Cass. civ. Sez. III, Sent., 15-12-2011, n. 27004 Responsabilità civile per ingiurie e diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La querela presentata da R.R. per atti di minaccia, ingiuria e diffamazione nei confronti di Z.A. e la successiva denuncia del Z. per calunnia, in danno di R., venivano archiviate in sede penale.

Successivamente, Z. adiva il Tribunale, chiedendo a R. e C.L. il risarcimento dei danni, derivanti dall’attività calunniosa in suo danno.

Nella contumacia dei convenuti, la domanda veniva rigettata nei confronti della C. e accolta nei confronti del R., condannato al pagamento di Euro 3.000,00. 2. La Corte di appello di Roma, ritenuta non fondata l’eccezione di nullità della notifica dell’atto di citazione in primo grado, proposta dagli appellati, rigettava l’appello incidentale degli stessi volto ad escludere il dolo nell’attività attribuita a R.; accoglieva l’appello principale dello Z., condannando il R. all’ulteriore somma di Euro 7.000,00 (sentenza del 6 febbraio 2008).

3. Avverso la suddetta sentenza R. propone ricorso per cassazione con tre motivi, corredati da quesiti.

Z. resiste con controricorso, esplicato da memoria.

Motivi della decisione

1. Con il terzo motivo di ricorso, logicamente preliminare, si deduce la violazione dell’art. 139 cod. proc. civ. e la nullità della citazione in primo grado. Si sostiene che, erroneamente, la Corte di merito ha ritenuto valida la notifica al portiere, effettuata dall’ufficiale giudiziario dopo aver dato atto, nella relata, dell’"assenza del destinatario e delle altre persone abilitate", nonostante la mancata indicazione di "vane ricerche" e dell’ordine specifico della ricerca dei soggetti abilitati alla ricezione; dati necessari ai fini della verifica del rispetto della tassatività della successione delle persone abilitate.

1.1. Il motivo va rigettato.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità.

Infatti, la nullità della notificazione è stata ritenuta configurabile quando la notificazione è effettuata a mani del portiere ed è totalmente omessa, nella relata, l’attestazione del mancato rinvenimento delle altre persone indicate nell’art. 139 cod. proc. civ., comma 2 (Sez. Un. 20 aprile 2005, n. 8214; Cass. 15 marzo 2007, n. 6021). Invece, se l’ufficiale giudiziario attesta l’inutile tentativo di consegna a mani proprie per l’assenza del destinatario e le vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l’atto, come nella specie, in cui ha dato atto dell’"assenza del destinatario e delle altre persone abilitate", è legittima la notificazione eseguita mediante consegna a portiere, poichè non è necessario l’uso di formule sacramentali (Cass. 20 novembre 2009, n. 24536, in un caso analogo).

2. La Corte di merito riteneva integrata la responsabilità del R. sulla base delle seguenti considerazioni: a) nella specie non esiste una sentenza di assoluzione per il reato di calunnia in capo al R., che farebbe stato nel processo civile;

conseguentemente, spetta al giudice civile valutare se esiste l’elemento soggettivo del reato di calunnia in capo al R.; b) sono condivisibili le conclusioni cui è pervenuto il giudice di primo grado in merito alla consapevolezza della innocenza dell’incolpato.

Il giudice di primo grado, secondo quanto risulta dalla sentenza di appello che ha riportato tale decisione nello svolgimento del processo, aveva autonomamente ritenuto la non veridicità dei fatti attribuiti dal R. al Z., anche sulla base di quanto emergente dagli atti del procedimento penale; aveva presunto sussistente l’elemento soggettivo del reato di calunnia, essendo verosimile tale consapevolezza dell’innocenza dell’incolpato, atteso che le denunce erano state inoltrate dopo che il Z. aveva intrapreso azioni giudiziarie in danno della convivente e collaboratrice del R., e, quindi, presumibilmente erano state fatte per favorire la propria convivente.

3. Con il primo e secondo motivo di ricorso, strettamente collegati, il R. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. (primo e secondo) e anche dell’art. 112 cod. proc. civ. (solo secondo). In particolare, con il primo si duole che l’elemento soggettivo della calunnia sia stato fondato su una presunzione, con il secondo esprime la stessa censura, prospettando un error in procedendo, per avere il giudice di appello rinviato alla decisione del primo giudice che tale presunzione aveva ritenuto, così omettendo di pronunciarsi su un motivo di appello.

3.1. I motivi, che vanno trattati congiuntamente, sono in parte inammissibili, in parte infondati.

3.1.1. La motivazione per relationem a un atto determinato e controllabile, è pacificamente legittima secondo la giurisprudenza consolidata (Cass. 11 febbraio 2011, n. 3367 e, con specifico riferimento alla sentenza di primo grado, Cass. 11 giugno 2008, n. 15483).

Nella specie, la sentenza di primo grado, cui la Corte di merito rinvia, è integralmente riprodotta nella svolgimento del processo della sentenza di appello, così che non possono esserci dubbi sul fatto che il giudice di secondo grado ha fatto propria la motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo, come ritenuta dal primo giudice. Conseguentemente, la censura, sarebbe infondata.

Prima ancora, tale preteso vizio sarebbe stato più propriamente denunciabile come violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., piuttosto che come omessa pronuncia. Ed, inoltre, il ricorrente non ha un vero interesse alla pronuncia su tale profilo, atteso che impugna direttamente la motivazione della sentenza di primo grado richiamata in appello. Conseguentemente, la censura, è inammissibile per tale profilo.

3.1.2. La questione residua è se la sentenza, nella parte in cui ritiene la sussistenza dell’elemento soggettivo della calunnia, sia stata adeguatamente censurata.

La risposta è negativa, atteso che il ricorrente si duole del fatto che l’elemento soggettivo della calunnia sia stato fondato su una presunzione, con la conseguenza che la censura avrebbe dovuto essere incentrata sul malgoverno delle norme che regolano la presunzione e sul cattivo uso dei poteri da parte del giudice; quindi, avrebbe dovuto prospettarsi la violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., in collegamento con l’art. 116 cod. proc. civ., e non la violazione dell’art. 2043 cod. civ. Ne deriva l’inammissibilità per tale profilo.

4. In conclusione, il ricorso deve rigettarsi; le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso e condanna R.R. al pagamento, in favore di Z.A., delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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