Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 10-02-2011) 21-07-2011, n. 29146 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Con sentenza del 31 ottobre 2001 il Tribunale di Palermo dichiarava S.A. colpevole, nella qualità di direttore responsabile del quotidiano "Nuovo Oggi Sicilia" – così corretta l’erronea indicazione della testata giornalistica diretta dall’imputato contenuta nella sentenza impugnata – del reato di diffamazione con il mezzo della stampa, commesso in danno di S. A. il 16 marzo 2000, con riferimento ad un articolo redatto da L.G., e lo condannava, previa concessione delle attenuanti generiche, dichiarate equivalenti alle contestate aggravanti, alla pena di mesi due di reclusione.

2. – Il 21 settembre 2005 la locale Corte d’appello confermava la sentenza di condanna.

3. – Con sentenza deliberata il 23 maggio 2007 la Corte Suprema di Cassazione annullava la pronuncia di secondo grado "limitatamente all’aggravante del fatto determinato e al trattamento sanzionatorio" e restituiva gli atti al giudice "a quo", il quale, con la decisione deliberata il 27 marzo 2008, portata alla cognizione di questo collegio:

– ha escluso la circostanza aggravante del fatto determinato;

– ha rldeterminato la pena inflitta dal primo giudice, in Euro 700,00 di multa, rigettando l’eccezione di prescrizione del reato proposta dalla difesa dell’appellante, sull’assunto che la possibilità di dichiarare estinto per prescrizione il reato risultava preclusa dal disposto dell’art. 624, cod. proc. pen., come interpretato dalla più recente giurisprudenza di legittimità pronunciatasi sulla problematica relativa agli effetti del così detto "giudicato progressivo" (in termini, tra le molte sentenze citate dalla Corte territoriale, Sez. 2, sentenza n. 12967 del 16/4/2007, dep. il 29/03/2007, imp. Mazzei) mantenendo ferma l’equivalenza tra le concesse attenuanti generiche e l’aggravante di cui all’art. 595 c.p., comma 3. 4. Avverso tale decisione dei giudici di rinvio, ha proposto ricorso per cassazione il S., per il tramite del suo difensore, che ne deduce l’illegittimità, prospettando in ricorso, quattro motivi d’impugnazione.

4.1 – Con il primo motivo, si denunzia violazione di legge, in relazione alla mancata declaratoria di estinzione del reato, in quanto, proprio in applicazione della norma citata in sentenza, l’art. 624 cod. proc. pen., la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare la prescrizione del reato, poichè "la connessione essenziale" tra le fattispecie criminosa tipica e le circostanze, impedisce la formazione del giudicato sul fatto-reato "nella sua interezza" e consente al giudice di rinvio di applicare la causa estintiva che consegua al riconoscimento o all’esclusione delle attenuanti o aggravanti, della cui valutazione sia stato nuovamente investito. In particolare il ricorrente ritiene, in dissenso con uno specifico passaggio della motivazione della sentenza impugnata, che "il fatto che l’esclusione di un’aggravante…. non abbia comportato una differente soglia prescrittiva – individuata in sentenza, ex art. 157 cod. pen. vecchia formulazione, come pari ad anni sette e mesi sei – è un elemento accidentale, poichè ciò che è determinante è la sussistenza o meno della connessione tra parti della sentenza", laddove l’orientamento giurisprudenziale richiamato dai giudici di rinvio, per escludere l’applicazione della prescrizione, non può essere condiviso, ricollegandosi esso all’errata concezione secondo cui le circostanze del reato rilevino esclusivamente ai fini del trattamento sanzionatorio, e non concorrano, invece, a formare la così detta "fattispecie penale complessa", da ritenersi per ciò ancora sub iudice.

4.2 – Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata "per difetto di contestazione", nel senso che i giudici del rinvio, in violazione dell’art. 522 cod. pen., avevano ritenuto, in plurimi passaggi argomentativi – e segnatamente con riferimento alla determinazione della pena ed al bilanciamento delle circostanze – che il S., dovesse rispondere del reato di diffamazione a mezzo stampa, a titolo di concorso con l’estensore dell’articolo lesivo dell’altrui reputazione, e quindi a ragione di una condotta dolosa, senza considerare invece, che al ricorrente, nella sua qualità di direttore responsabile, era stata contestata una ipotesi di reato autonoma e strutturalmente caratterizzata dall’omissione dell’attività di controllo, contemplata come causa di un evento non voluto, ed addebitabiie al direttore di stampa periodica a titolo di colpa.

4.3 – Con il terzo motivo d’impugnazione, il ricorrente denuncia violazione di legge e carenza di motivazione, relativamente all’entità della pena, sostenendo che i giudici di rinvio, oltre a rideterminare la pena "sulla scorta di un inesistente concorso nel reato di diffamazione", non avevano in alcun modo spiegato le ragioni per cui la riduzione di pena prevista dall’art. 57 cod. pen. non dovesse operare nella sua interezza, così come deciso, invece, dal tribunale e dalla Corte d’appello con la sentenza parzialmente annullata.

4.4 – Con il quarto ed ultimo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia, infine, carenza di motivazione in ordine alla mancata declaratoria di prevalenza delle concesse attenuanti generiche, evidenziando al riguardo che i giudici di rinvio, pur escludendo l’aggravante del fatto determinato, hanno ritenuto di confermare il bilanciamento in termini di equivalenza, a ragione "dell’assoluta gravità delle accuse, peraltro mosse con tecnica assai subdola e dunque carica di maggiore intensità psicologia", percorso argomentativo, questo, che se può valere con riferimento all’estensore dell’articolo, risulta incongrua con riferimento alla posizione del ricorrente, chiamato a rispondere in quanto direttore responsabile, di una condotta colposa di tipo omissivo.

Motivi della decisione

1. – L’impugnazione proposta nell’interesse di S.A. è basata su motivi Infondati e va quindi rigettata.

1.1 – Quanto al primo motivo dedotto, nessun profilo di illegittimità è infatti fondatamente ravvisabile nella sentenza impugnata, con riferimento alla mancata declaratoria di estinzione del reato contestato al ricorrente, per prescrizione, avendo i giudici di appello, disattendendo la richiesta difensiva in tal senso, fatto corretta applicazione di principi ripetutamente enunciati da questa Corte, anche nella sua più autorevole composizione, secondo cui, nel caso di annullamento parziale da parte della Corte di cassazione che abbia ad oggetto statuizioni diverse dall’accertamento del fatto-reato e della responsabilità dell’imputato, la pronuncia di condanna diviene irrevocabile, con conseguente preclusione per il giudice di rinvio di dichiarare prescritto il reato. Come da tempo chiarito da questa Corte, per l’applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen. è necessario sussista ancora un "procedimento" in punto esistenza del reato-affermazione di responsabilità dell’imputato e detto "procedimento" più non esiste una volta che essa Corte abbia annullato solo su altri punti, rigettando il ricorso su quello relativo alla responsabilità (in termini, Sez. U, Sentenza n. 6019 del 11/05/1993, dep. 14/06/1993, Rv. 193418, imp. Ligresti; Sez. U, Sentenza n. 4904 del 26/03/1997, dep. 23/05/1997, Rv. 207640, imp. Attinà; e tra le più recenti pronunce in tal senso, Sez. 4, Sentenza n. 24732 del 27/01/2010, dep. 01/07/2010, Rv. 248117, imp. La Serra).

1.2 – Con riferimento al secondo motivo, risulta assorbente il rilievo che nel presente giudizio la responsabilità penale del S., conformemente al contenuto dell’imputazione, risulta affermata con esclusivo riferimento alla qualità di direttore del quotidiano "Nuovo Oggi Sicilia" dell’imputato ed a titolo di colpa, per non aver costui impedito la commissione del reato, e non già a titolo di concorso con il redattore dell’articolo di natura diffamatoria, come si evince, del resto, anche dal differente trattamento sanzionatorio adottato nei confronti dei due imputati (e per il S. più mite, rispetto a quello riservato all’autore dell’articolo), sicchè le valutazioni svolte nella sentenza impugnata con riferimento all’elemento oggettivo del reato (assoluta gratuità delle accuse mosse nei confronti della persona offesa, formulate "con tecnica assai subdola", ritenuta indicativa di "maggiore intensità psicologica", per altro chiaramente riferibili alla sola condotta del coimputato L. e funzionali alla statuizione sull’entità della pena), non comportano alcuna immutazione del fatto contestato al S., con conseguente inconfigurabilità nel caso in esame della dedotta nullità prevista dall’art. 522 cod. proc. pen..

1.3 – Infondati devono ritenersi, infine, anche il terzo ed il quarto motivo di impugnazione, che ben possono venire esaminati unitariamente, afferendo entrambi al trattamento sanzionatorio, ove si consideri:

– quanto al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche, che la giurisprudenza di questa Corte è assolutamente univoca nel ritenere che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (così ex multis, Cass., sez. 3, sentenza n. 26908 del 22/4/2004, dep. il 16/6/2004, Rv. 229298, imp. Ronzoni) e che nello specifico la corte territoriale risulta aver congruamente assolto il proprio obbligo di motivazione, giustificando il giudizio di equivalenza in relazione alla oggettiva gravità del fatto, quale desumibile dal carattere assolutamente gratuito delle accuse mosse alla persona offesa;

– quanto all’entità della pena ed alla misura delle riduzione ex art. 57 cod. pen., che l’obbligo della motivazione in ordine alla entità della pena irrogata (Euro 700,00 di multa) deve ritenersi sufficientemente osservato, "qualora il giudice dichiari di ritenere "adeguata" o "congrua" o "equa" la misura della pena applicata o ritenuta applicabile nel caso concreto", poichè la scelta di tali termini, infatti, è sufficiente a far ritenere che il giudice abbia tenuto conto, intuitivamente e globalmente, di tutti gli elementi previsti dall’art. 133 cod. pen." (in tal senso, ex multis Cass., Sez. 6, Sentenza n. 7251 del 24/5/1990, Rv. 184395, imp. Alaovi).

2. – Il rigetto del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art. 616 cod. proc. pen. in ordine alla spese del presente procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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