T.A.R. Lombardia Milano Sez. III, Sent., 29-07-2011, n. 2027

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il ricorrente impugna gli atti indicati in epigrafe deducendone la illegittimità per violazione di legge

ed eccesso di potere sotto diversi profili e ne chiede l’annullamento.

L’amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, eccepisce l’infondatezza del ricorso e ne chiede il rigetto.

Con ordinanza datata 13.01.2010 il Tribunale ha accolto la domanda cautelare contenuta nel ricorso, limitatamente al pregiudizio grave ed irreparabile correlato alla dispersione delle armi oggetto della collezione, di cui è stata disposta la custodia presso la locale Direzione di Artiglieria sino alla definizione del merito del ricorso.

All’udienza del 14.07.2011 la causa è stata trattenuta in decisione.

Con il provvedimento impugnato il Prefetto di Varese ha disposto, nei confronti di D.B.F., il divieto di detenere armi e munizioni.

Egli in data 1.10.2009 veniva sottoposto dall’Agenzia delle dogane, presso la quale prestava la propria attività lavorativa, al provvedimento di licenziamento senza preavviso e all’atto della notificazione del provvedimento medesimo anteponeva alla sottoscrizione una frase dal contenuto oggettivamente minaccioso.

In particolare, dalla documentazione versata in atti emerge che egli ha apposto la frase "posso garantire che i responsabili di tutte le criminalità, quest’ultima compresa, impartitemi finora saranno debitamente retribuiti".

Le parole "tutti" e "retribuiti" sono state sottolineate dallo stesso D.B..

Sulla base di tali premesse, il Prefetto di Varese ha ritenuto che D.B. non sia persona affidabile e che possa fare un uso illegittimo delle armi.

Va osservato che, per la dichiarazione apposta all’atto della notifica del licenziamento, il ricorrente è stato querelato dal Direttore Regionale dell’amministrazione presso la quale prestava la propria attività lavorativa.

La vicenda posta a base del provvedimento si colloca in un più ampio contesto di fatti penalmente rilevanti; invero, D.B. è stato condannato con sentenza definitiva alla pena di anni 1 e mesi 6 per il reato di truffa ai danni dello Stato compiuto nello svolgimento delle mansioni di funzionario tributario presso la dogana di Malpensa.

Tanto premesso, il Tribunale rileva l’infondatezza delle censure articolate nel ricorso e nei successivi motivi aggiunti.

In particolare, quanto alla lamentata violazione dell’art. 7 della legge del 1990 n. 241 – dedotta sia con il ricorso principale, sia con il ricorso per motivi aggiunti – va evidenziato che, sicuramente il provvedimento impugnato non è stato preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento, ma la determinazione amministrativa riferisce di fatti talmente gravi da rendere palese l’esistenza di esigenze di celerità e tali da consentire, in base al medesimo art. 7, di prescindere dalla comunicazione di avvio del procedimento.

Invero, il ricorrente, con la frase apposta al momento della notificazione del licenziamento, ha posto in essere una evidente minaccia, preannunciando ritorsioni nei confronti di quanti, a suo dire, lo avrebbero vessato.

In tale contesto è palese la necessità, a fini di prevenzione criminale, di precludere a D.B. la possibilità di detenere armi, così da arginare il rischio di attuazione delle ritorsioni minacciate.

A conferma di ciò va evidenziato che l’amministrazione, in modo del tutto coerente, ha dato atto della sussistenza di particolari esigenze di celerità e, conseguenzialmente, ha adottato la determinazione gravata pochi giorni dopo la trasmissione della querela proposta dalla Direzione Regionale delle Dogane.

Non meritano condivisione neppure le doglianze volte ad evidenziare, anche in termini di eccesso di potere, la insussistenza dei presupposti di adozione del provvedimento gravato, nonché la carenza di motivazione, doglianze articolate con il secondo e il terzo dei motivi del ricorso principale, nonché mediante i motivi aggiunti.

Sul punto vale osservare che, nella materia in esame, i poteri dell’Autorità di pubblica sicurezza sono ampiamente discrezionali e finalizzati alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblici, sicché i relativi provvedimenti negativi sono sufficientemente motivati mediante il riferimento a fatti idonei a far dubitare, anche solo per indizi, della sussistenza dei requisiti di affidabilità richiesti dalla normativa (cfr. in argomento, tra le tante, T.A.R. Molise Campobasso, sez. I, 02 aprile 2008, n. 109), fermo restando che rientra nella discrezionalità amministrativa la valutazione, ai fini del giudizio di affidabilità rispetto al non abuso dell’arma, di singoli episodi anche privi di rilevanza penale (cfr. in argomento T.A.R. Liguria Genova, sez. II, 28 febbraio 2008, n. 341; T.A.R. Piemonte Torino, sez. II, 17 marzo 2007, n. 1317).

Nel caso di specie, il Prefetto ha coerentemente valorizzato fatti di oggettiva gravità, consistiti nella formulazione di frasi dal contenuto palesemente minaccioso, oggettivamente collegate, per il tenore letterale delle espressioni impiegate, alle precedenti vicende criminali per le quali D.B. è stato condannato.

Frasi la cui portata minacciosa è rafforzata dalla sottolineatura apposta dal ricorrente ad alcune delle parole utilizzate, mentre la tesi adombrata dall’interessato secondo la quale non vi sarebbe alcun contenuto intimidatorio è smentita dalla mera lettura delle dichiarazioni rese.

Del resto, l’amministrazione non si è limitata a prendere atto della querela presentata ai danni del ricorrente, ma ha valorizzato il contenuto delle dichiarazioni formulate dal ricorrente, rinviando espressamente agli atti del procedimento.

Insomma, il provvedimento si basa su fatti specifici, di oggettiva gravità, consistiti nella chiara formulazione di minacce e, pertanto, ragionevolmente idonei a supportare il giudizio di inaffidabilità formulato dal Prefetto, con conseguente infondatezza delle censure in esame.

In definitiva, il ricorso principale e il ricorso per motivi aggiunti sono infondati e devono essere respinti.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.

Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 1.000,00 (mille) oltre I.V.A., C.P.A..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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