Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 22-02-2011) 21-07-2011, n. 29148 Detenzione abusiva e omessa denuncia

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – T.V., per il tramite del suo difensore, impugna per cassazione la sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria, deliberata il 19 febbraio 2010, che ha confermato quella emessa il 15 luglio 2009 dal GUP del Tribunale di Palmi, che all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato il ricorrente alla pena complessiva di anni 3 (tre) di reclusione ed Euro 3000,00 (tremila) di multa, per aver detenuto illegalmente nella propria abitazione – sita in agro di Sinopoli, contrada S. Barbara n. 4 – una pistola marca Berardinelli cal. 7,65 con matricola abrasa; n. 5 caricatori per pistola di quella marca e calibro; n. 90 cartucce marca Browing con ogiva blindata; n. 10 cartucce caricate a panettoni cai. 20, per fucile da caccia.

2. – Con il primo ed articolato motivo d’impugnazione il ricorrente deduce l’Illegittimità della sentenza impugnata per vizio di motivazione, a ragione della mancanza di adeguata risposta da parte della Corte territoriale alle molteplici censure mosse alla decisione di primo grado con i motivi di appello, con riferimento: a) all’affermazione di penale responsabilità del T. anche in relazione al contestato delitto di ricettazione dell’arma (capo B della rubrica); b) alla mancata applicazione dell’attenuante speciale del fatto di lieve entità; c) al mancato riconoscimento dell’assorbimento nel reato di detenzione illegale di arma della contestata contravvenzione ex art. 697 cod. pen., con riferimento alle munizioni dell’arma medesima.

2.1 – Quanto al primo profilo di illegittimità dedotto – premesso che la Corte territoriale ha motivato la conferma della pronuncia di condanna del T. anche per il delitto di ricettazione, valorizzando la circostanza che "l’arma sequestrata al prevenuto aveva la matricola abrasa" e che l’imputato aveva fornito "vaghe indicazioni" in merito alla persona che gli aveva ceduto la pistola – in ricorso si sostiene che l’affermazione di penale responsabilità è basata su di un "tessuto probatorio del tutto scarno, povero e di certo insufficiente" a fondare una pronuncia di condanna, in quanto integrato da "semplici sospetti", i quali non assumono, ad avviso del ricorrente, "neppure lontanamente, i connotati dell’indizio, ovvero quelli "della precisione, gravita e concordanza" richiesti dall’art. 192 cod. proc. pen., risultando, per ciò, "inidonei a provare l’esistenza del fatto" nei suoi presupposti, soggettivo ed oggettivo.

Più specificamente, richiamati alcuni arresti di questa Corte concernenti la valutazione della prova indiziaria e l’individuazione dei presupposti necessari per la configurabilità del delitto di ricettazione (l’esistenza di un reato anteriore, unita al fatto che la provenienza delittuosa delle cose detenute o acquistate sia nota all’imputato), in ricorso si deduce, per un verso, che il T. non era a conoscenza vuoi del reato anteriore vuoi della provenienza delittuosa dell’arma rinvenuta nella sua abitazione; sotto altro profilo, che risultano incomprensibili le ragioni per cui i giudici di merito hanno ritenuto sussistere una prova certa a carico dell’Imputato, riproponendo a tal fine la censura d’illogicità mossa al passaggio argomentativo della sentenza di primo grado, secondo cui la "provenienza delittuosa dell’arma" doveva ritenersi "desumibile dalla punzonatura del numero di matrìcola effettuata per renderne non rintracciabile l’origine, con conseguente illiceità della condotta di ricezione della pistola, implicita nella natura furtiva dell’arma". Secondo il ricorrente, infatti, tale passaggio argomentativo, ritenuto "alquanto generico", non fornisce alcuna indicazione circa gli elementi probatori da cui scaturiva il giudizio di responsabilità, richiamando a conforto di tale valutazione, quanto affermato in una pronuncia di merito, che in relazione ad una fattispecie in cui risultava abraso soltanto il numero di matricola posto nella parte scoperta dell’arma e non già quello inciso sotto le "guanciole", ha escluso la sussistenza del reato, ritenendo necessaria, a tal fine, l’abrasione "di tutti i numeri di matricola impressi sull’arma". Ed invero il ricorrente, muovendo dal rilievo in fatto che l’arma detenuta dal T. non può considerarsi clandestina in quanto "punzonata" soltanto nella parte posta sotto la "culatta otturatore" e che non può escludersi, quindi, che la pistola di cui all’imputazione possa venire rintracciata tramite gli altri numeri di identificazione apposti sulle guanciole o sulla canna, sostiene che, risultando indimostrata la provenienza illecita dell’arma, non si configurerebbe neppure il delitto di cui all’art. 648 cod. pen.. Sostiene altresì il ricorrente che anche qualora si ritenesse, in tesi, che l’imputato avesse comunque maturato il sospetto che l’arma acquistata fosse di provenienza delittuosa, non per questo poteva legittamamente pervenirsi ad una pronuncia di condanna per ricettazione, difettando in ogni caso il dolo, e cioè la certezza della provenienza delittuosa della cosa acquistata o ricevuta, sicchè, in applicazione della regola di cui all’art. 530 c.p., comma 2, attesa l’insufficienza delle prove a carico dell’imputato, s’imponeva senz’altro il suo proscioglimento.

2.2 – Quanto poi alla mancata applicazione dell’attenuante del fatto di lieve entità, in ricorso si denuncia l’Incompletezza della valutazione svolta dai giudici di merito sul punto, fondandosi la stessa, esclusivamente, sulla natura del compendio ricettato (una pistola), senza tener conto delle modalità dell’azione e dei motivi della stessa, e segnatamente della circostanza che il T., ultrasettantenne, deteneva da tempo la pistola sequestrata; che la stessa non era stata mai utilizzata per commettere atti delittuosi, avendo l’imputato acquistato l’arma soltanto per ragioni di difesa personale, vivendo da solo "in piena montagna".

Nel ricorso si segnalano, ancora, quali ulteriori profili di illegittimità della decisione: a) la rilevanza attribuita alla detenzione di munizioni cal. 20, non suscettibili di utilizzazione quale munizionamento della pistola, definita "oscura" senza considerare che in anni precedenti il T. aveva legittimamente detenuto un fucile da caccia, che gli era stato sequestrato per non aver assicurato "adeguata custodia" a detta arma e che appariva quindi verosimile che le dieci cartucce caricate a panettoni oggetto dell’imputazione di cui al capo C della rubrica, costituissero il munizionamento del predetto fucile da caccia; b) la mancata valutazione della minima potenzialità offensiva della pistola calibro 7,65. 2.3 – Quanto infine al mancato assorbimento della detenzione dei cinque caricatori e delle cartucce calibro 7,65 nella illegale detenzione della pistola, nel ricorso si denuncia il contrasto esistente tra una siffatta decisione e l’insegnamento di questa Corte, secondo cui "la detenzione contemporanea di un’arma da sparo e delle relative munizioni concreta un’unica ipotesi di reato, rimanendo assorbito nel reato di detenzione illegale dell’arma quello delle relative munizioni, allorchè le stesse non eccedano la capacità di carica dell’arma o non siano di calibro diverso" (in termini, Sez. 2, Sentenza n. 2071 del 5/11/1987, dep. il 18/02/1988, imp. Maniscalco, Rv. 177641).

3. – Con il secondo motivo d’impugnazione il ricorrente ripropone tutte le argomentazioni svolte nel primo, sostenendo l’illegittimità della pronuncia di condanna per ricettazione del T., anche sotto il profilo dell’inosservanza od erronea applicazione della legge penale.

4. – Con il terzo ed ultimo motivo d’impugnazione si censura, infine, sotto il profilo del vizio di motivazione, la conferma della sentenza di primo grado, con riferimento sia all’entità della pena inflitta, sia al diniego delle attenuanti generiche, ritenendo il ricorrente la motivazione fornita dai giudici di appello sul punto, incongrua e non aderente ai criteri di valutazione imposti dall’art. 133 cod. pen., tenuto conto dell’assenza di precedenti penali e giudiziari del T., la sua condotta antecedente al reato, e le motivazioni che lo avevano spinto ad assicurarsi la disponibilità dell’arma.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’Interesse di T.V. è inammissibile in quanto basata su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.

1.1 – Quanto al primo motivo d’impugnazione va rilevato, infatti, che tutte le censure sviluppate in ricorso relativamente all’affermazione di penale responsabilità del T. con riferimento al reato di ricettazione contestatogli, nelle loro poliformi articolazioni, si risolvono, in definitiva, nella riproposizione in questa sede, di argomentazioni difensive già valutate dai giudici di appello, i quali, con motivazione concisa ma adeguata ed esente da vizi logici o giuridici, ne avevano rimarcato l’infondatezza, dando conto, dell’esistenza a carico dell’imputato di elementi di significativa valenza indiziaria, quali: l’abrasione del numero di matricola e le vaghe indicazioni fornite dall’imputato relativamente alle modalità di acquisto dell’arma.

Le argomentazioni svolte sul punto dai giudici di appello, del resto, risultano uniformarsi a condivisibili principi di diritto ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui, in tema di ricettazione, l’abrasione del numero di matricola dell’arma costituisce un elemento materiale che, non potendo sfuggire alla percezione visiva dell’accipiens e rendendo lo stesso consapevole della illecita manipolazione, fornisce la prova della consapevolezza della provenienza criminosa dell’arma all’atto della ricezione, cui la mancata indicazione della persona del tradens o l’ammissione di avere l’agente stesso operato la abrasione forniscono ulteriore conforto probatorio (in termini Sez. 1, Sentenza n. 36797 del 28/09/2006, dep. 08/11/2006, Rv. 235269, imp. Mondi).

1.2 – Manifestamente infondato è anche l’assunto del ricorrente secondo cui la detenzione di cinque caricatori per pistola Bernardelli 7,65 doveva ritenersi condotta assorbita nella detenzione dell’arma, con conseguente esclusione di un aumento di pena per effetto della continuazione, riferendosi la giurisprudenza citata a sostegno di tale tesi difensiva, a fattispecie (il possesso di un numero di cartucce, costituenti la normale dotazione dell’arma detenuta) palesemente non equiparabile a quella di cui è processo (il possesso di cinque caricatori).

1.3 – Analogo giudizio di manifesta infondatezza deve esprimersi con riferimento alle censure mosse alla decisione dei giudici di appello di escludere la configurabilità dell’attenuante del "fatto di particolare tenuità", conformandosi la stessa a principi ripetutamente affermati da questa Corte, secondo cui per definire l’ipotesi attenuata di cui all’art. 648 cod. pen., comma 2, non è possibile riferirsi esclusivamente al valore della cosa ricettata, ma occorre far riferimento a tutti quegli elementi, sfa di natura soggettiva che oggettiva, i quali possono caratterizzare il caso concreto e possono quindi assumere un significato determinante ai fini del riconoscimento, o dell’esclusione, dell’attenuante in parola (in termini, Sez. 2, Sentenza n. 4581 del 23/03/1998, dep. 18/04/1998, Rv. 210598, Imp. Canteruccio). Orbene avendo la Corte territoriale tenuto conto, per un verso, della natura clandestina dell’arma e della sua obiettiva potenzialità offensiva, apoditticamente ritenuta minima dal ricorrente, e dall’altro, dei precedenti penali del T., nessun profilo di illegittimità, può fondatamente ravvisarsi con riferimento al mancato riconoscimento dell’invocata attenuante.

1.4 – Manifestamente infondato deve ritenersi, infine, anche l’ultimo motivo d’impugnazione, ove si consideri, per un verso, che in tema di attenuanti generiche e trattamento sanzionatorio, il giudice non ha l’obbligo di procedere ad analitico esame dei criteri elencati nell’art. 133 cod. pen. ai fini della determinazione della pena e darne quindi congrua giustificazione, essendo sufficiente il riferimento a dati obbiettivi o subiettivi Idonei ad evidenziare la correttezza sul piano argomentativo del criterio seguito nell’esercizio del proprio potere discrezionale, il che è puntualmente avvenuto nella specie, avendo i giudici appello valorizzato il dato rappresentato dai precedenti penali, anche specifici, dell’imputato; e quanto al diniego dell’attenuante L. n. 895 del 1967, ex art. 5, che i giudici di appello, con motivazione più che adeguata ed aderente alle risultanze processuali, hanno ricollegato la propria statuizione sul punto a circostanze obiettive (il rinvenimento nell’abitazione del T. di "un piccolo arsenale" e di una pistola con matricola abrasa), ritenute, con plausibile argomentazione, ostative alla concessione delle invocata attenuante speciale.

2. – Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di esonero – al versamento di una somma alla cassa delle ammende, congruamente determinabile in Euro 1000,00, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende della somma di Euro 1000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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