T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, Sent., 28-07-2011, n. 1463 Bellezze naturali e tutela paesaggistica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica del 3 novembre 2009, trasposto in sede giurisdizionale presso questo tribunale con ricorso n. 243/2010, i ricorrenti, sig.ri E.G. e M.G.P., confinanti controinteressati, hanno chiesto l’annullamento "del silenzioaccoglimento apparentemente formatosi "ex lege", per il decorso del termine biennale, in merito all’istanza ex art. 35 della l. n. 47/85 avanzata il 28. marzo 1986 dalla sig.ra I.G. al Comune di Nardò (LE) con riferimento all’immobile sito nello stesso Comune, individuato in catasto al fg. 104, p.lla 275, sub 1 e 2"; nonché ogni atto presupposto, tra cui i pareri paesaggistici favorevoli rilasciati dal Comune di Nardò e dalla Soprintendenza.

2. – In data 12 luglio 2010 il Comune di Nardò, con provvedimento espresso, n. 4453, ha rilasciato il permesso di costruire in sanatoria richiesto con l’istanza di cui sopra dalla sig.ra I.G.; anche la concessione in sanatoria è stata impugnata dalle suddette parti ricorrenti con il ricorso n. 157/2011.

3. – Posto che il suddetto provvedimento di condono non ricomprendeva una parte della opere abusive (come descritte nel verbale n. 9 del 15 marzo 2010 e nell’accertamento del 1 dicembre 2009) le opere non sanate sono state successivamente oggetto della sanzione ripristinatoria, prot. n. 28028 reg. ord. n. 261, emessa dal Comune di Nardò in data 27 luglio 2010 e gravata dalla sig.ra I.G., destinataria, con il ricorso n. 1880/2010.

3.1. – Con istanza depositata in data 8 settembre 2010 la stessa sig.ra G. ha richiesto il permesso di costruire in sanatoria, ex art. 39 della l. n. 724/1994, per le opere abusive oggetto dell’ordinanza di demolizione, versando contestualmente le somme dovute per l’oblazione.

4. – I ricorrenti, sig.ri E.G. e M.G.P., si sono costituiti nel ricorso da ultimo citato, n. 1880/2010, spiegando, altresì, ricorso incidentale avverso il provvedimento demolitorioripristinatorio, nella parte in cui prospetta la possibilità di estinguere l’illecito con l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria.

5. – A sostegno dei gravami introdotti con i ricorsi n. 243/2010 e 157/2011 avverso il rilascio del titolo abilitativo in sanatoria alla controinteressata, i ricorrenti, E.G. e M.G.P., deducono i seguenti motivi:

a) violazione e falsa applicazione dell’art. 31, comma 3, dell’art. 34, comma 3, dell’art. 35, comma 1, comma 3, lett. a, b, e c, commi 12 e 17, dell’art. 36, commi 1 e 2, dell’art. 40, comma 1, della l. n. 47/1985, dell’art. 39, comma 4, della l. n. 724/1994, dell’art. 83 delle N.T.A. del P.R.G. del Comune di Nardò, dell’art. 9, comma 1, n. 2 del D.M. n. 1444/1968 e degli artt. 7 e sg. della l. n. 241/1990;

b) eccesso di potere per violazione dei principi generali, di derivazione costituzionale, che devono presiedere l’azione ed il procedimento amministrativo, per difetto di istruttoria e di motivazione, per contraddittorietà, illogicità, irrazionalità e per travisamento e/o errore sui presupposti.

6. – A sostegno del ricorso n. 1880 del 2010, integrato da motivi aggiunti, presentato dalla sig.ra I.G. contro l’ordinanza di demolizione, sono, invece, dedotti i seguenti motivi:

a) violazione e falsa applicazione degli artt. 38, comma 1, e 44 della l 47/1985 (richiamato dall’art. 32, comma 25, del d.l. n. 269/2003, conv. in l. n. 326/2003), degli artt. 22, 31 e 37 del d.P.R. n. 380/2001;

b) eccesso di potere per illogicità manifesta e contraddittorietà dell’azione amministrativa, per erroneità dei presupposti e difetto di istruttoria nonché carenza assoluta di motivazione.

7. – Si sono costituiti, il Comune di Nardò (ricorsi nn. 243/2010 e 1880/2010), il Ministero per i Beni e le Attività Culturali nonché la Soprintendenza per i Beni architettonici, per il Paesaggio e per il Patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico, per le province di Lecce, Brindisi e Taranto (ricorsi nn. 243/2010 e 157/2011) concludendo per il rigetto dei ricorsi.

8. – All’udienza pubblica del 7 luglio 2011, fissata per la trattazione, le cause sono state trattenute in decisione.

Motivi della decisione

I. – In considerazione della evidente connessione oggettiva e soggettiva tra i ricorsi indicati in epigrafe, il Collegio ritiene opportuno procedere preliminarmente alla loro riunione.

II. – Si premette che i ricorrenti, E.G. e M.G.P., sono legittimati ad agire non solo in quanto proprietari di un fabbricato rurale su area, contraddistinta in catasto al fg. 104, p.lla 447, confinante con il terreno di proprietà della sig.ra I.G., secondo il criterio della "vicinitas", ma soprattutto in quanto il fabbricato ivi costruito abusivamente dalla medesima controinteressata, unitamente alla platea in cemento ad esso pertinenziale, delimitata da un muretto, insistono, in parte, sul fondo di loro proprietà. E’, quindi, in tal caso riconoscibile un loro interesse qualificato e differenziato rispetto al "quisque de populo" finalizzato, nello specifico, alla rimozione dell’opera costruita abusivamente e all’accertamento della legittimità della definizione della domanda di condono.

III. – Con il primo motivo di ricorso le parti sostengono, in primo luogo, che la domanda di condono della controinteressata e le successive integrazioni debbano essere considerate, quanto alla rappresentazione in fatto ed in diritto del bene che ne costituisce l’oggetto, dolosamente infedeli, evidenziando, altresì, un grave difetto di istruttoria.

Specificano, in particolare, che la suddetta istanza, in presenza dell’attività potenzialmente decettiva e ingannevole della dichiarante, lungi dal legittimare il rilascio di un provvedimento abilitativo, dovrebbe considerarsi "tamquam non esset", con conseguente obbligo, per l’Amministrazione comunale competente, di irrogare le sanzioni previste per gli abusi edilizi.

Dispone, infatti, l’art. 40, citato, rubricato "Mancata presentazione dell’istanza": "Se nel termine prescritto non viene presentata la domanda di cui all’art. 31 per opere abusive realizzate in totale difformità o in assenza della licenza o concessione, ovvero se la domanda presentata, per la rilevanza delle omissioni o delle inesattezze riscontrate, deve ritenersi dolosamente infedele, si applicano le sanzioni di cui al capo I".

III.1. – Il motivo merita accoglimento.

III.2. – Dalla produzione in atti emerge che la controinteressata, sia con l’originaria domanda che in sede di integrazione documentale, ha omesso di allegare qualsiasi documento (es. estratto di mappa catastale, planimetria e fotografie) dal quale possa agilmente evincersi la posizione del fabbricato e delle sue pertinenze nonché la loro esatta consistenza in relazione all’area su cui insistono e alle aree confinanti.

Ciò è avvenuto nonostante il fatto che nella richiesta di integrazione documentale, nota prot. 7222 del 5 marzo 1999, l’Ufficio tecnico comunale avesse espressamente richiesto "l’estratto autentico del foglio di mappa" e "il rilievo aerofotogrammetrico" entrambi "con l’esatta individuazione del lotto edificato" e significativa documentazione fotografica.

III.2.1. – Invero, dagli estratti di mappe catastali prodotti dai ricorrenti appare evidente che l’edificio abusivamente costruito occupi parzialmente la particella di proprietà dei ricorrenti (foglio 104, p.lla n. 447); né vale in contrario allegare gli esiti del giudizio possessorio conclusosi favorevolmente per la sig. I.G., posto che in tale sede ciò che assume rilevo è essenzialmente la situazione di fatto (il previo possesso) a prescindere dal regime legale o convenzionale del diritto reale corrispondente.

III.2.2. – Dalla relazione tecnica stilata (in due versioni) a seguito del sopralluogo 1 dicembre 2009 dai tecnici comunali coadiuvati dalla Polizia locale si evince, inoltre, quanto segue: "Conclusioni:

1. Dalla foto e dalla relazione tecnica redatta dal tecnico comunale in seguito al sopralluogo del 7 giugno 1983 e rispetto alle foto prodotte dalla sig.ra G. a corredo della pratica sono emerse delle difformità e precisamente: a) modifica del prospetto principale riguardante sporti e vano porta; b) sul muretto prospiciente la pubblica via è stata allocata una ringhiera di ferro; c) realizzazione di una scala esterna in adiacenza all’abitazione che porta alle terrazze;

2. Sulla pianta a firma del tecnico di parte allegata alla pratica di condono non è indicata la presenza e la consistenza di ballatoi con relativi muretti di delimitazione.

3. Realizzazione di una cisterna che fuoriesce dalla quota campagna di circa mt. +0,60 completa di autoclave e per una superficie d’ingombro di circa mq. 24,00 collegata tramite una passerella all’abitazione oggetto di accertamento (vedi foto ed allegato grafico)….".

Si aggiunge, altresì, che "La suddetta cisterna ricade su di un lotto riportato nel N.C.T. al foglio 104 particella 453 intestata al sig. GIACCARI Giuseppe nato a Nardò il 13.05.1944", ovvero su un ulteriore lotto, oltre a quello dei ricorrenti, anch’esso non di proprietà della sig.ra I.G..

Nel medesimo verbale si specifica, infine, che "dall’esame visivo non si può datare l’epoca degli interventi. La cisterna risulta dalle ortofoto dell’anno 2000 già esistente"… e che "l’intervento ricade: 1. nel Piano Regolatore Generale vigente in "zona E/1 – agricola produttiva normale", regolamentata dall’art. 83 delle N.T.A.; 2. in area sottoposta a vincolo paesaggistico con D.M. del 4 settembre 1975, pubblicato sulla G.U. n. 119 del 6 maggio 1976; 3. nel PUTT Puglia, approvato con D.G.R. n. 1748 del 15/12/2000, in ambito territoriale esteso di "valore relativo – D" e relativi ambiti territoriali".

L’esistenza delle sopra descritte difformità edilizie viene confermata nel verbale n. 9 del 15 marzo 2010, redatto dalla Polizia locale del Comune di Nardò a seguito di ulteriore sopralluogo, trasmesso alle autorità giudiziarie competenti.

III.2.3. – In conclusione, dalla produzione in atti dei ricorrenti e dagli accertamenti successivi della stessa Amministrazione si evince, da un lato, la realizzazione di manufatti non menzionati nella domanda di condono, insistenti su fondi di proprietà altrui ed effettuati oltre lo spirare del termine di cui all’art. 31, comma 1, della l. n. 47/1985, fissato nel 1 ottobre 1983 (vedasi estratto dell’istruttoria nel giudizio R.G. n. 8132/200 innanzi al Tribunale di Lecce- sez. distaccata di Nardò), dall’altro, la diversità per sagoma, superficie e prospetti del fabbricato principale rispetto a quello rappresentato in sede di condono.

III.3 – Con riferimento al difetto di istruttoria e, in particolare, alla mancanza di una verifica sulla legittimazione della sig.ra I.G. a chiedere il condono edilizio, valgano le seguenti osservazioni.

III.3.1. – Si premette che la legittimazione a richiedere il condono edilizio coincide con la legittimazione a richiedere il permesso di costruire, atteso che la funzione del condono è solo quella di consentire la sanatoria impropria delle opere edilizie in contrasto con le prescrizioni urbanistiche, fermo restando che in linea generale debbono comunque sussistere tutti gli altri presupposti per conseguire in via ordinaria il titolo edilizio (T.A.R. Veneto Venezia, sez. II, 14 gennaio 2008, n. 56). Tale legittimazione spetta, pertanto, al proprietario dell’immobile o a chi abbia titolo per richiederlo, ex art. 31, commi 1 e 3, della l. n. 47/1985 ora art. 11 del d.P.R. n. 380/2001, ovvero a tutti coloro che dimostrino di trovarsi con il bene in una relazione qualificata ancorché non necessariamente connessa ad un diritto reale.

III.3.2. – Ciò posto, il Collegio ritiene che l’Amministrazione comunale avrebbe potuto facilmente rilevarne il difetto in capo alla richiedente, trattandosi di sanatoria di opere palesemente parzialmente ricadenti sulle proprietà dei terzi.

Secondo orientamento giurisprudenziale costante, infatti, se è vero, come sostiene il Comune di Nardò, che il parametro valutativo dell’attività edilizia svolta dai privati consiste nell’accertamento della conformità dell’opera alla disciplina urbanistica, lasciando sempre salvi i diritti dei terzi -perciò la legittimità di un’autorizzazione edilizia non può comunque condizionare la regolazione dei rapporti tra parti private, tuttavia grava sull’Amministrazione l’obbligo di verificare, secondo un ordinario criterio di diligenza, l’esistenza, in capo al richiedente, di un idoneo titolo di godimento sull’area interessata dal progetto di trasformazione urbanistica.

Tale attività istruttoria è rivolta, in via principale, non già a risolvere i conflitti tra le parti private in ordine all’assetto dominicale dell’area stessa, bensì, semplicemente, ad accertare il requisito della legittimazione soggettiva del richiedente, aspetto particolarmente rilevante sia per la notevole incidenza della concessione edilizia sugli interessi pubblici e privati coinvolti, sia per evitare il grave contenzioso che deriverebbe dall’incauto rilascio di quest’ultima a soggetti non idoneamente legittimati (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. II, 18 aprile 2011, n. 364; T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 14 gennaio 2011, n. 56; T.A.R. Valle d’Aosta Aosta, sez. I, 17 novembre 2010, n. 63).

L’assolvimento di tale obbligo implica un diverso approfondimento in relazione alle circostanze concrete del caso sottoposto all’attenzione dell’Amministrazione. In particolare, l’accertamento del possesso del titolo legittimante la richiesta di titolo edilizio deve essere particolarmente approfondito nel caso in cui all’Amministrazione sia stata rappresentata e documentata una situazione di incertezza in ordine alla proprietà dell’immobile ovvero la contrarietà di soggetti titolari di diritti reali incompatibili o configgenti con il diritto del richiedente ovvero, come nel caso di specie, un’espressa opposizione da parte di terzi in sede procedimentale (T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 9 dicembre 2009, n. 3559; T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 6 dicembre 2010, n. 26817).

Nel caso specifico, numerose sono state le diffide e gli esposti presentati dai ricorrenti, in particolare da parte dell’ing. E.G. (note 25 settembre 2003, prot. n. 37979, 6 giugno 2005, 9 novembre 2009, prot. n. 44040) volte, tra l’altro, a evidenziare, attraverso la reale rappresentazione dello stato dei luoghi, la lesione del proprio diritto di proprietà.

Non vanno, altresì, trascurati i risultati dell’accertamento – riportato nella relazione tecnica seguente il sopralluogo degli stessi organi comunali – ove si prende parimenti atto dell’esecuzione di altre opere pertinenziali (cisterna) in terreno non di proprietà della richiedente (sig.ra I.G.).

III.3.3. – Tanto basta a ritenere che la scelta dell’Amministrazione di assentire comunque le opere sia effettivamente il frutto di un grave difetto istruttorio e motivazionale.

III.4. – Le parti ricorrenti sostengono, altresì, che alla domanda di condono della sig.ra I.G. doveva essere opposta declaratoria di improcedibilità con conseguente diniego della concessione in sanatoria, a norma dell’art. 39, comma 4, della l. n. 724/1994 (disposizione estesa dall’art. 49, comma 7, della n. 449 del 1997 alle domande ex l. n. 47 del 1985 per le quali non si fosse perfezionato il silenzio assenso), per la mancata presentazione dei documenti previsti dalla legge entro il termine di tre mesi dalla espressa richiesta di integrazione.

Osservano, inoltre, le stesse parti che la richiesta integrazione prescriveva per l’adempimento del relativo onere il "termine di 30 gg. dalla data di ricevimento della presente domanda", specificando che il mancato riscontro nei termini avrebbe comportato che "la domanda sarà ritenuta con rilevanti omissioni e, conseguentemente saranno applicate, ai sensi dell’art. 40 della legge 47/85, le sanzioni di cui al Capo I della medesima legge (demolizione)".

III.4.1 – La censura dei ricorrenti è fondata.

III.4.2. – Vero è che, a fronte della richiesta di integrazione documentale di cui alla nota prot. n. 7222 del 5 marzo 1999, il relativo riscontro è avvenuto tardivamente, il 17 giugno 1999, e in modo incompleto.

III.4.2.1. – Per l’incompletezza si fa preciso riferimento, come osservato dagli stessi ricorrenti, non solo all’esatta individuazione del corpo di fabbrica, come già detto, ma anche alla mancata produzione della dichiarazione dei redditi e del certificato di residenza della richiedente nella casa abusiva alla data del 16 marzo 1985.

In relazione a tale ultimo profilo occorre precisare che, nella domanda di condono, la medesima istante, alla lett. d), indichi quale "titolo di godimento o di utilizzazione dell’opera" il punto: "residenza primaria", ed effettui i calcoli compilando il quadro "D – calcolo dell’oblazione per opere destinate a prima abitazione del proprietario richiedente"; che, invece, dal certificato storico anagrafico prodotto in corso di giudizio si desume che la stessa risulta domiciliata in strada Cucchiara, 32 (ove è situato l’immobile costruito abusivamente) solo a partire dal successivo 2 dicembre 1986.

III.4.2.2. – Quanto alla tardività della integrazione il Collegio ritiene utile sottolineare che il termine di cui all’art. 35, comma 11, richiamato dalla controinteressata per la regolarizzazione documentale, decorre "dalla presentazione della domanda" e non, come nel caso specifico, dalla richiesta dell’Autorità comunale.

La "ratio" di tale disposizione va ravvisata, infatti, nella esigenza, reale e diffusa, di porre ai privati un termine congruo e perentorio per l’integrazione documentale della domanda di sanatoria, al fine evidente di definire in tempi ragionevoli le pratiche di condono giacenti presso gli uffici comunali (T.A.R. Sardegna Cagliari, 29 agosto 2003, n. 1043);

III.4.3. – Da quanto sopra esposto derivano, peraltro, ulteriori rilevanti conseguenze:

A) non vi è stata la possibilità della formazione del silenzioassenso una volta decorso il termine legale dalla data di presentazione della domanda di condono senza che il Comune abbia adottato il provvedimento di diniego, posto che, secondo giurisprudenza costante – che ha trovato conferma nella formulazione dell’art. 39, comma 4, della l. n. 724/1994 -, il maturarsi del suddetto silenzio significativo è subordinato alla completezza della documentazione da allegare alla domanda, che, nella specie, manca (T.A.R. Toscana Firenze, sez. III, 6 aprile 2010, n. 925; T.A.R. Sicilia Catania, sez. I, 9 ottobre 2007, n. 1633).

B) la richiedente, pur non avendone apparentemente i presupposti, ha dichiarato di potere usufruire del beneficio di legge costituito dalla riduzione (di un terzo) del pagamento dell’oblazione, secondo quanto previsto dall’art. 34, comma 3, della l. n. 47/1985 per i casi in cui "l’opera abusiva sia stata eseguita od acquistata al solo scopo di essere destinata a prima abitazione del richiedente la sanatoria e questi vi risieda all’atto dell’entrata in vigore della presente legge". Trattasi di aspetto che incide sulla legittimità del provvedimento di condono rilasciato. A tal proposito, se è vero che a norma dell’art. 35 della l. n. 47/1985, "trascorsi trentasei mesi si prescrive l’eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti", l’art. 40, ultimo capoverso, dispone anche che: "Le stesse sanzioni (rectius: quelle di cui al capo I, ovvero la demolizione per gli abusi edilizi) si applicano se, presentata la domanda, non viene effettuata la oblazione dovuta".

III.4.4. – Quanto esaminato basta per dichiarare l’illegittimità del provvedimento di condono rilasciato dall’Amministrazione comunale per infedele rappresentazione dello stato dei luoghi e per carenza della documentazione obbligatoria per legge, con assorbimento delle ulteriori censure dedotte.

IV. Con riferimento ai pareri emessi a fini ambientali e paesaggistici dal Comune di Nardò e dall’Amministrazione periferica del Ministero per i Beni e le Attività culturali, con il terzo motivo di ricorso le parti, lamentano sia l’illegittimità derivata, in quanto resi anch’essi sulla base di una falsa rappresentazione dei fatti, sia autonomi profili di illegittimità.

In particolare deducono che la motivazione sottesa al rilascio del parere favorevole sarebbe illogica ed irrazionale, posto che l’Amministrazione comunale avrebbe giustificato l’assenza di contrasto dell’intervento con l’ambiente circostante sul mero presupposto che lo stesso ricadrebbe in un’area parzialmente edificata, salvo, poi, aggiungere generiche e non comprovate osservazioni sulla salvaguardia delle visuali panoramiche e dell’assetto geomorfologico e idrogeologico dell’area.

IV.1. – Il motivo è fondato.

IV.2. – Si premette che il suddetto parere interviene, a fronte dell’istanza di condono del 1986, pur tardivamente, nel 2004, quando era ancora vigente il regime transitorio in materia di autorizzazione paesaggistica, di cui all’art. 159 del d.lgs. n. 42/2004 nella formulazione ante modifica introdotta dall’articolo 26 del D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 157. Tale norma, procedendo alla sostituzione integrale del citato art. 159, attraverso l’introduzione dell’esplicito richiamo all’art. 146, comma 4, del medesimo d.lgs. n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali), ha limitato solo a partire dalla sua entrata in vigore, la possibilità, per l’autorità preposta alla tutela del vincolo, di rilasciare "ex post" l’autorizzazione paesaggistica nei limitatissimi e tassativi casi previsti nel medesimo art. 167, ovvero, nei casi in cui non vi sia stata la creazione di superfici utili o di volumi o l’aumento di quelli legittimamente assentiti, facendo salva l’esecuzione di lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.

Ciò posto, il principio giurisprudenziale secondo cui lo stato di urbanizzazione di una zona assume rilevanza in sede di rilascio della concessione di costruzione nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico generale subordini l’edificazione ad un piano particolareggiato o di lottizzazione, (sicché, nel caso di lotto di intercluso o di area adeguatamente edificata e urbanizzata, la mancanza dello strumento attuativo non può essere invocata ad esclusivo fondamento del diniego di concessione edilizia), non può trovare applicazione, come invocato dall’Autorità comunale intimata, nel diverso caso in cui il piano paesistico precluda l’edificabilità nell’area al fine di impedire che sia recato pregiudizio all’interesse paesisticoambientale.

La situazione di compromissione della bellezza naturale ad opera di preesistenti realizzazioni non impedisce infatti ed, anzi, maggiormente richiede per la legittimità dell’azione amministrativa che ulteriori costruzioni non deturpino ulteriormente l’ambiente protetto (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 17 febbraio 2003, n. 876). In quanto deroga alla immodificabilità dei luoghi vincolati ed in considerazione della tendenziale irreversibilità dell’alterazione dello stato dei luoghi, un’adeguata gestione dei vincoli paesistici impone allora che l’autorizzazione paesistica rilasciata dall’autorità comunale sia congruamente motivata, chiarendo sistematicamente in quale modo, malgrado l’intervento costruttivo, il bene oggetto del vincolo rimanga nel complesso inalterato, con la conseguenza che il difetto di motivazione dell’autorizzazione giustifica per ciò solo il suo annullamento in sede di controllo (T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 27 aprile 2011, n. 767; T.A.R. Lombardia Milano, 9 aprile 1996, n. 441).

È quindi necessario motivare l’autorizzazione paesistica in modo tale che emerga l’apprezzamento comparativo, da un lato, del contenuto del vincolo e, dall’altro, di tutte le rilevanti circostanze di fatto relative al manufatto e al suo inserimento nel contesto protetto in modo da giustificare la scelta di dare prevalenza all’interesse del privato rispetto a quello tutelato in via primaria attraverso l’imposizione del vincolo, non potendo l’autorità amministrativa limitarsi ad affermazioni apodittiche (T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 3 maggio 2011, n. 923; T.A.R. Campania Salerno, sez. II, 27 aprile 2011, n. 767).

Il provvedimento della Soprintendenza non aggiunge nulla di più, limitandosi ad affermare "di non avere rilevato elementi tali da essere indotta ad annullare il provvedimento sindacale".

V. – Sulla base delle sovra esposte considerazioni:

a) il ricorso n. 243/2010 deve essere dichiarato improcedibile, per intervenuto provvedimento espresso di condono, a fronte dell’iniziale impugnativa avverso il presunto silenzioaccoglimento;

b) il ricorso n. 157/2011 deve essere accolto, con assorbimento delle ulteriori censure dedotte e, per l’effetto, annullati sia la concessione edilizia in sanatoria n. 4453 del 12 luglio 2010 che il parere paesaggistico prot. n. 43430/04 del 25 ottobre 2004, emesso dal Comune di Nardò, e il provvedimento prot. n. 0045 del 9 dicembre 2004 emesso dalla competente Soprintendenza.

VI. – Con ricorso n. 1880 del 2010 la sig.ra I.G. ha impugnato l’ordinanza di demolizione, n. 261 del 27 luglio 2010, relativa alle opere non comprese nella già citata domanda di condono presentata ex art. 31 della l. n. 47/1985 o, comunque, realizzate successivamente (come descritte nel verbale n. 9 del 15 marzo 2010, sopra richiamato) e, come tali, non rientranti nella concessione edilizia in sanatoria n. 4453 del 12 luglio 2010.

VI.1 – Sostiene, in primo luogo, la ricorrente che, in applicazione degli artt. 38 e 44 della l. n. 47/1985 e dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, la presentazione della domanda di condono dalla medesima effettuata, ai sensi dell’art. 39 della l. n. 724/1994, in data 8 settembre 2010, per la realizzazione delle suddette opere, sospenderebbe il procedimento per l’applicazione delle sanzioni, sicché l’ordine di demolizione e ripristino, notificato in data 20 settembre 2010 (sia pure emesso, antecedentemente, in data 27 luglio 2010) sarebbe illegittimo perché l’Amministrazione avrebbe prima l’obbligo di pronunciarsi sull’istanza volta ad ottenere il titolo abilitativo in sanatoria.

VI.2. – La censura è priva di pregio.

VI.2.1. – In accoglimento a quanto dedotto dai controinteressati nel ricorso incidentale, "parte qua", la citata istanza di sanatoria, ex art. 39 della l. n. 724/1994, del 8 settembre 2010, deve essere considerata palesemente "tamquam non esset", essendo decorso il termine, previsto a pena di decadenza, per la relativa presentazione.

Dispone, infatti, il comma 4, della citata disposizione: "La domanda di concessione o di autorizzazione in sanatoria, con la prova del pagamento dell’oblazione, deve essere presentata al comune competente, a pena di decadenza, entro il 31 marzo 1995". Né risultano utilmente applicabili le disposizioni del successivo condono, introdotto con d.l. n. 269/2003, conv. in l. n. 326/2003, atteso che, a noma dell’art. 32, comma 32, del medesimo decreto, "La domanda relativa alla definizione dell’illecito edilizio, con l’attestazione del pagamento dell’oblazione e dell’anticipazione degli oneri concessori, è presentata al comune competente, a pena di decadenza, tra l’11 novembre e il 10 dicembre 2004…".

VI.2.2. – Conseguentemente l’istanza di condono da ultimo presentata non è idonea a produrre effetti preclusivi o sospensivi del procedimento di irrogazione della sanzione demolitoria.

VII. Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente censura la legittimità della ordinanza di demolizione per violazione degli artt. 22 e 37 del d.P.R. n. 380/2001, ritenendo che le opere realizzate rientrino nella nozione di pertinenza dell’edificio principale – in quanto in stretto nesso oggettivo e funzionale nonché prive di autonomo valore di mercato -, con la conseguenza che le stesse, assentibili semplicemente con DIA, sarebbero soggette al diverso regime sanzionatorio di natura pecuniaria.

VII.1. – Il motivo è infondato.

VII.1.2. – Va innanzitutto premessa la dirimente considerazione che la DIA è strumento utilizzabile solo per la realizzazione di interventi che siano conformi alle previsioni della disciplina urbanisticoedilizia vigente (art. 22, citato, comma 1), da escludersi nel caso in esame.

VII.1.3. – Ciò posto si osserva che,, secondo giurisprudenza costante, la pertinenza edilizia è una nozione più ristretta rispetto al corrispondente concetto civilistico e si basa, in aggiunta, su due elementi: a) la modesta rilevanza economica del bene; b) il limitato peso insediativo per il territorio. L’applicazione puntuale di questi criteri ai singoli interventi edilizi è, poi, mediata dagli strumenti urbanistici comunali, ai quali le norme di legge affidano il compito di distinguere le pertinenze dalle nuove costruzioni assoggettate a permesso di costruire (T.A.R. Lombardia Brescia, sez. I, 12 febbraio 2010, n. 733)

VII.1.4. – Nel caso di specie, le opere realizzate, in considerazione delle dimensioni e del grado di irreversibile modifica del territorio con aumento di volumi e superfici tale da incidere sul carico urbanistico, sono ascrivibili a vere e proprie nuove costruzioni (cisterna che fuoriesce dal piano di campagna per circa mt. 0,60, completa di autoclave per una superficie di ingombro di circa mq. 24; scala esterna in adiacenza all’abitazione, ballatoi con relativi muretti di delimitazione e ringhiera in ferro allocata sul muretto prospiciente la pubblica via) ovvero, al più, alla ristrutturazione edilizia di cui all’art. 22, citato, comma 3 (modifica del prospetto principale riguardante sporti e vano porta).

Date le suddette qualificazioni, tali opere sono, pertanto, sottratte alla misura sanzionatoria di natura pecuniaria, di cui all’art. 37, d.P.R. citato, che si riferisce esclusivamente agli interventi di cui ai soli commi 1 e 2 dell’art. 22.

VII.2. – Priva di pregio è, altresì, la censura relativa all’assenza di un adeguato supporto motivazionale volto a giustificare l’irrogazione della sanzione di natura demolitoriaripristinatoria anziché di quella meramente pecuniaria.

Va, al riguardo, sottolineato che la giurisprudenza è ferma nel ritenere che a fronte dell’esercizio di un potere di vigilanza sull’attività urbanisticoedilizia di natura vincolata, l’ordine di demolizione è sufficientemente motivato con l’affermazione dell’accertata irregolarità dell’intervento, essendo in "re ipsa" l’interesse pubblico alla rimozione dell’abuso, qualunque sia lo stato della costruzione (cfr, ex plurimis, Consiglio Stato, V, 27 aprile 2011, n. 2497; T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 6 maggio 2011, n. 2584).

VIII. – Sulla base delle sovra esposte considerazioni, il ricorso n. 1880 del 2010 proposto avverso l’ordinanza di demolizione va respinto.

Per le medesime considerazioni merita, invece, accoglimento il ricorso incidentale proposto avverso il provvedimento demolitorioripristinatorio, nella parte in cui prospetta la possibilità di estinguere l’illecito con l’irrogazione della sola sanzione pecuniaria, con assorbimento delle ulteriori censure ivi dedotte.

IX. – Attesa la complessità della vicenda sottoposta all’esame, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese e competenze di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Terza

definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti:

A) dichiara improcedibile il ricorso n. 243 del 2010:

B) quanto al ricorso n. 1880 del 2010:

– respinge il ricorso principale

– accoglie il ricorso incidentale;

C) accoglie il ricorso n. 157 del 2011:

Compensa integralmente tra le parti le spese e competenze di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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