T.A.R. Lazio Roma Sez. III ter, Sent., 29-07-2011, n. 6817

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in epigrafe E.I. ha impugnato il silenzio serbato dalla R.R.I. in ordine alla sua istanza di "ammissione proposta spazio (in) formativo" per l’attuazione di un progetto di informazione sul tema della Costituzione italiana; istanza presentata in data 14 maggio 2010.

Deduce:

violazione dell’art. 2 della legge n. 241/90, in relazione all’obbligo di provvedere con provvedimento esplicito; invoca in particolare l’art. 21 della Costituzione in base al quale "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione"; assume formatosi il silenzio inadempimento trascorsi trenta giorni dall’istanza.

Costituitasi la RAI ha eccepito: 1) l’inammissibilità del ricorso per mancata notifica ad almeno un controinteressato; 2) il difetto di legittimazione passiva dovendo il ricorso essere diretto alla competente Commissione parlamentare di indirizzo e vigilanza sui servizi radiotelevisivi; 3) il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, essendo la RAI una società per azioni non operando con la forma del procedimento amministrativo; ha quindi sostenuto l’infondatezza nel merito del ricorso non sussistendo l’obbligo di provvedere sull’istanza in questione, che peraltro non risulta nemmeno pervenuta.

Tanto premesso, il Collegio osserva, in ordine alla questione preliminare della giurisdizione, come il Consiglio di Stato abbia avuto recentemente modo di affermare, in ordine al requisito soggettivo dell’ente, qualificato formalmente società per azioni, come "l’art. 7, C.p.a., dopo aver disposto, al comma 1, che "sono devolute alla giurisdizione amministrativa le controversie, nelle quali si faccia questione di interessi legittimi" (oltre che, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi, concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, riguardanti provvedimenti, atti, accordi o comportamenti riconducibili anche mediatamente all’esercizio di tale potere, posti in essere da pubbliche amministrazioni), dispone, al comma 2, che "per pubbliche amministrazioni, ai fini del presente codice, si intendono" anche, da un lato, "i soggetti ad esse equiparati", dall’altro, i soggetti "comunque tenuti al rispetto dei principi del procedimento amministrativo";

quanto alla possibilità di considerare RAI s.p.a. soggetto "equiparato" alla pubblica amministrazione in senso classico, giova considerare che, come già osservato dalla giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, VI, n. 1478/98; sez. VI, 2 marzo 2001, n. 1206), la veste societaria è neutra non essendo quindi di per sé incompatibile con il riconoscimento della natura di ente pubblico;

la natura pubblica, pertanto, non può essere esclusa con riguardo ad organismi i quali, pur presentando forma societaria, siano sottoposti ad una disciplina derogatoria rispetto a quella codicistica e sintomatica della strumentalità rispetto al conseguimento di finalità pubblicistiche, oltre che, ancor più significativamente, dell’attrazione in orbita pubblicistica;

quanto a RAI s.p.a., numerosi sono gli elementi che attestano tanto la strumentalità della stessa rispetto al conseguimento di finalità pubblicistiche, quanto la sua attrazione in orbita pubblicistica;

tra questi, paiono al Collegio oltre modo significative le circostanze costituite dalla prevista nomina di numerosi componenti del Consiglio di Amministrazione non già ad opera dal socio pubblico, ma dalla Commissione parlamentare di vigilanza, dalla indisponibilità dello scopo da perseguire, prefissato con atto normativo, dalla destinazione alla copertura dei costi del servizio dalla stessa gestito di un canone di abbonamento, avente natura di imposta;

la stessa Cassazione, ancorché al diverso fine di definire la questione relativa alla qualificabilità come erariale del danno cagionatole dai suoi agenti, ha di recente sostenuto che si tratti di ente sostanzialmente assimilabile ad una amministrazione pubblica (Sez. un., 22 dicembre 2009, n. 27092);

a tale esito le Sezioni unite sono pervenute valorizzando una pluralità di indici sintomatici dell’attrazione in orbita pubblicistica di RAI s.p.a., tra cui la sua designazione direttamente ad opera della legge quale concessionaria dell’essenziale servizio pubblico radiotelevisivo, svolto nell’interesse generale della collettività nazionale per assicurare il pluralismo, la democraticità e l’imparzialità dell’informazione; la sua sottoposizione a penetranti poteri di vigilanza da parte di un’apposita commissione parlamentare, espressione dello Stato – comunità; la destinazione alla copertura dei costi del servizio dalla stessa gestito, di un canone di abbonamento, avente natura di imposta e gravante su tutti i detentori di apparecchi di ricezione di trasmissioni radiofoniche e televisive, che è riscosso e le viene versato dall’Agenzia delle Entrate; la sua sottoposizione al controllo della Corte dei Conti" (Cons di St Sez. VI 24 novembre 2010 n.5379).

Deve pertanto in primo luogo escludersi che la natura giuridica di società per azioni possa incidere in modo determinante sulla giurisdizione del giudice amministrativo.

Tuttavia la richiesta qui avanzata dal privato afferisce ad una attività di programmazione delle trasmissioni televisive di specifica competenza dell’editore, sotto la vigilanza della Commissione parlamentare competente, che non s’inquadra in una procedura amministrativa alla quale applicare la normativa contenuta nella legge n. 241/90. In particolare l’art. 2 invocato dal ricorrente riguarda procedimenti amministrativi che conseguono obbligatoriamente ad una istanza di parte ovvero che debbano essere iniziati d’ufficio, e nel caso in esame è di tutta evidenza in primo luogo che la scelta dei programmi non avviene attraverso un procedimento amministrativo, che essa comunque non consegue obbligatoriamente ad iniziativa di una parte privata, né che debba essere obbligatoriamente iniziata d’ufficio. E’ attività di natura imprenditoriale rimessa alle scelte dell’imprenditore, anche pubblico, nei limiti del controllo dell’attività di vigilanza.

Di fronte quindi ad un privato che chiede alla RAI di inserire una propria iniziativa nell’ambito della programmazione della rete non sussiste alcun obbligo della stessa RAI di provvedere, sia perché nessuna specifica disposizione lo prevede, sia soprattutto perché nella fattispecie non appare applicabile l’invocata normativa della legge n. 241/90.

E’ appena il caso di soggiungere come la libertà di pensiero di cui all’art. 21 della Costituzione non possa essere letta nel senso che ogni cittadino vanti una posizione giuridica qualificata nei confronti di qualsiasi testata giornalistica o televisiva (ancorché concessionaria di un servizio pubblico) per l’inserimento e la diffusione del suo pensiero; il suddetto principio costituzionale deve essere ovviamente contemperato con altri (tra i quali l’art. 41) e detto contemperamento può essere assicurato solo dalla legge.

Per i suddetti motivi il ricorso deve essere respinto.

La condanna al pagamento delle spese di giudizio segue la soccombenza; esse sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Ter)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore della R.R.I. delle spese di giudizio che liquida in complessivi Euro 3.000 (tremila)

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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