Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-07-2011) 22-07-2011, n. 29591Associazione per delinquere

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 4.5.2009, eseguita l’8.5.2009 mediante notifica in carcere all’indagato detenuto per altra causa, il g.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria ha applicato a C.G. la misura cautelare della custodia in carcere per i seguenti reati della provvisoria rubrica: A): associazione per delinquere dedita al narcotraffico ex art. 74 LS, finalizzata ad approvvigionare di hashish l’omologo gruppo criminoso (art. 74 LS) guidato da D. S. attivo a Palermo nella rivendita della droga; A1):

concorso in detenzione e cessione continuate di hashish al sodalizio palermitano del D.; reati commessi entrambi tra Siderno e Palermo dal marzo 2004 al gennaio 2005; E): associazione per delinquere dedita al narcotraffico operante forniture di hashish a Genova, Firenze e Roma, svolgendo il C. il ruolo di corriere;

F) e G): concorso in detenzione e cessione continuate di droga; fatti criminosi commessi, tutti, tra Siderno, Roma e altrove tra il luglio e il novembre 2004. 2. Il 30.11.2009 l’indagato C. ha chiesto al g.i.p. la declaratoria di inefficacia, ai sensi dell’art. 297 c.p.p., comma 3, dell’applicata misura cautelare carceraria in ragione dell’esistenza di altro anteriore titolo custodiate emesso a suo carico per omologhi fatti associativi ex art. 74 LS. Titolo formato dall’ordinanza coercitiva in data 14.7.2008 del g.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria per il reato di associazione criminosa dedita al narcotraffico, organizzata con gli stessi successivi coindagati (in particolare con B.D.), attiva "in Siderno, Genova e Roma fino al 9.9.2005".

Decidendo sull’istanza, il g.i.p. reggino con ordinanza del 15.12.2009 ha respinto la richiesta in base al rilievo che i due contesti criminosi ascritti al C.: a) non paiono essere frutto di una stessa previa deliberazione criminosa; b) investono sodalizi criminosi che, pur con un minimo comune nucleo di coindagati, risultano distinti e non collegati tra loro, avendo ambiti operativi e spazio-temporali differenti; c) attengono a ruoli diversi del C., cui con la prima ordinanza del 2008 si attribuisce la veste di organizzatore del sodalizio criminoso, laddove nei due gruppi criminosi di cui alla seconda ordinanza del 2009 il C. ha il ruolo di semplice partecipe e di corriere della droga. Evenienze che, per ciò, impediscono di individuare una connessione qualificata tra le due serie di fatti delittuosi, rilevante ai fini della retrodatazione della custodia cautelare prevista dall’art. 297 c.p.p., comma 3. 3. Adito ex art. 310 c.p.p. dall’appello dell’indagato contro l’ordinanza reiettiva del g.i.p., il Tribunale distrettuale di Reggio Calabria con il provvedimento reso il 13.3.2010 (depositato il 18.3.2010), richiamato in epigrafe, ha rigettato il gravame del C., escludendo l’esistenza di situazioni riconducibili nell’area dell’art. 297 c.p.p., comma 3, non profilandosi una regola di generale applicazione della retrodatazione, al di fuori delle ipotesi di connessione qualificata, in tutti i casi di procedimenti "diversi".

Intercalando il provvedimento con ampia digressione sullo stato delle questioni poste dall’istituto della retrodatazione della custodia cautelare e della correlata disciplina applicativa, quale stratificata dalle interpretazioni della Corte Costituzionale e delle Sezioni Unite di questa Corte regolatrice, il Tribunale ha osservato che nella situazione di duplicità di titoli cautelari delineata dall’appellante indagato: 1) ricorre il presupposto dell’anteriorità dei fatti contestati con la seconda ordinanza, collocabili tra marzo 2004 e gennaio 2005, rispetto alla emissione della prima ordinanza del 14.7.2008; 2) tra le due serie di condotte criminose non sussiste – però – un rapporto di connessione, perchè soltanto in parte è ravvisabile una unitarietà progettuale e una continuità esecutiva tra l’associazione ex art. 74 LS contestata per prima (ord. c.c. 2008) e la seconda (capo E) di quelle contestate dopo (ord. c.c. 2009), l’altra aggregazione criminale pure contestata nel 2009 (capo A) – sebbene composta da un nucleo di indagati di Siderno tra cui il C., si avvale della collaborazione di un autonomo gruppo criminale palermitano (quello di D.S.) ed opera in un contesto geografico diverso (tra Siderno e Palermo); 3) nel primo dei tre contestati ambiti associativi, quello oggetto dell’ordinanza cautelare del 14.7.2008, il C. svolge un ruolo apicale (organizzatore), che gli è estraneo negli altri due aggregati criminosi.

Conclude, quindi, il Tribunale che le condotte "partecipative" contestate nei due procedimenti "attengono solo in parte ad un fenomeno associativo unitario nelle sue componenti soggettive e strutturali", scandito da momenti attuativi diversi e non sovrapponibilì. In tale quadro ricompositivo i giudici dell’appello cautelare reputano non singificativo il pur rilevabile requisito della desumibilità dei fatti di cui alla seconda ordinanza cautelare dagli atti esistenti al momento del rinvio a giudizio per i reati di cui alla prima ordinanza (nel primo procedimento penale riferibile all’ordinanza custodiale del 14.7.2008 il g.u.p. del Tribunale di Reggio Calabria ha disposto in data 6.3.2009 il giudizio abbreviato richiesto dal C. e dai coindagati).

4. Per la cassazione dell’ordinanza dei giudici dell’appello cautelare C.G. ha proposto personalmente ricorso, deducendo erronea applicazione dell’art. 297 c.p.p., comma 3 e art. 303 c.p.p. e contraddittorietà della motivazione.

La decisione del Tribunale si pone in aperto contrasto con la pur corretta premessa argomentativa, secondo cui deve ritenersi che nel caso di specie si profilino soltanto due possibili ipotesi rilevanti per la retrodatazione della durata della custodia cautelare a norma dell’art. 297 c.p.p., comma 3. Da un lato l’individuazione di un rapporto di connessione qualificata tra i fatti oggetto delle due diverse ordinanza custodiali. Da un altro lato, anche in mancanza di detta connessione, la desumibilità dagli atti dei dati conoscitivi sui fatti oggetto della seconda ordinanza anteriormente al rinvio a giudizio nel primo procedimento.

Il Tribunale, nella concreta disamina delle due vicende cautelari, ha finito per riconoscere la sussistenza di ambedue i predetti presupposti. Il provvedimento del Tribunale non sottace, infatti, che si è in presenza di un fenomeno associativo tendenzialmente unitario (in tutte e tre le associazioni contestate ricorrono i nomi, insieme al C., di coindagati comuni), che ritiene di superare, rimarcando una asserita "parzialità" del fenomeno, senza chiarire le ragioni della preclusività applicativa dell’art. 297 c.p.p., comma 3 e della supposta incompletezza della connessione tra le due serie di condotte criminose con riguardo al loro inserimento in progettualità antigiuridiche omogenee e temporalmente contigue. In ogni caso la stessa ordinanza non pone dubbi sulla palese rilevabilità dei dati concernenti i reati contestati con la seconda ordinanza dai complessivi atti a disposizione della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, che ha deciso incongruamente di tenere separati i due contesti processuali, ben prima del disposto giudizio nell’ambito del primo procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza cautelare del 14.7.2008. 5. L’analisi di legittimità del merito del ricorso di C. G. è condizionata, in via pregiudiziale, da due interdipendenti problematiche, rivenienti entrambe dall’inopinato ritardo con cui la cancelleria del Tribunale di Reggio Calabria ha trasmesso a questa Corte gli atti (giunti soltanto il 12.5.2011) relativi al ricorso per cassazione avverso un provvedimento emesso più di un anno prima, cioè il 13.3.2010.

La prima questione investe la tempestività del ricorso. L’atto impugnatorio reca, infatti, la data del 24.8.2010 ed è stato presentato alla direzione della casa circondariale di Locri ove era all’epoca detenuto il C.. La motivazione dell’ordinanza reiettiva dell’appello pronunciata il 13.3.2010 è stata depositata in cancelleria il 18.3.2010. E’ disagevole ipotizzare che l’avviso di deposito dell’ordinanza o l’estratto della stessa siano stati notificati al C., detenuto in carcere, soltanto dieci giorni prima del 24.8.2010, cioè entro il termine per proporre ricorso per cassazione previsto dall’art. 311 c.p.p.. Nondimeno negli atti provenienti dal giudice a quo non è dato rinvenire copia o traccia dell’avviso al C. del deposito del provvedimento di appello, avviso dalla cui data di notificazione decorre il termine di dieci giorni per impugnare. Sicchè la questione rimane non risolubile.

Ma ad essa si giustappone altra connessa ed assorbente questione pregiudiziale. Quella rappresentata dalla verifica dell’esistenza di un interesse concreto e attuale del C. alla odierna decisione del ricorso in conformità al generale principio dettato dall’art. 568 c.p.p., comma 4. Interesse che in tutta evidenza deve escludersi alla luce della evoluzione endoprocessuale delle due vicende giudiziarie coinvolgenti il C..

Il termine ordinario di durata della custodia cautelare per i delitti di cui agli artt. 73 e 74 LS, contestati al ricorrente in tutti e due i procedimenti penali instaurati nei suoi confronti, è pari ad un anno, giusta l’art. 303 c.p.p., comma 1, lett. a), n. 3. Tale termine è largamente decorso, fin dal 7,5.2010, per la seconda ordinanza cautelare emessa il 4.5.2009, quella in relazione alla quale il ricorrente eccepisce l’illegittimità della cd. contestazione a catena ex art. 297 c.p.p., comma 3. Nel corso dell’odierna discussione il difensore del ricorrente non è stato in condizione di precisare se il predetto termine ordinario sia stato eventualmente prorogato ex art. 305 c.p.p.. Ma, pur ammettendosi – in ipotesi – che il termine sia stato prorogato, parimenti lo stesso (la proroga non potendo superare i sei mesi: art. 305 c.p.p., comma 2, u.p.) sarebbe già spirato fin dal 7.11.2010.

Ad ulteriore riprova dell’ormai sopravvenuta perenzione, se così può dirsi, delle censure espresse con il ricorso ai fini della retrodatazione della custodia cautelare del C. per la fase delle indagini preliminari è facile, d’altra parte, osservare che, in base al prospetto della posizione giuridica del ricorrente estratto dalla banca dati della amministrazione penitenziaria, la fase delle indagini preliminari appare ampiamente superata in tutti e due i procedimenti riguardanti il C., versando gli stessi nelle fasi del giudizio con connessa decorrenza di nuovi e autonomi termini custodiali.

In relazione ai fatti contestati con l’ordinanza cautelare del 14.7.2008 il C. risulta condannato alla pena di sei anni e otto mesi di reclusione con sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria in data 3.4.2011 (che ha così ridotto la pena inflittagli con sentenza del g.u.p. del Tribunale di quella stessa città del 26.5.2009). Per i fatti reato contestatigli con la censurata seconda ordinanza cautelare del 4.5.2009 il C. è appellante contro la sentenza 7.7.2010 del g.u.p. del Tribunale reggino, che lo ha condannato alla pena di quattordici anni di reclusione ed Euro 40.000,00 di multa.

6. Da quanto si è fin qui esposto emerge come allo stato attuale il ricorrente non possa annoverare alcun reale interesse alla decisione del suo ricorso, siffatto interesse non potendo tradursi in una mera ed astratta pretesa ad una rituale esattezza teorica dell’atto censurato, destituita di effetti pratici sull’economia del procedimento o sui suoi futuri sviluppi. Ne discende che l’interesse del soggetto indagato ad ottenere una pronuncia invalidante una ordinanza cautelare ovvero la decorrenza dei relativi termini, quando questa – nelle more della decisione – abbia perso efficacia per il passaggio del processo ad una nuova e diversa fase con computo di nuovi e diversi termini custodiali, non può essere presunto o considerato in re ipsa sussistente, ma deve essere addotto ed argomentato dall’indagato e il giudice deve vagliarne concretezza ed attualità. Nessun elemento è stato addotto anche nell’odierna discussione a sostegno di un simile effettivo interesse del C. (cfr.: Cass. Sez. 6,18.6.2010 n. 25859, Qoshku, rv.

247780; Cass. Sez. 6, 21.9.2010 n. 37764, Fabiano, rv. 248285; da ultimo: Cass. S.U., 16.12.2010 n. 7931/11, Testini, rv. 249002).

Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta mancanza di interesse dell’impugnate C..

Ciò che non impedisce, sia pur incidentalmente e in nome delle funzioni nomofilattiche di questo giudice di legittimità, di rilevare la contraddittorietà e la potenziale censurabilità dell’impugnato provvedimento del Tribunale di Reggio Calabria, laddove, attestando la desumibilità ex actis dei dati indiziari pertinenti alla seconda ordinanza cautelare fin dal momento in cui è avvenuta la translatio judicii nel primo procedimento (in pratica quasi un anno prima), non si cura di precisare non soltanto le ragioni escludenti l’eventuale improprio frazionamento dei fatti oggetto di indagini in due separati procedimenti trattati dallo stesso ufficio del pubblico ministero (l’ordinanza impugnata non reca traccia di evenienze giustificanti la separazione dei procedimenti pendenti davanti allo stesso ufficio giudiziario inquirente), ma neppure di rendere intellegibili le ragioni ostative alla complessiva unitarietà della condotta associativa criminosa del C., segnatamente quando si abbia riguardo alla consecutività (per più versi sovrapponibilità o piena coincidenza) dei commessi reati ex art. 74 LS e alla partecipazione ad essi, oltre ovviamente al C., di pressochè tutti i numerosi coimputati dei medesimi diversi reati.

Il C. non può considerarsi soccombente e non deve essere condannato al pagamento delle spese del processo e della sanzione pecuniaria di cui all’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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