Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 04-07-2011) 22-07-2011, n. 29590 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ordinanza del 14.5.2009 il g.i.p. del Tribunale di Reggio Calabria ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere a F.C., indagato per il delitto di associazione criminosa dedita al traffico di stupefacenti (capo E della provvisoria rubrica), avendo fatto parte – con la funzione di "corriere", fatta palese da più conversazioni intercettate – di un sodalizio costituito a Siderno e in grado di assicurare forniture di sostanze stupefacenti (hashish e marijuana), nel periodo tra luglio e novembre 2004, a referenti dell’aggregazione criminosa operanti la vendita della droga a Firenze, Genova e Roma. Ordinanza custodiale eseguita soltanto nel maggio 2010 con la costituzione in carcere del F., edotto del provvedimento coercitivo e rientrato in Italia dal Canada, ove si era trasferito per motivi di lavoro.

2. Con provvedimento reso il 18.6.2010, il g.u.p. del Tribunale di Reggio Calabria, investito della richiesta di giudizio abbreviato avanzata dal F. e da altri coimputati dopo l’esercizio dell’azione penale nei loro confronti, ha respinto l’istanza di revoca della misura cautelare carceraria formulata dal difensore del F., facendo leva sulla presunzione di adeguatezza della misura custodiate in atto riveniente dal titolo del contestato reato ( art. 275 c.p.p., comma 3) e sull’oggettiva pericolosità sociale del prevenuto, vieppiù esaltata dal suo lungo stato di latitanza all’estero.

3. Giudicando ai sensi dell’art. 310 c.p.p. sull’appello proposto dall’imputato contro l’ordinanza reiettiva del g.u.p. reggino, il Tribunale distrettuale di Reggio Calabria con il provvedimento in data 10.11.2010, richiamato in epigrafe, ha rigettato il gravame del F.. Da un lato rilevando la perenzione dei rilievi sulla solidità del quadro indiziario, nelle more essendo intervenuta condanna ex art. 438 ss. c.p.p. del F. alla pena di otto anni di reclusione per l’ascritto reato associativo di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74 (sentenza del g.u.p. del 7.7.2010); da un altro lato escludendo – al di là della presunzione di pericolosità sociale fronteggiabile ex art. 275 c.p.p., comma 3, per il titolo del reato, con la sola custodia carceraria (presunzione per il cui superamento l’appellante non ha offerto alcuna traccia) – la sopravvenienza di elementi idonei ad vanificare o ad affievolire le perduranti esigenze cautelari connesse al pericolo di reiterazione di fatti criminosi della stessa specie di quello contestato al F..

I giudici dell’appello cautelare, valutate prive di pregio le doglianze del F. sul presunto deteriore trattamento riservatogli rispetto ad altri coimputati, beneficiati dallo stesso Tribunale con l’applicazione di misure cautelari meno afflittive (decisioni assunte in altri contesti processuali e non in relazione al reato associativo ex art. 74 LS), hanno altresì evidenziato che il mero decorso del tempo dalla commissione del reato non giova ad elidere le esigenze di prevenzione sociale, in difetto di dati oggettivamente verificabili di effettivo distacco dalle precedenti scelte delinquenziali di natura associativa, e che i rilievi del F. non confutano la significatività del suo pregresso stato di latitanza, essendosi lo stesso determinato a rientrare in Italia per costituirsi soltanto molti mesi dopo aver appreso del provvedimento cautelare emesso nei suoi confronti (come si evince dalla procura speciale conferita dal Canada al proprio difensore di fiducia fin dal novembre 2009).

4. Per la cassazione dell’ordinanza reiettiva dell’appello cautelare F.C. – avvalendosi del proprio difensore – ha proposto ricorso, deducendo la mancanza di motivazione o comunque l’illogicità e contraddittorietà della stessa.

Ad avviso del ricorrente il Tribunale ha semplicisticamente sottovalutato sia il lungo tempo decorso dalla commissione del reato associativo (fatti risalenti al 2004), sia la brevità del contestato periodo (alcuni mesi) della sua adesione al sodalizio criminoso dedito al traffico di stupefacenti.

Analogamente i giudici di appello hanno ignorato che nei confronti del F. si è acquisita la prova indiziaria di un solo trasporto di droga, per altro in quantità limitata (tre o quattro chili di hashish), e che – anche alla luce della condanna riportata in primo grado e della prevedibile riduzione della pena nel giudizio di appello – egli potrà giovarsi del consistente condono di parte della pena.

L’ordinanza impugnata, infine, ha distorto il concetto di latitanza, minimizzando il dato del volontario ritorno dell’imputato in Italia al solo fine di costituirsi, abbandonando il Canada, ove pure a prezzo di grandi sacrifici era riuscito a trovare una attività lavorativa che gli consentiva di vivere e aiutare economicamente la sua famiglia.

Censure, tutte, che il ricorrente ribadisce con una memoria depositata dal difensore il 22.6.2011, con la quale in particolare si rinnovano i rilievi critici sulla sopravvenuta caducazione delle esigenze cautelari in ragione del lungo tempo trascorso dalla condotta criminosa contestatagli.

5. Il ricorso del F. è inammissibile, perchè basato su motivi di censura per un verso generici (id est aspecifici), siccome riproduttivi di argomenti fattuali e giurìdici già enunciati con l’originaria istanza di scarcerazione e con il successivo appello contro l’ordinanza reiettiva del g.u.p., adeguatamente vagliati dall’impugnato provvedimento, nonchè, per altro verso, manifestamente infondati a fronte della logicità e correttezza giuridica delle valutazioni espresse dalla censurata decisione dell’appello cautelare.

Va subito sgombrato il campo dall’incongruo ripetuto rilievo del ricorrente sulla parziale condonabilità della pena inflittagli, allo stato, nel primo grado del giudizio di merito. Rilievo del tutto infondato, dal momento che il reato di associazione delinquenziale dedita al narcotraffico ex art. 74 LS è espressamente escluso dalla applicazione dell’indulto concesso con la L. 31 luglio 2006, n. 241 (art. 1, comma 2, lett. b).

Nessun serio elemento od argomento è, poi, delineato dal ricorrente per contrastare le conclusioni raggiunte dal Tribunale di Reggio Calabria sul persistente pericolo di recidività criminosa ex art. 274 c.p.p., lett. c), ostativo al superamento o alla attenuazione delle esigenze di cautela sociale. Pericolo reso senz’altro più elevato dalla non mite condanna inflitta in primo grado (con la diminuente per il rito abbreviato) al F. per la sua condotta di partecipazione alla associazione criminosa di Siderno facente capo ai coimputati B.D., C.D. e S. R.. Di tal che puntuali e corrette, sul piano logico e su quello giuridico processuale, si profilano le considerazioni dei giudici dell’appello sulla totale assenza di elementi asseveranti la rescissione di ogni legame del F. con il gruppo criminoso di riferimento ovvero il definitivo dissolversi della stessa aggregazione delinquenziale. Considerazioni che correttamente affrontano e risolvono, in rapporto alla specificità del reato plurisoggettivo ascritto al ricorrente, la tematica del tempo intercorso dalla materiale realizzazione della condotta associativa criminosa, in aderenza agli indirizzi ermeneutici indicati dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice (cfr. Cass. S.U., 24.9.2009 n. 40538, Lattanzi, rv. 244377).

Ciò unitamente alla rilevata oggettiva situazione di latitanza del prevenuto che per lungo tempo ne ha scandito la vicenda processuale.

I rilievi del Tribunale sulla non enfatizzabilità della "costituzione" del F. rientrato dal Canada si mostrano, infatti, pertinenti e corretti, allorchè evidenziano la non risalente residenza canadese dell’imputato rispetto all’emissione del provvedimento coercitivo cautelare e l’assenza di dati che accreditino una accettazione delle proprie responsabilità penali e una vera "resipiscenza", piuttosto che una semplice strategia difensiva. Con l’ulteriore inferenza, quindi, che la permanenza nordamericana del ricorrente a ragione si configura quale contegno post delictum (in Canada, come rimarcano i giudici di appello, il F. ha piena conoscenza del provvedimento restrittivo emesso a suo carico) univocamente diretto a sottrarsi medio tempore all’esercizio della giurisdizione italiana (cfr. Cass. Sez. 2, 28.10.2009 n. 43924, Virgilio, rv.245590).

All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo determinare in misura di Euro 1.000,00 (mille).

La cancelleria provvedere agli incombenti informativi connessi allo stato di detenzione del ricorrente.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della soma di Euro mille in favore della cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *