T.R.G.A. Trentino-Alto Adige Bolzano, Sent., 28-07-2011, n. 287 Pene accessorie

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente, già titolare di permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato valido fino al 30.8.2008, in data 22.9.2008, chiedeva il rinnovo del suddetto titolo di soggiorno.

Successivamente, in data 25.9.20008, presentava, anche, istanza di rilascio del permesso di soggiorno CE per cittadini stranieri soggiornanti di lungo periodo, sempre per motivi di lavoro subordinato.

In seguito all’istruttoria effettuata dalla Questura di Bolzano, emergeva che a carico dell’interessato risultava essere stata emessa dal GIP presso il Tribunale di Bolzano una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti (ex artt. 444 e 445 c.p.p.) per illecita detenzione di sostanze stupefacenti; risultava, inoltre, che il ricorrente era stato denunciato alla Questura di Bolzano, in data 8.9.2008, per il reato di lesioni personali.

Quindi il Questore di Bolzano, con l’impugnato provvedimento, rigettava entrambe le istanze, sopra richiamate.

L’esito del ricorso è affidato al seguente motivo di impugnazione: "eccesso di potere – violazione dell’art. 5 comma 5 d. lgs. 286/98, nonché errata applicazione art.4 comma 345 l.286/98 (così come modificato DL 05/07) – inesistenza e mancanza di motivazione."

Con comparsa dd. 28.1.2010 si è costituita in giudizio l’Amministrazione dell’Interno – Questura di Bolzano che, con successiva memoria difensiva dd. 10.2.2010, ha chiesto il rigetto del ricorso, siccome infondato.

Con ordinanza collegiale n. 37/2010, emessa nella camera di consiglio del 23.2.2010, è stata rigettata l’istanza di sospensione cautelare dell’esecuzione dell’impugnato provvedimento, presentata in via incidentale dal ricorrente.

Alla pubblica udienza del giorno 8.6.2010 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Il ricorrente è stato condannato, con sentenza del GIP presso il Tribunale di Bolzano, emessa in data 1.4.2009 ai sensi degli artt. 444 e 445 c.p.p. ("c.d. "patteggiamento"), a due anni e 4 mesi di reclusione ed Euro 4.000,00 di multa per il reato, commesso in data 11.12.2008, di cui all’art. 73, comma 5, del D.P.R. 9.10.1990, n. 309 (illecita detenzione di 50 grammi di cocaina ai fini di spaccio); lo stesso, in precedenza, era stato denunciato alla Questura di Bolzano, in data 8.9.2008, per il reato di lesioni personali.

La norma da applicare al caso concreto è pertanto quella di cui all’art. 4, comma 3, del D.lgs. n. 286/1998, come risultante in seguito alla modifica apportata dall’art. 4, comma 1, della legge 30.7.2002, n. 189.

La suddetta previsione ricomprende espressamente, tra le cause preclusive all’ingresso nel territorio nazionale – e quindi all’accoglimento delle domande di permesso di soggiorno e relativi rinnovi ex art. 5, comma 5 (del D.lgs. n. 286/1998) – le sentenze di condanna emesse per uno dei reati dallo stesso art. 4, comma 3, "anche a seguito di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale".

E’ dunque il legislatore stesso che ha introdotto un automatismo in base al quale, in casi della specie, il provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno costituisce per l’Autorità di Pubblica Sicurezza un atto dovuto, atteso che, per effetto del combinato disposto di cui all’art. 4, comma 3 e dell’art. 5, comma 5 del D.lgs. n. 286/1998, il rinnovo del permesso di soggiorno è espressamente subordinato alla sussistenza dei requisiti richiesti per l’ingresso in Italia (cfr. questo Tribunale, 10.5.2006, n. 348; 29.6.2007, n. 250; 10.6.2009, n. 269; 25.2.2010, n. 53; CdS, sez. VI 21.4.2008, n. 1803, 5.2.2010, n. 543 e 29.9.2010, n. 7199, sez. VI, 27.12.2006, n. 7974 e 21.9.2005, n. 4913; TAR Piemonte 5.3.2010 n. 1424; TAR LombardiaBrescia 18.11.2010, n. 4649; TAR Toscana 24.11.2010, n. 6611).

Occorre, inoltre, porre in luce che la preclusione al rilascio o rinnovo del titolo di soggiorno e la previsione di revoca dello stesso, di cui agli artt. 4 e 5 del D.Lgs. n. 286/98, come successivamente modificati, non rappresentano una sanzione accessoria alla condanna ovvero una misura di sicurezza, bensì un effetto di natura amministrativa che il Legislatore fa direttamente scaturire dal fatto storico della condanna riportata per taluni specifici reati, considerati come oggettivi indici di pericolosità sociale. (cfr. C.d.S. Sez. VI, 17.5.2006, n. 2866; T.A.R. Piemonte 13.11.2006, n. 4169; T.A.R. Toscana 18.1.2007, n. 24).

Nel caso, il Questore ha motivato il rigetto, sostenendo che "la citata condanna per spaccio di sostanze stupefacenti, unitamente alla denuncia per lesioni personali, valgano a qualificare il richiedente come soggetto appartenente alle categorie di cui all’art 1 della legge 1423 del 1956, ed in particolare alle categorie di coloro che vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose e di coloro che offendono e mettono in pericolo la sicurezza e la tranquillità pubblica"; ed, ancora, che "la condotta tenuta dal ricorrente durante il suo soggiorno in Italia è stata caratterizzata dalla commissione di più reati e ciò vale non solo a dimostrare la sua inclinazione alla violazione della legge, ma anche ad escludere l’episodicità del suo comportamento illegale"; ed, infine, che "il rigetto si giustifica per la concreta ed attuale pericolosità sociale del cittadino macedone".

Vale, infatti, in proposito precisare che l’art. 4 del D.Lgs. 25.7.1998, n. 286 individua una serie di condotte integranti indici oggettivi di pericolosità sociale, da intendersi come obiettivi "requisiti individuali negativi, ostativi all’inserimento dello straniero nella comunità nazionale" (cfr. T.R.G.A. – Trento n. 6/07) e che, con riguardo all’art. 4, comma 3, nonché all’art. 5, comma 5 del D.Lgs. 25.7.1998, n. 286, come sostituito dall’art. 4 comma 1 lett. b) della legge 30.7.2002 n. 189, la Corte Costituzionale con sentenza n. 414/2006 ha dichiarato inammissibile la sollevata questione di legittimità costituzionale.

E’ infine opportuno evidenziare che in favore del ricorrente non può intervenire la previsione di cui all’art. 5, comma 5, come integrato dalla lett. b) del comma 1 dell’art. 2 del D.lgs. 8.1.2007, n. 5, che opera soltanto nel caso, non ravvisabile nel presente ricorso, dell’avvenuto esercizio del ricongiungimento familiare.

Il provvedimento impugnato, relativamente al rigetto di rinnovo del permesso di soggiorno, appare quindi legittimo ed emesso in osservanza degli artt. 4 e 5 comma 5 del D.Lgs. 286/98.

Parimenti infondato si appalesa il gravame relativamente all’istanza di rilascio del permesso di soggiorno CE per cittadini stranieri soggiornanti di lungo periodo, sempre per motivi di lavoro subordinato.

Occorre, innanzitutto, evidenziare che il decreto di rigetto, in parte qua è stato emesso in data 12.4.2008, ossia successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 3/2007, di recepimento della direttiva n. 2003/109/CE.

Quest’ultima, all’art. 6, disciplina in dettaglio la rilevanza che deve essere attribuita ad eventuali condanne penali, stabilendo che:

"1. Gli Stati membri possono negare lo status di soggiornante di lungo periodo per ragioni di ordine pubblico o pubblica sicurezza.

2. Nell’adottare la pertinente decisione gli Stati membri tengono conto della gravità o del tipo di reato contro l’ordine pubblico o la sicurezza pubblica o del pericolo rappresentato dalla persona in questione, prendendo altresì nella dovuta considerazione la durata del soggiorno e l’esistenza di legami con il paese di soggiorno".

A sua volta, il comma 4 dell’art. 9 del d.lgs. n. 286/1998 – come sostituito dall’art. 1 del precitato d.lgs. n. 3/2007 – nel regolare la disciplina relativa agli "Stranieri in possesso di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo" prevede, testualmente, che: "Il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo non può essere rilasciato agli stranieri pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Nel valutare la pericolosità si tiene conto anche dell’appartenenza dello straniero ad una delle categorie indicate nell’articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall’articolo 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell’articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall’articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646, ovvero di eventuali condanne anche non definitive, per i reati previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, nonchè, limitatamente ai delitti non colposi, dall’articolo 381 del medesimo codice. Ai fini dell’adozione di un provvedimento di diniego di rilascio del permesso di soggiorno di cui al presente comma il questore tiene conto altresì della durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo dello straniero".

Quindi, ai sensi della norma testè riportata, il Questore, nell’esame della domanda di rilascio del permesso di soggiorno CE per cittadini stranieri soggiornanti di lungo periodo, deve valutare, anche, la durata del soggiorno nel territorio nazionale e dell’inserimento sociale, familiare e lavorativo del ricorrente, senza limitarsi al rigetto del permesso de quo, in virtù di un automatismo tra condanna e revoca, non più ammissibile dopo l’entrata in vigore del citato comma 4.

Giova, altresì, evidenziare che – come sostenuto dal TAR Lombardia (sez. di Brescia sent. 587/2007), la direttiva 2003/109/CE è stata emanata "al fine di ravvicinare lo status giuridico dei cittadini di paesi terzi a quello dei cittadini degli Stati membri, nel rispetto dei diritti fondamentali e nell’osservanza dei principi riconosciuti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali nonché dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea".

Ed, in tale contesto e con questo scopo, il d.lgs. n. 3/2007, dopo detto art. 9, introduce l’art 9bis con riferimento agli: "Stranieri in possesso di un permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo rilasciato da altro Stato membro", stabilendo, al comma 6, che: "Il permesso di soggiorno di cui ai commi 2 e 3 è rifiutato e, se rilasciato, è revocato, agli stranieri pericolosi per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato. Nel valutare la pericolosità si tiene conto anche dell’appartenenza dello straniero ad una delle categorie indicate nell’articolo 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, come sostituito dall’articolo 2 della legge 3 agosto 1988, n. 327, o nell’articolo 1 della legge 31 maggio 1965, n. 575, come sostituito dall’articolo 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646, ovvero di eventuali condanne, anche non definitive, per i reati previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, nonchè, limitatamente ai delitti non colposi, dall’articolo 381 del medesimo codice. Nell’adottare il provvedimento si tiene conto dell’età dell’interessato, della durata del soggiorno sul territorio nazionale, delle conseguenze dell’espulsione per l’interessato e i suoi familiari, dell’esistenza di legami familiari e sociali nel territorio nazionale e dell’assenza di tali vincoli con il Paese di origine".

Orbene, il signor R., nel ricorso, sostiene che il Questore non avrebbe tenuto in considerazione "la situazione globale del richiedente, rispettosa sia del tempo già trascorso dal richiedente medesimo nel territorio dello Stato, che della concreta situazione familiare in cui esso si trova". Evidenzia, a tal fine, che la conferma del rigetto impugnato, comportando il suo conseguente allontanamento dall’Italia, si ripercuoterebbe negativamente sulla minorenne figlia S..

Nel provvedimento censurato, innanzitutto, viene testualmente riportato l’art. 9, comma 4, del d.lgs. n. 286/1998 come modificato dal d.lgs. n. 3/2007, non solo, ma, come sopra esposto, il Questore motiva, in maniera ampia e convincente, in ordine alla pericolosità sociale del ricorrente.

Con specifico riferimento alla situazione lavorativa ed abitativa dell’interessato, nel decreto di rigetto, si legge che queste circostanze " non valgono, nel bilanciamento dei contrapposti interessi, a far prevalere quello del cittadino straniero a permanere nel territorio nazionale rispetto a quello dello Stato, diretto alla prevenzione della commissione dei reati, tenuto anche conto della giovane età dello straniero (25 anni) e che quindi l’espulsione verso la Macedonia non comporterà per il richiedente gravi problemi di inclusione sociale nel Paese in cui è nato ed è vissuto per lungo tempo, di cui conosce la lingua e la cultura".

Appare, quindi, evidente che, nella valutazione testè riportata, non è stato omesso il rilievo da assegnare, in sede di effettuata ponderazione del bilanciamento da parte della Questura, non soltanto ai precedenti penali a carico del ricorrente, ma anche alla permanenza del medesimo sul territorio nazionale, ai suoi precedenti lavorativi, alla sua situazione di conduttore di un appartamento ed alla sua possibilità di reinserimento in Macedonia.

Per quanto attiene ai vincoli familiari, il ricorrente deduce che, con atto omologato dal Tribunale in data 02.02.2007, si è separato dalla moglie, la signora Sali Dzulijana, con cui, in data 13.01.2002, aveva avuto la figlia R.S.; che, nelle condizioni di separazione concordate, è previsto l’affidamento ad entrambi i genitori della figlia, con collocazione continuativa e prevalente presso la madre e con obbligo di corresponsione da parte di esso ricorrente di un contributo mensile al mantenimento della figlia di Euro 250,00; conclude, tra l’altro, che il rigetto delle sue istanze intese a poter rimanere sul territorio nazionale, ed "il conseguente venir meno di tale apporto economico- avrebbe gravissime ripercussioni per la crescita della figlia".

A tale proposito vale evidenziare che l’allontanamento del ricorrente dal suolo italiano non farebbe venir meno il suo obbligo di pagamento mensile di Euro 250,00 in favore della figlia, che, quindi, non subirebbe conseguenze negative sul piano economico; tanto più che, come risulta dalle condizioni concordate dai coniugi in sede di separazione consensuale, "agli effetti della disciplina degli assegni familiari ed eventuali altri sussidi da erogarsi da enti pubblici, la figlia è da considerarsi a tutti gli effetti a carico della madre".

Quanto, poi, al rapporto affettivo tra il signor R. e la figlia S., occorre precisare che quest’ultima, per comune accordo dei genitori in sede di separazione, "vivrà in misura pressoché costante e prevalente presso la madre".

In conclusione il ricorso è infondato e va, conseguentemente, respinto.

Sussistono tuttavia giustificati motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti, ad eccezione del contributo unificato, che, come per legge, rimane a carico del ricorrente.

P.Q.M.

Il Tribunale Regionale di Giustizia Amministrativa, Sezione autonoma di Bolzano definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese di giudizio compensate.

Il contributo unificato rimane a carico del ricorrente.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Bolzano nella camera di consiglio del giorno 8 giugno 2011 con l’intervento dei magistrati:

Lorenza Pantozzi Lerjefors, Presidente

Hugo Demattio, Consigliere

Luigi Mosna, Consigliere, Estensore

Margit Falk Ebner, Consigliere

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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