T.A.R. Puglia Lecce Sez. III, Sent., 28-07-2011, n. 1462 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Il ricorrente, ex appartenente alla Guardia di Finanza agisce per il risarcimento del danno biologico, concretantesi nella lesione alla propria integrità psicofisica (sindrome ansioso depressiva cronica, di entità mediograve), e nei conseguenti danni esistenziali e patrimoniali derivanti, quanto al ricorso n. 980/2008, da atti e fatti vessatori costituenti mobbing e, quanto al ricorso n. 1162/2010, per l’illegittimo diniego di collocamento in congedo dal 31 agosto 1997 (diritto tardivamente riconosciuto con sentenza n. 5/2007 dalla Corte dei Conti) e per la conseguente indebita permanenza in servizio a partire da tale data.

2. – Si sono costituite le Amministrazioni intimate concludendo per il rigetto del ricorso.

3. – Alla pubblica udienza del 9 giugno 2011, fissata per la trattazione, la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

I. Va preliminarmente disposta la riunione dei ricorsi all’esame che, in considerazione della loro connessione soggettiva e oggettiva possono essere decisi con un’unica sentenza.

I ricorsi sono infondati.

II. Va preliminarmente precisato quanto segue in fatto:

a) Con istanza del 31 luglio 1997, rinnovata in data 4 ottobre 1999 e 31 marzo 2000, il ricorrente, allora maresciallo aiutante della G. di F., ritenendo di essere in possesso dei requisiti stabiliti dal d.lgs. n. 503/1992, avendo già una anzianità di servizio maggiore dei venti anni, chiedeva di essere collocato in congedo con diritto alla pensione a decorrere, inizialmente, dal 31 agosto 1997.

b) Tali istanze vennero successivamente revocate atteso che, a parere dell’Amministrazione resistente, il ricorrente non possedeva i requisiti per il riconoscimento del trattamento pensionistico e, quindi, poteva essere collocato in congedo solamente senza diritto alla pensione.

c) Avverso i provvedimenti di diniego del trattamento pensionistico la parte proponeva comunque ricorso alla sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per il Piemonte, che, in prima istanza, con sentenza n. 698 del 23 marzo 2003, lo respingeva.

d) Con successiva sentenza n. 5 del 9 febbraio 2007, la sezione giurisdizionale centrale della medesima Corte dei Conti accoglieva, invece, l’appello e gli riconosceva il "diritto ad essere collocato in congedo dal 31 agosto 1997, con riconoscimento del relativo trattamento pensionistico alla data di effettiva estinzione del rapporto".

e) A fronte della perdurante inerzia delle Amministrazioni intimate il ricorrente proponeva, altresì, ricorso per l’ottemperanza, chiedendo di ordinare di dare esecuzione al giudicato, "medio tempore" formatosi, tuttora pendente.

f) A partire poi dal 2004, il ricorrente, trasferito dal Comando Regionale del Piemonte al Comando Provinciale di Lecce, ritiene di avere subito una serie di atti vessatori, sussumibili a suo parere nella fattispecie del cd. "mobbing". Evidenzia, in particolare, un rapporto di forte conflittualità con il superiore gerarchico, Comandante della Compagnia, caratterizzato, a suo dire, da reiterati tentativi di ritardare od ostacolare il proprio lavoro (dilazione della firma, continue correzioni dei documenti predisposti, lunghe attese, intermediazione di altri colleghi nonostante fosse Comandante della squadra di P.G.) e culminante, da ultimo, nel trasferimento d’autorità, per esigenze di servizio, al Comando Nucleo Provinciale della medesima città, percepito dal ricorrente come punitivo per avergli impedito di ricoprire un incarico di maggiore prestigio e per la situazione di incompatibilità presente presso la nuova sede di servizio.

g) Nelle more della conflittuale vita lavorativa il ricorrente, ritenendosi vessato dal comportamento dell’Amministrazione, manifestava i primi segni di "sindrome ansiosodepressiva endoreattiva ad andamento cronico di entità medio grave"; pertanto, in data 13 luglio 2006 presentava domanda per il riconoscimento della causa di servizio e, successivamente, veniva inviato presso il Centro Ospedaliero Militare competente per gli accertamenti del caso.

h) In data 20 aprile 2007, con verbale n. 120, il Centro Ospedaliero indicato giudicava il ricorrente permanentemente inidoneo al servizio nella Guardia di Finanza per l’esistenza di una pluralità di patologie, tra le quali quella di natura psichiatrica.

i) Con successivo verbale del 3 febbraio 2009, la Commissione Medica Straordinaria riconosceva la dipendenza da causa di servizio di talune della patologie riconosciute (per la sindrome ansiosodepressiva: "giudizio in corso accertamento sanitario iniziato in data 4/11/2008) formulando i giudizi ai fini dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata.

III. Ciò premesso in fatto, in merito alle pretese di cui al ricorso 980 del 2008, ritiene il Collegio di dovere svolgere alcune considerazioni di carattere generale sul cd. fenomeno del "mobbing" nell’ambiente di lavoro.

III.1. Per "mobbing" si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambito lavorativo, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica volte ad estromettere il lavoratore dalla struttura organizzativa e da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.

III.2. In particolare, ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psicofisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio (Cass. civ., Sez. lav., 17 febbraio 2009, n. 3785; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 31 marzo 2011, n. 528).

III.3. La ricorrenza di una condotta di mobbing va esclusa quante volte la valutazione complessiva dell’insieme delle circostanze addotte e accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare "singulatim" elementi ed episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo nel complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro. Ne deriva che la sussistenza del mobbing presuppone la dimostrazione dettagliata dei singoli comportamenti e atti che rivelino l’asserito intento persecutorio diretto ad emarginare il dipendente o estrometterlo dalla struttura organizzativa, non rilevando mere posizioni divergenti o conflittuali, fisiologiche allo svolgimento di un rapporto lavorativo.

III.4. In altri termini, il mobbing – proprio perché non può prescindere da un supporto probatorio oggettivo – non può essere imputato in via esclusiva al vissuto interiore del soggetto, ovvero all’amplificazione da parte di quest’ultimo delle normali difficoltà che connotano la vita lavorativa di ciascuno (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, I, 7 aprile 2008, n. 2877).

D’altra parte, come è stato condivisibilmente affermato, nell’esaminare i casi di preteso "mobbing" occorre evitare di assumere acriticamente l’angolo visuale prospettato dal lavoratore che asserisce di esserne vittima. Da un lato, infatti, è possibile che i comportamenti del datore di lavoro, pur se oggettivamente sgraditi, non siano tali da provocare significative sofferenze e disagi, se non in personalità dotate di una sensibilità esasperata o addirittura patologica Da un altro lato, è possibile che gli atti del datore di lavoro, pur sgraditi, siano di per sé ragionevoli e giustificati e in particolare che abbiano una certa spiegazione in quanto indotti da comportamenti reprensibili dello stesso interessato, ovvero da sue carenze sul piano lavorativo o difficoltà caratteriali. Non si deve cioè sottovalutare l’ipotesi che l’insorgere di un clima di cattivi rapporti umani derivi, almeno in parte, anche da responsabilità dell’interessato. Tale ipotesi può anzi essere empiricamente convalidata dalla considerazione che diversamente non si spiegherebbe perché solo un determinato individuo percepisca come ostile una situazione che invece i suoi colleghi trovano normale o quantomeno accettabile.

III.5. Tale cautela di giudizio si impone particolarmente quando, come nel caso in esame, l’ambiente di lavoro è un Corpo di Polizia ad ordinamento militare, caratterizzato, per definizione, da una severa disciplina e dove non tutti i rapporti possono essere amichevoli, non tutte le aspirazioni possono essere esaudite, non tutti i compiti possono essere piacevoli e non tutte le carenze possono essere tollerate. Determinati comportamenti non possono essere qualificati come mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole e alternativa spiegazione.

III.6. Sulla base delle suesposte considerazioni e tenuto conto della particolare personalità del ricorrente (v. consulenza specialistica psichiatrica di parte del 31 marzo 2008 nella quale si legge "Riferisce nel 2003, per qualche mese, disturbi episodici inquadrabili come crisi di panico quando era destinato a Torino, spontaneamente regredite"), può conclusivamente escludersi la sussistenza di condotte "mobbizzanti".

Invero, le vicende dedotte non mettono in luce un sistema di condotte vessatorie, di forte pressione psicologica, dirette, secondo un disegno unitario, ad isolare ed emarginare il dipendente nell’ambiente di lavoro, ma consistono in atti e comportamenti aderenti alle modalità di svolgimento del rapporto di subordinazione gerarchica, che implica la sottoposizione a poteri di valutazione, di verifica e di controllo da parte dei superiori gerarchici (T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 4 febbraio 2011, n. 350; T.A.R. Lazio Roma, sez. I, 8 febbraio 2011, n. 1230).

Né, del resto, il dipendente ha fornito un principio di prova in ordine all’intento effettivamente persecutorio del superiore gerarchico, il cui comportamento, per come descritto, sembra maggiormente sintomatico di una non adeguata capacità organizzativa nella gestione delle risorse umane e nella direzione del lavoro nell’ambito dell’ufficio di spettanza.

IV. – Con specifico riferimento al denegato collocamento in congedo con diritto al trattamento pensionistico, tardivamente riconosciuto solo in via giurisdizionale nel 2007, va poi rilevato che la vicenda trae origine da una erronea interpretazione delle disposizioni contenute nel d.lgs. n. 503/1992. La normativa successiva cui l’Amministrazione centrale ha fatto riferimento (art. 13 della l. n. 724/1994), come statuito dalla Corte dei Conti solo in sede di appello, entrava in vigore solo dal 1 gennaio 1998 (artt. 6 e 8 del d.lgs. 165/1997), sicché al momento in cui il ricorrente presentò la prima istanza di collocamento in congedo, continuandosi ad applicare le disposizioni dei rispettivi ordinamenti (art. 52, comma 3, d.P.R. n. 1092/1973), lo stesso poteva essere collocato in congedo con diritto alla pensione, come richiesto.

IV.1. – Ciò non di meno si osserva che per ricondurre la responsabilità della Pubblica Amministrazione al modello aquiliano, descritto dall’art. 2043 c.c., secondo quanto statuito, da ultimo, dall’art. 30 c.p.a. per accedere alla tutela risarcitoria, occorre provare: la sussistenza di un evento dannoso, l’ingiustizia del danno (in relazione alla lesione di un interesse meritevole di tutela), il nesso causale tra il suddetto evento e la condotta positiva o omissiva della Amministrazione ed, infine, l’elemento soggettivo, ossia l’imputabilità del danno, a titolo di dolo o colpa, alla stessa P.A..

V. Poiché la colpa dell’Amministrazione è configurabile nel caso in cui l’adozione dell’atto illegittimo sia avvenuta in violazione delle regole di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, laddove, cioè, vi sia stata una violazione grave e manifesta delle norme giuridiche, sicché possa esprimersi un giudizio di valore in termini di rimproverabilità, ritiene il Collegio che, nel caso specifico, non sia ravvisabile alcuna ipotesi di colpa grave, ma che, piuttosto,

l’Amministrazione sia incorsa in un errore "scusabile".

Invero l’errata applicazione della norma (art. 13 della l. n. 724/1994) è imputabile alla sua novità e, nell’ambito di un contesto di successioni di leggi nel tempo, all’effettiva incertezza iniziale sul suo reale contenuto e sul quadro di riferimento, desumibile, tra l’altro, anche dal contrasto interpretativo insorto non solo tra i vari organi dell’Amministrazione ma anche tra quelli giurisprudenziali che hanno dapprima respinto l’istanza in primo grado e, poi, l’hanno accolta in appello. La stessa sezione centrale d’appello della Corte dei Conti ha ritenuto di compensare le spese di giudizio "attesa la complessità e la relativa incertezza della materia".

VI. Quanto ai profili dell’ottemperanza del giudicato n. 5/2007/A della Corte dei Conti, che, di per sé, esulano dal "petitum" del presente giudizio, osserva il Collegio che dalla produzione in atti emerge che l’Amministrazione, lungi dal rimanere acriticamente inerte, con ciò perseverando nel supposto atteggiamento vessatorio, ha provveduto a redigere due ipotesi di trattamento pensionistico, con decorrenza, rispettivamente, dalla data di collocamento in congedo, spettante di diritto (31 agosto 1997) e dalla data di effettiva interruzione del rapporto lavorativo (20 aprile 2007), invitando il ricorrente, data l’estrema differenza dei trattamenti pensionistici, a scegliere l’opzione ritenuta più conveniente (nota prot. 16732 del 10 giugno 2008 della Guardia di Finanza – Reparto Tecnico Logistico Amministrativo Puglia, che dovrebbe essere utilmente riscontrata).

VII. Sulla base delle sovraesposte considerazioni, i ricorsi riuniti nn. 980/2008 e 1162/2010 devono essere respinti.

VIII. Sussistono ragioni di equità per compensare tra le parti le spese e competenze di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce – Sezione Terza definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti, come in epigrafe proposti, li respinge.

Compensa tra le parti le spese e competenze di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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