Cons. Stato Sez. III, Sent., 29-07-2011, n. 4530 Concorso interno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’odierno appellato/appellante incidentale ha partecipato al concorso indetto dal Ministero dell’interno con decreto n. 2231 del 15 maggio 2008 per la copertura del quaranta per cento dei posti disponibili al 31 dicembre 2006 nella qualifica di capo squadra del ruolo dei capi squadra e capi reparto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

Il concorso era stato indetto in base alle previsioni di cui al d.m. 12 ottobre 2007, n. 236 (Regolamento concernente le modalità di svolgimento dei concorsi per l’accesso al ruolo dei capi squadra e dei capo reparto del corpo nazionale dei vigili del fuoco, ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217), che prevede l’accesso al predetto ruolo mediante concorso interno per titoli, esame scritto a contenuto tecnicopratico e superamento di un successivo corso di formazione professionale.

L’art. 3, comma 6, del detto d.m. n. 236 del 2007 dispone: "l’esame consta in una prova scritta a contenuto tencicopratico consistente in appositi quesiti a risposta multipla, da risolvere in un tempo predeterminato, concernenti le materie istituzionali che saranno indicate nel bando di concorso".

L’art. 4, primo comma, del bando di concorso dispone: "l’esame consta in una prova scritta a contenuto tecnicopratico in appositi quesiti a risposta multipla, da risolvere in un tempo predeterminato, concernenti le materie istituzionali che saranno indicate successivamente".

Con successive circolari n. 3653/A2/174/CS/B del 19 agosto 2008, n. 4013/A2/CONC/B dell’8 settembre 2008 e n. 4231/174cs del 17 settembre 2008, il Ministero dell’interno ha comunicato le materie oggetto delle prove scritte ed a fissare il calendario delle prove d’esame.

Il verbale della Commissione relativo alle operazioni svolte in data 10 marzo 2009, prodromiche allo svolgimento della prova scritta, riporta testualmente che la Commissione ha "proceduto, in prima istanza, alla verifica del regolare funzionamento dei mezzi di collegamento ubicati nella sala autorimessa da utilizzare per le comunicazioni di servizio negli altri poli didattici… Terminate le operazioni preliminari di cui sopra, contestualmente agli altri poli si avviano le procedure di identificazione ed accredito dei candidati presenti nel polo di Roma… Ultimata l’identificazione, si constata la presenza nel polo di Roma di 137 candidati; il Presidente richiede a tre di essi di approssimarsi al tavolo della Commissione per dare luogo alla scelta della busta contenente l’elaborato su cui verterà la prova d’esame…I suddetti candidati, dopo aver constatato l’ìintegrità delle tre buste predisposte, hanno selezionato quella contraddistinta dalla lettera "C"… Il Presidente procede a leggere ed illustrare, di fronte alla telecamera, l’estratto del disciplinare concernente le modalità di svolgimento della prova e le avvertenze cui attenersi invitando i Presidenti dei Comitati di vigilanza a fare altrettanto, mentre i restanti componenti della Commissione danno corso agli adempimenti propedeutici quali la trasmissione del questionario agli altri poli nonché la fotocopiatura del medesimo…".

All’esito dello svolgimento delle prove concorsuali, l’odierno appellato/appellante incidentale si è posizionato al duecentoventesimo posto della graduatoria di merito (essendogli stati riconosciuti 10,272 punti per anzianità e 26,5 punti per la votazione ottenuta nella prova scritta) e non è stato ammesso al corso di formazione professionale prodromico all’attribuzione delle nuove funzioni.

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (n. R.G. 5729/2010), egli ha lamentato sotto diversi profili l’illegittimità della procedura e ha chiesto in via principale l’annullamento della graduatoria ed in via gradata l’annullamento del D.M. n. 236/2007 e del bando di concorso.

Con la decisione indicata in epigrafe, il Tribunale amministrativo regionale, ordinata preliminarmente l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti interessati alla conservazione degli atti impugnati e ritenuti poi sussistenti, all’ésito della intervenuta e non contestata corretta instaurazione del contraddittorio, i presupposti per l’adozione di una sentenza in forma semplificata ai sensi del c.p.a., ha accolto il ricorso nel suo petitum di annullamento del bando e degli atti successivi, ravvisando:

a) la violazione delle univoche indicazioni dettate dall’art. 3 del d.m. n. 236 del 2007, in relazione alla mancata indicazione nel bando di concorso delle materie oggetto della prova scritta;

b) la violazione degli indirizzi forniti dalla Circolare ministeriale del 19 agosto 2008 in ordine alle modalità del sorteggio e dell’apertura delle buste contenenti i quiz.

La sentenza è stata appellata dal Ministero dell’interno (ricorso n. R.G. 148/2011), che ne ha chiesto l’integrale riforma, deducendone l’erroneità.

Si è costituito in giudizio, per resistere, l’appellato, il quale assume l’inidoneità delle censure mosse dall’Amministrazione appellante ad invalidare la decisione del Giudice di primo grado.

Lo stesso ha proposto contestualmente appello incidentale, affinché, "ove accolto l’appello principale", fosse esaminata la fondatezza dei motivi, ch’egli aveva in via principale formulato in primo grado relativamente alla valutazione della sua prova quanto alle risposte date ai quesiti nn. 42 e 50 e che il T.A.R. ha considerato assorbiti.

Con Ordinanza n. 00377/2011, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 28 gennaio 2011, è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata.

All’udienza pubblica del giorno 15 aprile 2011 i procuratori delle parti costituite hanno rassegnato le rispettive conclusioni ed il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. – Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Ministero dell’interno avverso la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, con cui è stato accolto il ricorso proposto dall’odierno appellato/appellante incidentale avverso gli atti della procedura concorsuale indetta dal Ministero dell’interno con decreto n. 2231 del 15 maggio 2008 per la copertura del quaranta per cento dei posti disponibili al 31 dicembre 2006 nella qualifica di capo squadra del ruolo dei capi squadra e capi reparto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.

2. – L’appello è in parte da respingere ed in parte da dichiararsi inammissibile per carenza di interesse.

3. – Con il primo motivo di gravame l’appellante principale lamenta che la sentenza indebitamente abbia ritenuto che la procedura concorsuale nel suo complesso fosse illegittima per violazione delle prescrizioni di cui all’art. 3 del d.m. 12 ottobre 2007, n. 236 (Regolamento concernente le modalità di svolgimento dei concorsi per l’accesso al ruolo dei capo squadra e dei capo reparto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, ai sensi dell’articolo 12 del decreto legislativo 13 ottobre 2005, n. 217), "(atteso che) i quesiti in cui si articolava la prova scritta avrebbero dovuto concernere materie da specificarsi (ciò che, nell’occasione, non si è pacificamente verificato) nel bando di concorso".

Secondo l’appellante stesso la sentenza è infatti per questa parte viziata, perché le materie oggetto d’esame sono state poi in realtà specificate con la circolare n. 3653/A2/CS/B in daqta 19 agosto 2008, "di poco successiva alla pubblicazione del bando (15.5.2008)… diramata con le medesime modalità" (pag. 6 app.).

Il T.A.R. avrebbe invero "basato sic et simpliciter su di un elemento meramente formale, quale la semplice constatazione della mancata tempestiva e dettagliata specificazione delle materie d’esame nel bando di concorso, il proprio convincimento circa la sussistenza di un vizio di legittimità, rinviando poi in modo del tutto generico ai principi – da tempo canonizzati in giurisprudenza – che presiedono allo svolgimento dei concorsi pubblici, senza tuttavia esplicitare quali sarebbero gli specifici principi effettivamente violati, sorvolando sulle esigenze di economicità, speditezza, efficacia ed efficienza che avevano determinato l’Amministrazione a bandire comunque la procedura concorsuale nelle more della puntuale definizione delle materie d’esame".

Il Giudice di primo grado avrebbe poi anche omesso "di precisare quali lesioni si sarebbero prodotte alle posizioni giuridiche dei ricorrenti, dal momento che l’indicazione successiva delle specifiche materie oggetto della prova d’esame… è stata tempestiva per tutti gli aspiranti al concorso nel pieno rispetto della par condicio, e non già solo per i ricorrenti" (ibidem).

3.1 – Il motivo è infondato.

Il Collegio osserva anzitutto che l’appello non si dirige (e non contiene alcuna censura) avverso il capo della sentenza impugnata, che afferma l’insussistenza nella fattispecie di un onere di proposizione di immediata impugnativa avverso la previsione del bando di concorso contestata (art. 4), sì che le relative statuizioni debbono intendersi passate in giudicato ed in quanto tali non suscettibili di revisione, in mancanza di espresso e specifico gravame sul punto, in sede di appello; il che costituisce fondamentale elemento di divergenza del presente giudizio rispetto a quello concernente fattispecie concorsuale analoga, deciso in senso favorevole all’Amministrazione con la recente decisione di questo Consiglio n. 177/2011.

Nel merito della questione, vale rilevare che, con il ricorso di primo grado, l’odierno appellato/appellante incidentale aveva lamentato sul punto anzitutto l’illegittimità del regolamento ministeriale n. 236/2007 nella parte in cui ha demandato al bando di concorso, in violazione dell’art. 12 del D. Lgs. n. 217/2005, la indicazione delle materie dell’esame scritto.

La censura si fondava così sul presupposto che l’art. 12, comma 7, del D. Lgs. n. 217/2005 ha, ab origine, disposto che "con regolamento del Ministro dell’interno (il poi intervenuto D.M. n. 236/2007), da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono stabilite le modalità di svolgimento dei concorsi di cui al comma 1, le materie oggetto dell’esame scritto di cui al comma 1, lettera b)", laddove, invece, tale regolamento ha delegato la potestà di individuare le "materie istituzionali" (così l’art. 3, comma 6, del citato D.M.) al bando di concorso, il quale a sua volta è stato integrato per questo specifico aspetto, per quanto concerne la procedura concorsuale all’esame, dalla circolare n. 3653/A"/174/CS/B del 19 agosto 2008.

Orbene, il T.A.R. ha in proposito osservato che "… (in deroga a quanto stabilito, "in parte qua", dal D.P.R. n.487/94) l’art.12, comma 7, del d.lg. n.217/2000 ha affidato direttamente alla fonte regolamentare il compito di stabilire (tra l’altro) le materie oggetto dell’esame scritto; -che tale disposizione è stata, nella circostanza, palesemente disattesa: essendosi, col decreto n.236/2007, demandato al bando di gara di disciplinare questo importantissimo aspetto della procedura…", così sancendo, pertanto, la violazione della fonte gerarchicamente sovraordinata ad opera del D.M. n. 236/2007.

Tanto il Giudice di primo grado ha tuttavia operato con quello che deve considerarsi un mero "obiter dictum" (sul quale peraltro l’appello principale dell’Amministrazione nulla osserva), dal momento che nel prosieguo della motivazione, così come del resto nel dispositivo della sentenza stessa, il T.A.R. si limita a qualificare in termini di illegittimità (e ad annullare) "quale primo atto riconosciuto illegittimo" il solo bando di concorso e gli atti successivi della procedura e non anche il D.M. n. 236/2007.

Peraltro, la censura di violazione dell’art. 12 del D. Lgs. n. 237/2005 ad opera del D.M. n. 236/2007, così come riproposta nelle difese dell’appellato, risulta priva di fondamento.

Se è vero, infatti, che il comma 7 dell’art. 12 cit. demanda al potere regolamentare dell’Amministrazione (poi esercitato nella fattispecie con l’emanazione del D.M. 12 ottobre 2007, n. 236) l’indicazione delle "materie oggetto dell’esame scritto di cui al comma 1, lettera b)", non ritiene il Collegio che con detta disposizione il legislatore abbia anche inteso introdurre (pur se "minus dixit quam voluit") una "riserva assoluta" di legge o di regolamento in tema di scelta delle materie oggetto del predetto esame, dal momento che, secondo un pacifico canone ermeneutico, le "riserve" (di materie oggetto di disciplina normativa) a fonti normative determinate sono da considerare "assolute" solamente in presenza di espresse (o quantomeno inequivoche) disposizioni in tal senso.

E poiché l’art. 12 cit. non ha espressamente né inequivocabilmente "vietato" che la fonte regolamentare di settore potesse, a sua volta, "delegare" la fissazione delle materie ad altra specifica "fonte di regolazione" (quale quella dell’atto a contenuto generale non normativo rappresentata dal bando di concorso), il Regolamento, laddove (all’art. 3, comma 6) ha a sua volta demandato alla stessa Amministrazione tale disciplina in relazione alla specificità del singolo concorso di volta in volta da bandirsi – gravandola di un vero e proprio ònere in tal senso, dal cui adempimento deriva, come meglio si vedrà più avanti, la legittimità dell’azione procedimentale e del provvedimento finale – non contrasta affatto ed è anzi perfettamente compatibile con i principii posti dal veduto art. 12, comma 7, della fonte legislativa sovraordinata, da ravvisarsi esclusivamente nel divieto, riconducibile ai generalissimi principii di trasparenza ed imparzialità dell’azione amminisrtrativa, di fissare le materie oggetto della prova scritta in un momento successivo a quello dell’indizione del concorso; ciò anche tenuto conto della considerazione che non si comprenderebbe la ratio di una "riserva assoluta di regolamento" in tema di fissazione delle materie oggetto dei concorsi per l’accesso alla qualifica iniziale del ruolo dei capi squadra e dei capi reparto del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, in un sistema ordinamentale – all’interno del quale comunque la predetta specifica normativa di settore si inserisce – in cui l’indicazione delle materie oggetto delle prove scritte ed orali dei concorsi per l’accesso ai pubblici impieghi è in ogni caso in via generale demandata al bando di concorso (art. 3, comma 2, del D.P.R. n. 487/1994).

Una volta premesse tali considerazioni sulla insussistenza di qualsivoglia illegittimità nella disposizione dell’art. 3 del D.M. 12 ottobre 2007, n. 236, laddove devolve al bando di concorso l’indicazione delle "materie istituzionali" oggetto della prova scritta del concorso interno ivi disciplinato, l’opinione del Collegio converge con quella del T.A.R. nel ritenere illegittimo il bando di concorso oggetto del presente giudizio, pacificamente privo della specificazione delle materie richiesta dall’art. 3 del D.M. n. 236/2007.

Invero, la difformità del bando dalla previsione normativa (art. 3 cit. ed art. 12 del D. Lgs. 13 ottobre 2005, n. 217) genera una palese violazione di legge (che, come s’è visto, richiede che la fissazione delle materie avvenga in un momento non successivo a quello della indizione del concorso), la cui deduzione e rilevabilità in sede giurisdizionale prescinde dalla ricerca della sussistenza di una perdurante e specifica lesione in capo ai candidati a séguito della emanazione della successiva circolare, che l’Amministrazione afferma essere "intervenuta a perfezionare la procedura colmando la potenziale mancanza del presupposto di legittimità ab origine" (pag. 6 app. princ.).

Una volta chiarito, infatti, che, in relazione alla procedura per cui è causa, il bando ometteva di indicare direttamente le materie che avrebbero costituito oggetto della prova scritta (e solo il bando, sulla base delle citate norme, poteva prescrivere ciò), non occorre domandarsi quale lesione i candidati possano aver avuto (in particolare sulla preparazione propedeutica allo svolgimento del concorso, sulla quale insistono le argomentazioni dell’Amministrazione) dalla clausola del bando stesso (art. 4), che ne prevedeva la successiva indicazione, atteso che, al di fuori delle situazioni in cui lo Stato esercita le proprie funzioni sovrane, il modo in cui l’amministrazione esercita i propri poteri discrezionali per realizzare i pubblici interessi cui è preposta è scrutinabile in termini di legittimità ogni qual volta siano state violate norme di legge o quel potere abbia comunque ecceduto i propri limiti e ne sia risulta pregiudicata una posizione soggettiva individuale; e l’interesse del soggetto leso dallo scorretto esercizio del potere si configura, in questi casi, come interesse legittimo a che, per quanto riguarda in specie il caso particolare di un pubblico concorso, lo stesso si svolga correttamente, senza subire alterazioni procedimentali, che ne possano pregiudicare la regolarità in violazione del paradigma disegnato dal legislatore.

In presenza, invero, di siffatte alterazioni, l’interesse legittimo (della cui sussistenza in capo all’originario ricorrente qui non si controverte, né v’è motivo per metterla in qualche modo in discussione) si presenta come la situazione giuridica naturale di protezione dell’interesse del singolo nascente dalla normativa, che, nell’attribuire quel determinato potere (autoritativo) all’Amministrazione, abbia individuato in capo alla stessa obblighi di comportamento orientati al rispetto della legge proprio in funzione della valutazione, compiuta direttamente dal legislatore e non suscettibile di rivisitazione né in sede amministrativa né in sede giurisdizionale (tanto meno alla luce di pretese esigenze di efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa asseritamente contrastanti con l’osservanza "meramente formale" delle norme), della attitudine del rispetto di quegli obblighi a soddisfare l’interesse legittimo dello specifico individuo, che ne risulti titolare in relazione a quella specifica funzione amministrativa (nel caso di un pubblico concorso, il candidato); in particolare, nel presente giudizio, risultano così del tutto inconferenti, a fronte dell’accertato inadempimento da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di indicazione delle materie oggetto d’esame nel corpo del bando di concorso, le insistite argomentazioni della stessa circa la "prevedibilità" (e ricavabilità da altre fonti) delle materie stesse e circa il tempo più che adeguato di cui comunque avrebbero usufruito i candidati per una adeguata preparazione, atteso che la lesione per il candidato deriva di per sé dall’inosservanza dell’obbligo normativamente stabilito, che non può certo essere declassato a mera "raccomandazione" in funzione di una valutazione del tutto arbitraria (ed unilaterale) compiuta dall’Amministrazione in ordine alle conseguenze pratiche della violazione compiuta.

Né a siffatti principi consentono poi di derogare quelli, invocati dall’Amministrazione appellante, "di ponderazione e bilanciamento degli interessi (pubblici e privati), della proporzione della misura adottata, del minor sacrificio per le posizioni dei soggetti interessati dai provvedimenti adottati e quello della conservazione degli atti giuridici" (pag. 8 app. princ.).

A siffatte deduzioni basta invero opporre, oltre alle considerazioni sopra svolte, il convincimento del Collegio che il pur fondamentale principio di conservazione dei valori giuridici che riguarda i rapporti e le attività sia dei privati sia delle pubbliche amministrazioni (così come gli altri invocati, che attengono più specificamente al momento della disciplina dell’attività pubblicistica della P.A.) siano applicabili solo quando non risultino nella vicenda coinvolti altri principii di carattere generale in qualche modo violati o comunque compromessi dalla operazione di salvezza o di bilanciamento; pricipi ravvisabili, in un concorso indetto da una P.A., nella regolarità dello svolgimento della procedura selettiva e nella idoneità effettiva dello strumento utilizzato a selezionare i concorrenti più meritevoli, che, a loro volta espressione dei principi di rango costituzionale di trasparenza ed imparzialità dell’azione amministrativa, risultano nella fattispecie messi in concreto pericolo dalla indicazione delle materie oggetto della prova d’esame in un momento successivo a quello della indizione della prova concorsuale, e successivo addirittura al termine di scadenza per la presentazione delle domande di ammissione alla procedura con indicazione dei titoli fatti valere; un momento, insomma, in cui la scelta in questione può essere anche solo in astratto influenzata dalla conoscenza del numero dei partecipanti alla procedura, dei loro nominativi e dei titoli da ciascuno "spesi" per l’attribuzione del relativo punteggio.

Come, invero, ha correttamente rilevato il Giudice di primo grado, i "principi – da tempo "canonizzati" in giurisprudenza – che presiedono allo svolgimento dei concorsi pubblici… prima ancora che "essere", devono – soprattutto – "apparire" ispirati dalla trasparenza e dall’imparzialità"; e tali principi risultano indubbiamente messi in pericolo laddove, in violazione peraltro di precise norme che individuano nel primo atto della procedura selettiva quello in cui si fissano tutti gli elementi oggetto della valutazione (tra cui gli argomenti oggetto delle prove d’esame), siffatti elementi siano scelti nel corso della procedura medesima, con tutti i conseguenti risvolti in termini quanto meno di mancanza di trasparenza.

3.2. – In definitiva, la sentenza impugnata è da confermare laddove ha ritenuto l’illegittimità del bando del concorso di cui si tratta nei sensi e nei limiti di cui sopra, risultando le vedute contrarie deduzioni svolte dall’Amministrazione appellante con il primo motivo dell’atto di appello principale del tutto infondate.

4. – Tanto comporta:

– l’inammissibilità per carenza di interesse del secondo motivo dell’appello principale, rivolto avverso la statuizione della sentenza di primo grado che ha ravvisato un profilo di illegittimità in operazioni della procedura concorsuale comunque ponentisi a valle del bando di concorso, che, come s’è visto, risulta annullato in accoglimento del primo profilo preso in considerazione dal T.A.R. (statuizione che come s’è sopra accertato resiste all’appello opposto dall’Amministrazione), con conseguente travolgimento dei successivi atti della procedura;

– l’improcedibilità per carenza di interesse dell’atto di appello incidentale, comunque espressamente condizionato dall’appellante medesimo all’accoglimento dell’appello principale, che, come s’è detto, è da escludersi.

5. – In conclusione, l’appello principale va in parte respinto ed in parte va dichiarato inammissibile, mentre l’appello incidentale va dichiarato improcedibile.

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti spese ed onorari del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe:

– in parte respinge ed in parte dichiara inammissibile, nei sensi di cui in motivazione, l’appello principale;

– dichiara improcedibile l’appello incidentale;

– per l’effetto, conferma, nei sensi di cui in motivazione, la sentenza impugnata.

Spese compensate.

Cessano gli effetti dell’Ordinanza n. 00377/2011, pronunciata nella Camera di Consiglio del giorno 28 gennaio 2011, di accoglimento della domanda di sospensione dell’esecuzione della sentenza appellata.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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