Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-02-2011) 21-07-2011, n. 29149 Stranieri

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – La Corte di Appello di Venezia, con la sentenza impugnata, ha confermato quella del Tribunale di Treviso con la quale l’appellante B.D., in qualità di legale rappresentante della Verniciatura di Ponzano s.r.l., era stato condannato alla pena di mesi cinque di arresto ed Euro 5000,00 di ammenda, sostituita la pena detentiva con la pena pecuniaria di Euro 5700,00, siccome colpevole del reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 22, comma 12, per aver occupato alle proprie dipendenze rectius, alle dipendenze della società di cui era legale rappresentante, il lavoratore extracomunitario K.B., privo di permesso di soggiorno per motivi di lavoro; fatto accertato in Ponzano Veneto il 16 novembre 2006, a seguito dell’infortunio mortale occorso al K., quello stesso giorno, allorquando lo stesso si trovava all’interno dello stabilimento della suindicata società . 1.1 – La Corte territoriale, in conformità a quanto deciso dal primo giudice, ha valorizzato, ai fini dell’affermazione di responsabilità dell’imputato: (a) le risultanze dell’indagine condotta dall’Inail e dallo Sisal; (b) le dichiarazioni dei testi N.J.G. e A.A.K., che avevano riferito che il K. si trovava all’Interno dello stabilimento per ragioni di lavoro e che lo stesso, su richiesta del B., alla ricerca di un rimpiazzo di un lavoratore, era stato ivi condotto dallo J. ed assegnato al reparto di verniciatura, venendo istruito sulle modalità del lavoro da A.A.K., addetto proprio a quel medesimo reparto.

1.2 – In particolare, per quanto ancora interessa nel presente giudizio di legittimità, la Corte territoriale riteneva:

a) che le deposizioni dei predetti testi dovevano ritenersi assolutamente attendibili, in quanto precise, reiterate e non contraddittorie, come era dato evincere dall’assenza di contestazioni difensive, ex art. 500 cod. proc. pen.; b) che di contro le dichiarazioni dei testi A.M., capo officina, e G. R., moglie dell’imputato – che avevano riferito, il primo, di non essere stato informato della presenza del K. nel reparto verniciature; la seconda, che il cittadino extracomunitario, presentatosi quella mattina presso lo stabilimento della società, in cerca di lavoro, era stato però immediatamente allontanato, una volta appreso che lo stesso "non era in regola con il permesso di soggiorno" – dovevano ritenersi inverosimili, laddove adombravano che il K. si trovasse all’interno dello stabilimento e per di più intento ad effettuare attività lavorativa, all’insaputa del legale rappresentante della società e del capo officina, in attesa di poter fare ritorno a casa con i suoi amici che lavoravano presso la "Verniciatura di Ponzano";

c) che il richiamo al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, operato dalla difesa per negare la sussistenza di un presupposto del reato, e cioè l’essere il K. effettivamente un cittadino extracomunitario "clandestino", privo cioè di permesso di soggiorno, posto che, ignorandosi la data del suo ingresso in Italia, non poteva neppure ritenersi effettivamente scaduto il termine di otto giorni previsto dalla citata norma per richiederlo, non valeva ad escludere la sussistenza del reato, riferendosi tale norma "alla procedura regolare per l’assunzione dei lavoratori", che l’imputato non aveva Invece seguito, essendosi egli rivolto "per assumere dipendenti", in maniera del tutto estemporanea, ad altro lavoratore, eludendo qualsiasi tipo di procedura prevista dalla legge, senza contare che secondo i giudici di appello, mentre la norma invocata "riguarda le modalità di richiesta del permesso di soggiorno", la norma incriminatrice violata dall’imputato, punisce invece l’assunzione lavorativa effettuata in assenza del permesso di soggiorno, e prescinde, per ciò, dall’accertamento della effettiva data di ingresso nel territorio dello Stato, nel senso che l’ordinamento proibisce al cittadino extracomunitario di svolgere attività lavorativa "in assenza di un formale provvedimento dell’autorità amministrativa";

d) che doveva ritenersi infondato il richiamo all’art. 49 c.p., comma 2, invocato dalla difesa per escludere la punibilità della condotta dell’imputato in quanto comunque inidonea ad offendere l’interesse protetto dalla norma, trattandosi, in tesi, di assunzione riguardante comunque una sola giornata lavorativa, e ciò in quanto tale prospettazione si fondava su di un presupposto di fatto non dimostrato, valorizzando i giudici di appello, a tal fine, le dichiarazioni dei testi N.J.G. e A.A. K., ed in particolare quelle del primo, che aveva espressamente negato che l’imputato avesse precisato di voler servirsi per un sol giorno dell’attività lavorativa del K.; il quale del resto, era stato finanche addestrato dal dipendente A.A.K..

2. – Avverso la indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato che ne ha richiesto l’annullamento, articolando tre motivi d’impugnazione.

2.1 – Con il primo, il ricorrente deduce l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione di legge (D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 22, comma 12), in quanto, a prescindere dal rilievo che l’unico dato fattuale certo nel presente giudizio era quello che, prima del 16 novembre 2006, il K. non era mai "entrato nell’ambiente di lavoro costituito dal reparto di verniciatura dell’impresa Verniciatura di Ponzano", registrandosi, invece, relativamente al dato dell’assunzione del cittadino extracomunitario alle dipendenze della società, dichiarazioni contrastanti tra i testi escussi, erroneamente i giudici di appello avevano ritenuto non pertinente il richiamo al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5.

Tale norma, infatti, prevede espressamente la possibilità per il cittadino extracomunitario che entra nel territorio italiano di richiedere il permesso di soggiorno "entro otto giorni dal suo ingresso in Italia", sicchè solo una volta che sia completamente decorso detto termine, il permanere nel territorio dello Stato diviene illegale, così come l’assunzione del predetto lavoratore in quanto privo di permesso di soggiorno, con la conseguenza che la condanna del B. deve ritenersi illegittima in quanto frutto di un travisamento della reale portata delle norme in tema di rilascio del permesso di soggiorno a cittadino extracomunitario per motivi di lavoro, il quale aveva condotto ad un giudizio di illegittimità della procedura di assunzione, pur in assenza di un accertamento sull’effettiva scadenza del termine per richiedere il rilascio del permesso.

2.2 – Con il secondo motivo d’impugnazione, si denunzia invece l’illegittimità della decisione impugnata, laddove ha ritenuto adeguatamente provata la circostanza dell’assunzione del lavatore K.B..

In particolare da parte del ricorrente si segnala che i giudici di appello hanno ritenuto senz’altro attendibili le dichiarazioni dei testi N.J.G. e A.A.K., svolgendo sul punto argomentazioni ritenute "insufficienti", avendo, per un verso, valorizzato il dato, assolutamente ininfluente, che tali dichiarazioni non erano state oggetto di contestazione ex art. 500 cod. proc. pen., e di contro omesso di valutare, la forte acrimonia esistente tra il teste A.A.K. e l’imputato, e l’interesse del teste N.J.G., che aveva consentito l’ingresso del proprio amico K. nel luogo di lavoro, a scaricare sul B. la responsabilità della presenza dello stesso così da escludere la propria.

La ricostruzione del fatto da parte dei giudici di merito doveva quindi ritenersi quanto meno opinabile, in assenza di elementi di prova certi sulla circostanza che l’ingresso del K. nell’opificio sia avvenuto su richiesta del datore di lavoro o con il consenso del capofficina, specie ove si consideri che non risulta che costoro avessero mai presentato agli altri lavoratori il nuovo assunto, rivelandosi pertanto del tutto arbitraria la qualificazione da parte dei giudici di merito, come inverosimile, della ricostruzione alternativa della vicenda, prospettata dalla difesa.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di B.D. è basata su motivi Infondati.

1.1 – Privo di fondamento deve ritenersi, in primo luogo, l’argomento secondo cui, mancando in atti una prova certa che il lavoratore extracomunitario assunto alle dipendenze dell’imputato fosse effettivamente un cittadino extracomunitario irregolare o "clandestino" – assumendo rilevanza a tal fine quanto disposto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 in merito alla previsione di un termine di otto giorni lavorativi dall’ingresso nello Stato, per la presentazione della richiesta di un permesso di soggiorno – per ciò solo andrebbe esclusa la configurabilità del reato contestato al ricorrente. Al riguardo occorre considerare, infatti, per un verso, che la norma incriminatrice, cosi come formulata, fa riferimento, genericamente, all’assunzione di "lavoratori privi del permesso di soggiorno", categoria che include, secondo la prevalente dottrina, "tutti i cittadini extracomunitari che, per qualsiasi motivo, non hanno un permesso di soggiorno", e non soltanto i lavoratori extracomunitari "clandestini" perchè entrati in Italia senza visto di lavoro o perchè il loro visto d’ingresso è scaduto; sotto altro profilo, che nel presente giudizio rappresenta comunque una premessa in fatto indimostrata, quella secondo cui K.B. sarebbe entrato in Italia regolarmente e da meno di otto giorni, desumendosi dalla deposizione della stessa moglie dell’Imputato, al contrario, che lo stesso lavoratore extracomunitario non avrebbe fatto mistero della propria condizione di lavoratore straniero irregolare, essendo comunque pacifico che lo stesso era privo di permesso di soggiorno.

1.2 – Quanto poi alle argomentazioni difensive svolte in ricorso, dirette a contestare, nelle loro poliformi articolazioni, l’effettiva assunzione da parte del B. del lavoratore extracomunltario K.B. e ad affermare l’assoluta inidoneità dell’azione a ragione della programmata durata minima del rapporto lavorativo, è agevole rilevare che trattasi di doglianze che riproducono pedissequamente gli argomenti prospettati nel gravame, ai quali la Corte d’appello ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto. Ed invero la sentenza impugnata riporta gli elementi emersi a carico del ricorrente, valorizzando soprattutto le dichiarazioni dei testi N.J.G. e A. A.K., valuta adeguatamente la predetta deposizione anche con riferimento alle dichiarazioni di altri testi e puntualmente motiva sulla maggiore attendibilità dei primi rispetto alle dichiarazioni rese dal capo officina della Verniciatura di Ponzano e dalla moglie dell’imputato. Orbene, in presenza di un siffatto percorso motivazionale, adeguato e completo, non è compito del giudice di legittimità procedere ad una rivalutazione del compendio probatorio sulla base delle prospettazioni dei ricorrenti, avendo questa Corte chiarito già da tempo che esula dai suoi poteri una "rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali" (Sez. Un. n. 41476 del 25/10/2005, Misiano; Sez. Un. n. 6402 del 2.7.1997, imp. Dessimone, rv. 207944; Sez. Un. n. 930 del 29.1.1996, imp. Clarke, rv. 203428). Quanto infine all’asserita inidoneità dell’azione contestata al ricorrente, a prescindere dalla dubbia conciliabilità di una siffatta deduzione con la linea difensiva prospettata in via principale – secondo cui non vi sarebbe stata, in realtà, alcuna assunzione del K.B. va in ogni caso rilevato che anche tale argomento è stato disatteso dalla Corte territoriale con adeguata motivazione, avendo i giudici di appello evidenziato, per un verso, che la stessa si fonda su di una circostanza in fatto meramente congetturale (assunzione per una sola giornata lavorativa), precisando sotto altro profilo, attraverso un pertinente richiamo della giurisprudenza di questa Corte, che "ai fini della configurabilità del reato di assunzione di lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno, il concetto di occupazione che figura nel D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 22 (testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) si riferisce all’instaurazione di un rapporto di lavoro che già di per sè integra gli estremi di una condotta antigiuridica, qualora il soggetto assunto sia un cittadino extracomunitario privo del citato permesso, indipendentemente da qualunque delimitazione temporale dell’attività in questione" (cosi Sez. 1, Sentenza n. 15463 del 26/03/2008, dep. 14/04/2008, Rv.

239618, imp. Zhao).

2. – Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen. in ordine alla spese del presente procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2011

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