Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 15-12-2011, n. 27060 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Salerno, con la sentenza n. 1647 del 2005, depositata il 27 dicembre 2006, rigettava l’appello proposto da R.C. nei confronti di Poste Italiane spa, avverso la sentenza del Tribunale di Salerno n. 65 del 2005.

Il R. aveva adito il Tribunale esponendo di aver lavorato alle dipendente di Poste Italiane spa, con mansioni di portalettere adibito al carico e scarico degli effetti postali, Area Operativa, in forza di contratto di lavoro a tempo determinato, indicato con durata dal 10 febbraio 2001 al 31 maggio 2001.

Lo stesso asseriva che l’assunzione era stata espressamente motivata dalla sussistenza di esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi comprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi.

Tanto premesso, deduceva che l’apposizione del termine ai vari contratti di assunzione era da ritenersi affetta da nullità in quanto erano assolutamente inesistenti le prospettate esigenze di carattere straordinario: la spa Poste, infatti, al fine di ovviare alla carenza cronica di personale addetto al recapito, non fronteggiata da alcuna assunzione a tempo indeterminato, aveva, in frode alla legge ed in violazione dei criteri di cui alla L. n. 230 del 1962, fatto ricorso sistematico, continuo e incontrollato ai contratti a tempo determinato ben oltre la scadenza del termine del 30 settembre 1998, stabilito da accordi sindacali successivamente stipulati.

2. Per la cassazione della suddetta sentenza ricorre il R. prospettando due motivi di impugnazione.

3. Resiste con controricorso la società Poste Italiane spa.

Motivi della decisione

Motivazione semplificata.

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 25 del CCNL poste, della L. n. 230 del 1962, artt. 1, 3 e ss., della L. n. 56 del 1987. Omessa e insufficiente contraddizione su un punto decisivo della controversia. Insussistenza delle condizioni per apporre il termine con riferimento alla motivazione espressa "esigenze di carattere straordinario".

Il ricorrente afferma, in particolare, che nella sentenza nulla viene esposto in ordine alla ravvisata o meno individuazione della esistenza del nesso causale tra le motivazioni genericamente espresse nel contratto e quelle riscontrabili nel caso concreto e che, come previsto dalla L. n. 230 del 1962, art. 3 e non modificato dalla L. n. 56 del 1987, è onere del datore di lavoro provare l’obiettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione del termine al contratto di lavoro. Deduce altresì che nessuna valenza può attribuirsi al richiamo al D.Lgs. n. 368 del 2001 in quanto il diritto si era già perfezionato. I quesiti di diritto hanno il seguente tenore:

se l’accordo integrativo 25 settembre 1997 contenga in sè la limitazione temporale relativa alla sussistenza delle condizioni legittimanti l’esistenza di "esigenze eccezionali …" e tale termine era fissato al 30 aprile 1998;

se la L. n. 230 del 1962 e la L. n. 56 del 1987, art. 23 costituiscono la normativa applicabile nel caso di specie, ed ai sensi di tale normativa la legittimità della apposizione del termine al contratto di lavoro a tempo determinato è subordinata alla allegazione ed alla prova, a carico del datore di lavoro del nesso di causalità tra la singola assunzione e le reali esigenze di fatto ad essa sottese, con obbligo di valutazione caso per caso della sussistenza delle condizioni legittimanti l’esistenza di esigenze di carattere straordinario.

1.1. Il motivo non è fondato e, pertanto, deve essere rigettato.

La sentenza della Corte d’Appello di Salerno, che ha escluso, con congrua motivazione, la nullità della clausola, è conforme a diritto.

Va premesso che il contratto in causa (con durata dal 10 febbraio 2001 al 31 maggio 2001) è stato stipulato, ai sensi dell’art. 25 del CCNL del 2001, in data anteriore al D.Lgs. 368 del 2001 (pubblicato sulla G.U. del 9 ottobre 2001 ed entrato in vigore il 24 ottobre 2001); pertanto, nella fattispecie trova, innanzitutto, applicazione l’art. 11 comma 3 del citato Decreto, in virtù del quale "I contratti individuali definiti in attuazione della normativa previgente, continuano a dispiegare i loro effetti fino alla scadenza".

Nel regime, quindi, anteriore al citato D.Lgs., in base all’indirizzo ormai consolidato affermato da questa Corte con riferimento ai contratti a termine conclusi ai sensi dell’art. 25 del CCNL del 2001, le censure della ricorrente non risultano fondate.

In particolare questa Corte Suprema (v. fra le altre Cass. 26 settembre 2007 n. 20162, Cass. 1-10-2007 n. 20608)ha osservato, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983 n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001.

In specie, quale conseguenza della suddetta delega in bianco conferita dal citato art. 23, questa Corte ha precisato che i sindacati, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente "soggettivo", costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti.

L’art. 25, secondo comma, del CCNL 11 gennaio 2001 prevede, come si è visto, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi. In ordine a ciò questa Corte ha ritenuto che il legislatore ha conferito una "delega in bianco" ai soggetti collettivi ed ha imposto al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962.

Del pari, nel quadro delineato, neppure era necessario che il contratto individuale contenesse specificazioni ulteriori rispetto a quelle menzionate nella norma collettiva (v. fra le altre Cass. 14-3- 2008 n. 6988).

Correttamente, dunque, la Corte d’Appello di Salerno ha ritenuto legittimo il contratto a termine in questione, tenuto conto della disciplina applicabile ratione temporis, come sopra richiamata e della giurisprudenza di questa Corte formatasi in merito.

2. Con il secondo motivo di ricorso è prospetta la conversione del contratto quale conseguenza della nullità della clausola, nonchè la sussistenza del diritto alle retribuzioni. Corretta motivazione.

In proposito sono stati articolati i seguenti quesiti di diritto:

se la clausola di apposizione del termine venga dichiarata e/o inefficace ai sensi delle L. n. 230 del 1962 e L. n. 56 del 1987, si realizzi la condizione prevista dall’art. 1419 c.c. secondo il quale le clausole mille vengono di diritto sostituite da norme imperative, con conservazione del contratto ed esclusione della clausola ritenuta nulla;

se alla notifica del ricorso introduttivo del giudizio deve attribuirsi la valenza di offerta della prestazione lavorativa;

compete al lavoratore il diritto alla corresponsione di somma pari alle retribuzioni non percepite dalla data di tale adempimento all’effettivo ripristino del rapporto di lavoro.

Al mancato accoglimento del primo motivo consegue il rigetto del secondo motivo di impugnazione.

3. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

4. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro duemilacinquecento per onorario, Euro 50 esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 24 novembre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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