale attività; (d) che appariva poco credibile la circostanza che il padre dell’imputato avrebbe raggiunto più tardi i partecipanti alla battuta di caccia, dovendo egli, prima, assumere una medicina e fare colazione, e ciò in quanto il B. aveva avuto tutto il tempo per fare colazione di primo mattino, tenuto conto dell’orario inusuale in cui era avvenuto il controllo (9,30), e che lo stesso ben avrebbe potuto assumere la pillola per strada, considerazioni queste che inducevano a ritenere molto più verosimile, piuttosto, che il padre dell’imputato, in quanto affetto da bronchite, quel giorno non dovesse prendere parte alla battuta di caccia e che il fucile sia stato preso dal figlio, nessuna decisiva rilevanza potendo attribuirsi, in particolare, alla circostanza – riferita da uno del verbalizzati, per altro, in termini d’incertezza – che nell’auto erano state rinvenute solo due cartucciere.

2. – Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il B., per il tramite del suo difensore, che ne ha chiesto l’annullamento prospettando due motivi di impugnazione.

2.1 – Con il primo motivo di impugnazione, il ricorrente denunzia violazione ed errata applicazione della L. n. 895 del 1997, artt. 4 e 7, in quanto i giudici di appello non avevano adeguatamente considerato alcune circostanze emerse dall’istruttoria dibattimentale, che portavano ad escludere la sussistenza di "una condizione di pronto utilizzo dell’arma" e quindi l’effettiva configurabilità del reato contestato, e segnatamente: (a) che al momento del controllo l’imputato si trovava all’esterno dell’auto dei L., parcheggiata in attesa che sopraggiungessero i compagni di battuta; (b) che il fucile da caccia oggetto d’imputazione, si trovava all’interno di autovettura che non apparteneva al ricorrente;

(c) che l’arma in questione, era di proprietà di altro soggetto munito di regolare porto d’armi per uso venatorio; (d) che l’arma era scarica e riposta all’interno della custodia; (e) che l’Imputato non era in atteggiamento venatorio ed era privo di cartucciera.

In base a tali circostanze, il futuro utilizzo dell’arma da parte del ricorrente, costituiva una mera ipotesi, tenuto conto che l’arma non era in condizione di pronta disponibilità, che la stessa si trovava all’interno di un’autovettura di proprietà di soggetto titolare di porto d’armi e che la L. n. 110 del 1975, art. 22 esclude dal divieto del di comodato d’armi, quelle destinate alla caccia.

2.2 – Con il secondo motivo d’impugnazione il ricorrente denunzia vizio di motivazione, con riferimento all’art. 546 c.p.p., lett. e), nel senso che il percorso argomentativo fornito dai giudici di appello per illustrare le ragioni dell’accoglimento del gravame del PG e del perchè la discolpa fornita dall’imputato non risultava assistita da sufficienti elementi di prova, si attardava su considerazioni discutibili (quali le modalità della caccia alla volpe ovvero l’assenza nell’autovettura di alimenti necessari per la preparazione di un pasto) eludendo "il vero tema della questione" e cioè quello relativo alla configurabilità del porto abusivo del fucile da caccia, con riferimento all’esistenza o meno del requisito della pronta ed immediata disponibilità dell’arma, che al momento del controllo si trovava all’Interno di un’autovettura, riposta, scarica, all’interno della sua custodia.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di B.A. è inammissibile perchè basata su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità o comunque manifestamente infondati.

1.1 – Con riferimento al primo motivo, va infatti rilevato che lo stesso si fonda su circostanze in fatto (asserita collocazione dell’imputato all’esterno dell’auto ove era riposto il fucile, al momento del suo controllo; ubicazione dell’arma, scarica, all’interno della custodia), prive di qualsiasi riscontro, desumendosi dalla sentenza di primo grado, piuttosto, il dato della presenza del ricorrente a bordo dell’autovettura al momento del controllo e l’ulteriore circostanza che il fucile di cui è processo "era poggiato sul sedile posteriore dell’auto" e non già riposto nel bagagliaio della vettura, come adombrato in ricorso.

Esclusa la verificabilità della tesi secondo cui al ricorrente era preclusa una immediata utilizzazione dell’arma, va in ogni caso precisato, per completezza di esposizione, la infondatezza anche in diritto delle prospettazioni del ricorrente, ove si consideri che rappresenta principio ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui "è configurabile il reato di porto illegale di arma, quando questa, pur non essendo addosso al soggetto, si trovi nella sua pronta disponibilità per un uso quasi immediato" (in termini, Sez. 1, Sentenza n. 4451 del 16/03/1994 Ud. (dep. 16/04/1994) Rv. 197434, imp. Di Stefano).

1.2 – Quanto poi alle ulteriori deduzioni svolte in ricorso per contestare la effettiva rilevanza e congruità dei dati fattuali valorizzati dai giudici di merito per affermare la "riferibilità" al ricorrente della disponibilità del fucile al momento del controllo, è agevole rilevare che le deduzioni difensive sviluppate sul punto in ricorso, lungi dal denunciare effettivi e verificabili travisamenti delle risultanze processuali, sollecitano, in definitiva, una diversa "lettura" dei dati probatori in senso più favorevole al ricorrente, non consentita però nel giudizio di legittimità. 2. – Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna per legge del ricorrente, al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla cassa delle ammende, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost., sent. n. 186 del 2000), di una somma, congruamente determinabile in Euro 1000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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