Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 08-07-2011) 22-07-2011, n. 29594 Impugnazioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.-. C.G. e A.F. hanno proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe, con la quale, in data 14-2-11, il Tribunale di Napoli, adito ex art. 309 c.p.p., ha confermato la misura cautelare della custodia in carcere disposta nei loro confronti in data 18-1-11 dal GIP di Napoli per avere partecipato alle attività di riciclaggio di una banda in attività di raccolta di scommesse irregolari e clandestine, nella fittizia intestazione dei punti-raccolta-scommesse ed altre attività illecite collegate.

I ricorrenti deducono in primo luogo la violazione degli artt. 203, 266 e 267 c.p.p. in riferimento all’art. 271 c.p.p..

In particolare, nei ricorsi (di identico contenuto) si rappresenta:

– che il GIP di Napoli in data 30-10-2008 aveva emesso decreto intercettativo n. 4725/08 RR avente ad oggetto, tra le utenze monitorate, quella n. (OMISSIS), ritenuta in uso a C. P., collegato ad una indagine per duplice omicidio avvenuto in Gragnano il 28-10-08;

– che in realtà tale utenza non era attribuibile al predetto C.P., ma era stata intercettata una utenza mai intestata nè in uso al medesimo, in quanto si trattava di utenza sempre regolarmente intestata prima a A.F. ed in uso al fratello F. e poi intestata ed in uso a quest’ultimo.

I ricorrenti evidenziano che nel caso di specie nessun indizio di reità aveva attinto A.F., mai coinvolto nel consesso associativo mafioso per il quale non era mai stato indagato. A loro avviso sarebbe errata la affermazione del Tribunale di Napoli in base alla quale l’utenza in questione era "risultata in uso ad altra persona inserita comunque nello stesso contesto criminale". Infatti tale inserimento dell’ A. (e di conseguenza anche del Ca.) non sarebbe emerso in alcun modo, sicchè mancherebbe nel caso in esame il necessario collegamento tra l’indagine in corso ed il soggetto intercettando.

Gli ulteriori motivi di ricorso si incentrano nella denunciata inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni telefoniche disposte con le successive proroghe sia perchè le originarie intercettazioni non potrebbero nel caso di specie costituire notitia criminis nei confronti dell’ A. (non contenendo alcun riferimento alla sua persona) sia perchè l’analisi di detti decreti di proroga ne evidenzierebbe la inidoneità a fungere da autonomi provvedimenti di intercettazione.

La inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni relative all’originario decreto autorizzativo ed alle successive proroghe riverberebbe, ad avviso dei ricorrenti, i suoi effetti processuali sul profilo di cui all’art. 273 c.p.p., in quanto gli unici presunti indizi di reato sarebbero costituiti dal materiale captativo diretto o indiretto con i ricorrenti.

2 .-. In prossimità della odierna udienza camerale il difensore di A.F. ha depositato una memoria, con la quale insiste per l’accoglimento dei ricorsi.

3 .-. Il primo motivo di ricorso è fondato.

Questa Corte ha già chiarito che in tema di intercettazioni telefoniche, la motivazione dei decreti autorizzativi, nel chiarire le ragioni del provvedimento, in ordine alla indispensabilità del mezzo probatorio, ai fini della prosecuzione delle indagini, ed alla sussistenza dei gravi indizi di reato, deve necessariamente dar conto delle ragioni che impongono l’intercettazione di una determina utenza telefonica che fa capo ad una specifica persona, indicando pertanto il collegamento tra l’indagine in corso e la medesima persona (Sez. 6, Sentenza n. 12722 del 12/02/2009, Rv. 243241, P.M. in proc. Lombardi Stronati e altri).

Nella sentenza suindicata si è, in particolare, specificato che neanche l’iniziale ipotesi di reato associativo può giustificare di per sè la proliferazione di intercettazioni a catena, in mancanza dell’indicazione, sia pure sintetica, nei decreti autorizzativi delle ragioni per le quali era indispensabile attivare intercettazioni su una determinata persona. E’ vero – si è spiegato – che per legittimare l’intercettazione di conversazioni non si richiedono gravi indizi di colpevolezza, ma bastano "gravi indizi di reato" ( art. 267 c.p.p., comma 1) e che questi possono anche riguardare soggetti diversi dagli intercettandi, ma è altrettanto vero che l’intercettazione può disporsi soltanto quando "è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini", requisito essenziale di legittimità che deve costituire specifico oggetto di motivazione. E per giustificare l’indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini, la motivazione deve necessariamente dar conto delle ragioni che impongono l’intercettazione di una determinata utenza telefonica che fa capo ad una specifica persona e, perciò, non può omettere di indicare il collegamento tra l’indagine in corso e l’intercettando. Tale obbligo incombe in maniera espressa e diretta sull’autorità giudiziaria ( art. 15 Cost. e art. 267 c.p.p., comma 1). Superando tali limiti, si finirebbe per svilire e vanificare la garanzia di inviolabilità che la Costituzione ha apprestato con presbite lungimiranza, considerate le possibili e molteplici aggressioni alla sfera della riservatezza della persona che gli sviluppi tecnologici consentono sempre più agevolmente.

4 .-. Nel caso in esame è pacifico che l’attività di intercettazione era iniziata con riferimento alle indagini in ordine ad un duplice omicidio ritenuto commesso nel contesto delle attività criminali organizzate nel territorio dei Comuni di Gragnano, Castellammare di Stabia e Santa Maria la Carità e che tali intercettazioni erano mirate alla utenza che, secondo gli inquirenti, apparteneva a C.P., accusato da un dichiarante di essere colui che gli aveva dato l’incarico (non accettato) di uccidere una delle due vittime. Il numero telefonico indicato dal dichiarante e individuato come appartenente a C. ((OMISSIS)) era invece una utenza dell’indagato A.F. e, prima ancora, della sorella di quest’ultimo, e nessuna telefonata risultava essere stata effettuata dal C. su tale utenza.

Il Tribunale di Napoli, dopo aver premesso che nel caso di specie, trattandosi di di autorizzazione ad operazioni di intercettazione, non operava il divieto di ricorrere ad informazioni confidenziali, ha osservato che "non rileva(va) in sè in termini assoluti la non corrispondenza fra titolare di fatto dell’utenza e soggetto che si intendeva di ascoltare". Nel caso in esame, infatti, l’utenza era effettivamente risultata "in uso ad altra persona inserita comunque nello stesso contesto criminale". Lo svolgimento delle operazioni, anche a fronte di un errore iniziale nella individuazione del soggetto utilizzatore dell’utenza, aveva riguardato "la data banda criminale ed i soggetti in essa inseriti". In definitiva, l’errore iniziale di individuazione dell’utenza non aveva portato le indagini "al di fuori del loro oggetto", e cioè il contesto criminale in cui era inserito, fra gli altri, proprio il C.. Tale errore iniziale era pertanto, secondo il Tribunale, irrilevante, in quanto si era trattato comunque di un’utenza in uso a soggetti coinvolti nelle attività criminali per le quali si procedeva.

Ne derivava, secondo il Tribunale di Napoli, la utilizzabilità delle intercettazioni effettuate, dalle quali erano emersi gravi indizi a carico dei ricorrenti di avere partecipato alle attività di riciclaggio di una banda in attività di raccolta di scommesse irregolari e clandestine, nella fittizia intestazione dei punti- raccolta-scommesse ed altre attività illecite collegate.

5 .-. Da quanto sopra esposto sembra emergere in primo luogo che nel decreto di intercettazione iniziale erano indicati come ipotesi di reato unicamente i due omicidi e non era menzionata alcuna ipotesi di reato associativo.

In ogni caso, anche a volere ritenere, come mostra di fare il Tribunale, che oggetto di indagine erano i due omicidi "in quanto collocati nel contesto della lotta tra bande criminali per il controllo del mercato delle estorsioni", sicchè i fatti per i quali si procedeva nei confronti dei ricorrenti dovevano ritenersi estesi sino a comprendere i fatti connessi e collegati, sta di fatto che, come si è ben spiegato nella decisione di questa Corte citata al punto 3, neanche l’iniziale ipotesi di reato associativo può giustificare di per sè la proliferazione di intercettazioni a catena, in mancanza dell’indicazione, sia pure sintetica, nei decreti autorizzativi delle ragioni per le quali era indispensabile attivare intercettazioni su una determinata persona. Più specificamente, per giustificare l’indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini, la motivazione dei decreti autorizzativi deve necessariamente dar conto delle ragioni che impongono l’intercettazione di una determinata utenza telefonica che fa capo ad una specifica persona e, perciò, non può omettere di indicare il collegamento tra l’indagine in corso e l’intercettando. Superando tali limiti, come si è visto, si finirebbe per svilire e vanificare la garanzia di inviolabilità che la Costituzione ha apprestato alla sfera della riservatezza della persona che gli sviluppi tecnologici consentono sempre più agevolmente di aggredire.

Nel caso di specie è proprio il citato collegamento tra l’indagine in corso e gli intercettandi che sembra mancare, posto che nessun elemento collega questi ultimi agli omicidi oggetto di investigazione e gli indizi di partecipazione dei ricorrenti al riciclaggio organizzato dei proventi delle scommesse clandestine, alla fittizia intestazione dei punti-raccolta-scommesse ed alle altre attività illecite collegate sembra emergere esclusivamente dalle conversazioni intercettate.

6 .-. Per le considerazioni sopra svolte si impone l’annullamento dell’ordinanza ripugnata con rinvio al Tribunale di Napoli, che, nel procedere ad un nuovo e più accurato esame della questione, applicherà i principi sopra enunciati.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al tribunale di Napoli per nuovo esame.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’at. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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