Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-07-2011) 22-07-2011, n. 29567

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 1 febbraio 2011, la Corte d’Appello di Torino, 4A sezione penale, confermava la sentenza del GIP del Tribunale in sede appellata da A.O.M., con la quale questi era stato dichiarato colpevole di tre rapine aggravate (capi A, B, D) resistenza a pubblici ufficiali (capo C), porto senza giustificato motivo di un coltello da cucina al fine di commettere le rapine sub A e B, in Torino il 9 e 10 febbraio 2010, e condannato, tenuto conto della contestata recidiva riconosciute le attenuanti generiche equivalenti con la continuazione ed operata la riduzione per il rito, alla pena di quattro anni quattro mesi di reclusione e mille Euro di multa, con interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.

Dichiarava altresì A. delinquente abituale ed applicava nei suoi confronti la misura di sicurezza dell’assegnazione ad una casa di lavoro per la durata minima di due anni a pena espiata.

La Corte territoriale riteneva congrua la pena inflitta. Il corretto comportamento processuale era stato tenuto presente dal primo giudice che per tale motivo lo aveva ritenuto meritevole delle attenuanti generiche, con giudizio di equivalenza sulle contestate aggravanti.

Anche il giudizio di pericolosità sociale, alla base della dichiarazione di delinquenza abituale, doveva essere confermato perchè in base alle concrete ragioni già esposte dal GIP andava tenuto conto della specie dei reati per i quali aveva riportato condanna, il tempo di commissione degli stessi (con la precisazione che dal 2003 al 2009 era stato detenuto), l’intervenuta revoca dell’affidamento in prova al servizio sociale, elementi tutti che costituivano manifestazione concreta di dedizione al delitto.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per inosservanza dell’art. 522 c.p.p. relativamente alla dichiarazione di abitualità nel reato per difetto di contestazione del fatto e delle circostanze dalle quali è derivata l’applicazione della misura di sicurezza, essendo indiscusso il principio per il quale è nulla per difetto di contestazione la sentenza con la quale venga ritenuta ai sensi dell’art. 103 c.p. l’abitualità a delinquere ove questa non sia contestata con l’enunciazione non solo della recidiva reiterata ma anche di tutti gli ulteriori elementi sui quali l’accusa intende fondare la propria richiesta, in quanto sintomatici di personalità incline a condotte antisociali.

Motivi della decisione

Il Collegio condivide il canone ermeneutica per il quale "è nulla per difetto di contestazione, limitatamente alla dichiarazione di abitualità nel reato, la sentenza di condanna pronunciata in relazione ad imputazione che si limiti genericamente ad indicare la recidiva reiterata specifica ed infraquinquennale e l’esistenza delle condizioni per la dichiarazione di delinquenza abituale, in assenza d’espresso riferimento alla fattispecie d’abitualità presunta per legge ovvero a quella ritenuta dal giudice" (Cass. Sez. 6,2-29.4.09 n. 17884; conf. Cass. Sez. 2, 31,1-16.2.2000 n. 1839).

Ed invero, in presenza di due diverse tipologie di abitualità che, comuni nelle conseguenze giuridiche, divergono per le fonti e ragioni della corrispondente dichiarazione – la presunzione di legge per l’una ( art. 102 c.p.) e l’apprezzamento del giudice per l’altra ( art. 103 c.p.) – nonchè per i presupposti di fatto e diritto – i precedenti qualificati per la prima ( art. 102 c.p.), la dedizione al delitto desunta, per il recidivo reiterato che riporti altra condanna, dalla specie e gravità dei delitti, dal tempo della loro commissione, da condotta e genere di vita, e dalle altre circostanze indicate dal capoverso dell1art. 133 c.p. per la seconda -, deve ritenersi senz’altro generica, e quindi nulla ai sensi dell’art. 429 c.p.p., comma 1, lett. c) e comma 2, la contestazione che si limiti, come nella fattispecie, all’indicazione dell’essere l’imputato "recidivo reiterato specifico nel quinquennio" e "nella condizione per essere dichiarato delinquente abituale", senza indicare le ragioni di fatto che consentano di collocare l’imputato nella fattispecie di cui all’art. 103 c.p. (Sez. 1, sent. 22696 del 3.3 – 12.5.2004 in proc. Vandi e altri; Sez. 2, sent. 1839 del 31.1 – 16.2.2000 in proc. Franzoi). Deve in particolare ed infatti escludersi che possa ritenersi, con tale generica locuzione, adempiuto l’obbligo di contestare con sufficiente chiarezza e precisione, sul presupposto che sarebbe poi onere dell’imputato una difesa nel merito su entrambe le ipotesi astrattamente configurabili ed eventualmente possibili nonchè, nell’ambito dell’art. 103 c.p., su tutti i possibili elementi a lui pregiudizievoli che emergano dal fascicolo processuale. Nessun onere in proposito è invece riconducibile all’imputato, che deve per contro esser posto nelle condizioni – per la dichiarazione di abitualità come per le circostanze aggravanti e per il fatto per cui si procede – di conoscere preventivamente gli elementi su cui poggia l’accusa che gli è rivolta, per poter svolgere adeguata difesa, ove lo ritenga, sui vari punti della contestazione.

Tuttavia non risulta tempestivamente proposta l’eccezione. Va confermato che "la nullità del decreto di citazione a giudizio per la mancata enunciazione del fatto oggetto dell’imputazione, prevista dall’art. 429 c.p.p., comma 2, deve ritenersi sanata qualora non sia stata dedotta entro il termine stabilito, a pena di decadenza, dall’art. 491 c.p.p., comma 1; poichè infatti la predetta omissione non attiene ne all’intervento dell’imputato nè alla sua assistenza o rappresentanza, la nullità che ne deriva non può ricomprendersi fra quelle di ordine generale, di cui all’art. 178, lett. c), bensì tra quelle relative, previste dall’art. 181 cod. proc. pen., con la conseguenza che deve essere eccepita – a pena di preclusione – subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti" (Cass. Sez. 2, 27.3-30.4.2008 n. 16817; Cass. Sez. 5, 20.11.2009-11.1.2010 n. 712; Cass. Sez. 5, 26.3-16.10.2010 n. 20739;

Cass. Sez. 2, 6.2.1996 n. 3757).

La questione risulta essere stata proposta per la prima volta in questa sede.

Il ricorso deve in conseguenza essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione dei profili di colpa rinvenibili nella rilevata causa di inammissibilità, di quantifica in mille/00 Euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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