Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 16-06-2011) 22-07-2011, n. 29476

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L’imputata è stata chiamata a rispondere del reato di omicidio colposo, per la morte di P.N., sul rilievo che, dopo averla sottoposta a visita e successivamente asportandole un nevo nella regione scapolare sinistra, aveva poi omesso di sottoporre il reperto ad esami istologici, così da impedire una tempestiva diagnosi di un melanoma maligno, che, poi, portava alla morte la paziente.

Il giudicante ravvisava profili di colpa, in relazione all’omessa effettuazione dell’esame istologico, che avrebbe consentito di distinguere un lesione benigna da una maligna; e ciò in modo ancora più censurabile in ragione delle caratteristiche del nevo, che si presentava con un peduncolo sanguinante: elemento questo che veniva ritenuto tale da creare le condizioni di un legittimo sospetto circa la necessità di una verifica di natura istologica.

Tuttavia il giudicante riteneva che, pur a fronte di consulenze tecniche di segno diverso, le conclusioni del perito di ufficio, nominato in sede di udienza preliminare, non consentivano di avere certezza piena circa la sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa e l’evento mortale.

Ciò in ragione del fatto che le condizioni del nevo e della lesione che esso presentava non avrebbero consentito di attribuire con certezza al medesimo, proprio per l’assenza dell’esame istologico, l’insorgenza della malattia tumorale che aveva portato alla morte la paziente.

Non poteva escludersi, secondo quanto sostenuto dal perito d’ufficio, l’insorgenza del melanoma in altra sede, specie extracutanea.

Da ciò la decisione di pronunciare sentenza di non luogo a procedere con la formula perchè il fatto non sussiste.

Avverso tale decisione ricorrono sia il PM che la parte civile, i quali, con argomenti sostanzialmente riproducibili, contestano la legittimità della decisione, vuoi perchè adottata non nel rispetto dei limiti di giudizio propri dell’udienza preliminare, vuoi perchè illogica nella misura in cui aveva recepito, per escludere il nesso causale, una ricostruzione peritale non condivisibile, che aveva riconosciuto valenza ad ipotesi alternative valutabili in termini altamente ipotetici, a fronte di un profilo colposo che doveva ritenersi efficiente ai fini della configurabilità dell’addebito e, comunque, dell’accesso alla fase dibattimentale.

Motivi della decisione

I ricorsi sono fondati.

In via preliminare, va ricordato che l’udienza preliminare ha natura prevalentemente processuale, avendo, pur anche a seguito dell’intervenuto ampliamento dei poteri officiosi in tema di prova, lo specifico scopo di evitare dibattimenti inutili, piuttosto che quello di accertare la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. Ciò è desumibile anche dal dato normativo contenuto nell’art. 425 c.p.p., comma 3, secondo cui il giudice pronuncia "sentenza di non luogo a procedere" anche quando gli elementi acquisiti risultano "insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio": per l’effetto, il giudice, contemperando l’obbligo dell’esercizio dell’azione penale ( art. 112 Cost.) con i criteri di economia processuale imposti dall’art. 111 Cost., deve aprire all’ulteriore corso anche se si trova in presenza di elementi probatori insufficienti o contraddittori, i quali però appaiano destinati, con ragionevole previsione, ad essere chiariti nel dibattimento; mentre deve pronunciare la sentenza di non luogo a procedere in presenza della ragionevole mancanza delle condizioni su cui fondare una prognosi favorevole all’accusa ossia laddove risulti l’impossibilità di sottoporre con successo la tesi accusatoria al vaglio dibattimentale (di recente, Sezione 2, 3 dicembre 2009, Proc. Rep. Trib. Roma in proc. Consorte ed altri, non massimata).

L’esame della sentenza impugnata dimostra che il giudice di merito non si è attenuto in toto ai principi indicati, come emerge dalla circostanza che nella sentenza alcuna valutazione prognostica viene fatta sulla possibilità di superare, nel dibattimento, l’insufficienza e la contraddittorietà del quadro probatorio e sulla idoneità degli elementi prospettati dal PM a sostenere l’accusa in giudizio. E ciò, nella specie, avendo riguardo al contenuto diametralmente opposto dei contributi dei consulenti tecnici e del rilevato contrasto di versioni (su un punto topico quale la rilevanza dell’omissione dell’esame istologico e del collegamento dell’affezione tumorale al nevo oggetto della prestazione sanitaria).

Anzi, il punto è stata semplicisticamente risolto, in modo non consentito in ragione dei rilevati contenuti della sentenza di non doversi procedere ex art. 425 c.p.p., attraverso un apodittico richiamo alle conclusioni del perito di ufficio, neppure poste in adeguata comparazione con le diverse conclusioni degli altri consulenti.

Va ricordato che, certamente, la Corte di cassazione non è giudice del sapere scientifico, giacchè non detiene proprie conoscenze privilegiate: essa, in vero, è solo chiamata a valutare la correttezza metodologica dell’approccio del giudice di merito al sapere tecnico-scientifico, che riguarda la preliminare, indispensabile verifica critica in ordine alla affidabilità delle "informazioni che vengono utilizzate ai fini della spiegazione del fatto. La Corte di cassazione, rispetto a tale apprezzamento, quindi, non deve stabilire se la tesi accolta sia esatta, ma solo se la spiegazione fornita sia spiegata in modo razionale e logico.

Ciò significa che, in questa sede, non si può interloquire sulla maggiore o minore attendibilità scientifica degli apporti scientifici esaminati dal giudice.

In effetti, in virtù del principio del libero convincimento del giudice e di insussistenza di una prova legale o di una graduazione delle prove, il giudice ha la possibilità di scegliere, fra le varie tesi prospettate da differenti periti di ufficio e consulenti di parte, quella che ritiene condivisibile, purchè dia conto, con motivazione accurata ed approfondita delle ragioni del suo dissenso o della scelta operata e dimostri di essersi soffermato sulle tesi che ha ritenuto di disattendere e confuti in modo specifico le deduzioni contrarie delle parti, sicchè, ove una simile valutazione sia stata effettuata in maniera congrua in sede di merito, è inibito al giudice di legittimità di procedere ad una differente valutazione, poichè si è in presenza di un accertamento in fatto come tale insindacabile dalla Corte di cassazione, se non entro i limiti del vizio motivazionale (Sezione 4, 20 aprile 2010, Bonsignore).

E’ proprio facendo applicazione di questi principi che è immediatamente apprezzabile la manifesta illogicità, oltre che la eccessiva semplificazione motivazionale, della sentenza in esame, che non ha affatto proceduto ad un’attenta disamina comparativa tra i diversi apporti medico-legali, limitandosi a aderire ad una delle tesi scientifiche, ma eludendo del tutto le tematiche specifiche che le altre consulenze ponevano (in particolare, la questione della omissione dell’esame istologico; e, prima ancora, la questione, su cui pure il giudicante ha soffermato la sua attenzione, di un intervento limitatosi alla asportazione della parte peduncolare del nevo e non, invece, alla totale asportazione del nevo mediante exeresi).

Il vizio è ancora più evidente ove si consideri che la decisione è intervenuta in sede di udienza preliminare, così che il giudicante ha totalmente pretermesso di considerare che taluni elementi apparentemente contraddittori, potevano e dovevano essere sottoposti al vaglio del dibattimento, con esiti rilevanti anche ai fini del giudizio sulla attendibilità dell’una o dell’altra tesi scientifica.

In realtà il giudicante allorquando ha inteso soffermare l’attenzione sulla "prova" del nesso causale del reato omissivo ha trascurato di considerare il proprium dell’addebito, che concerneva, proprio alla luce di quanto è stato oggetto di discussione in sede di udienza preliminare, non tanto e non solo la scelta "omissiva" di non effettuare l’esame istologico, ma, prima ancora, la scelta "commissiva" di effettuare l’intervento limitandolo alla rimozione del peduncolo.

Il giudice, allora, ha omesso di considerare che, in tema di reato colposo e di accertamento del nesso di causalità tra la condotta contestata e l’evento, occorre distinguere la causalità commissiva da quella omissiva: nella prima viene violato un divieto, mentre nella seconda è un comando ad essere violato, nel senso che si omette la condotta dovuta. Al riguardo, secondo il giudice di legittimità (in termini, v. anche Sezione 4, 29 aprile 2009, Cipiccia ed altri; nonchè, Sezione 4, 1 marzo 2011, Reif ed altri), è necessario evitare la confusione tra il reato omissivo, appunto conseguente alla omissione della condotta dovuta, e le componenti omissive della colpa, nel senso che i casi in cui l’agente pone in essere una condotta attiva colposa, omettendo di adottare quella diligente, non rientrano nella causalità omissiva ma in quella commissiva: è l’ipotesi, si esemplifica in motivazione, del medico che adotta (comportamento attivo) una terapia errata e quindi omette di somministrare quella corretta (comportamento passivo). Mentre può ravvisarsi la causalità omissiva solo nei confronti di chi omette la condotta dovuta: è il caso, per esemplificare, del medico che omette proprio di curare il paziente o che rifiuta di ricoverarlo.

Proprio da queste premesse concettuali, il giudicante non avrebbe dovuto tralasciare di considerare che alla sanitaria si addebitava anche una condotta commissiva, correlata alla scelta del tipo di intervento in concreto effettuato.

E dalla ricostruzione del fatto (anche) in termini di "causalità commissiva", il giudicante avrebbe dovuto fare discendere la fondamentale conseguenza pratica che, ai fini dell’accertamento della sussistenza del rapporto di causalità fra la stessa e l’evento realizzatosi, il giudizio controfattuale non andava compiuto, secondo lo schema della causalità omissiva, dando per avvenuta la pretesa condotta impeditiva dell’evento e chiedendosi se, posta in essere la medesima, l’evento sarebbe ugualmente avvenuto in termini di elevata credibilità razionale, bensì doveva essere effettuato, secondo lo schema della causalità commissiva, chiedendosi se, ipotizzando non avvenuta la condotta commissiva incriminata, l’evento si sarebbe ugualmente verificato, in termini di elevata credibilità razionale.

Il vizio motivazionale è poi ulteriormente apprezzabile (vertendosi soprattutto in sede di udienza preliminare) nella valenza eccessiva attribuita alle "ipotesi alternative" (circa l’insorgenza della patologia tumorale), In tema di ricostruzione del nesso causale, è certo che il giudice deve porsi il tema della eventuale sussistenza di "ipotesi alternative" (rispetto alla condotta colposa addebitata al sanitario) prospettate o prospettabili al fine di inficiare la tenuta logico- giuridica dell’affermato giudizio di responsabilità.

"Anche questo è un accertamento fondamentale. Infatti, a ben vedere, la processualmente riscontrata presenza di "fattori alternativi" cui possa ricondursi l’evento sub iudice impedisce di potere ritenere dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, il nesso eziologico tra la condotta del sanitario e l’evento incriminato perchè introduce un dubbio irrisolvibile sulla causa di questo (ergo, sulla causa della morte o delle lesioni del paziente).

Va però precisato che per assumere rilievo tali "fattori alternativi" non basta che siano prospettati e/o prospettabili in termini generici e possibilisti, ma devono avere un supporto probatorio adeguato, tale cioè da minare il giudizio di certezza sulla riconducibilità dell’evento alla condotta del sanitario.

In questi termini, ineccepibilmente si esprime la giurisprudenza, quando, con chiarezza, afferma costantemente che, in occasione della ricostruzione del rapporto di causalità, a fronte di una spiegazione causale del tutto logica, siccome scaturente e dedotta dalle risultanze di causa correttamente evidenziate e spiegabilmente ritenute, la prospettazione di una spiegazione causale alternativa e diversa, capace di inficiare o caducare quella conclusione, non può essere affidata solo ad una indicazione "meramente possibilista" (cioè, come accadimento possibile dell’universo fenomenico), ma deve connotarsi di elementi di concreta probabilità, di specifica possibilità, essendo necessario, cioè, che quell’accadimento alternativo, ancorchè pur sempre prospettabile come possibile, divenga anche, nel caso concreto, hic et nunc, concretamente probabile, alla stregua, appunto, delle acquisizioni processuali (Sezione 4, 19 giugno 2006, Talevi; Sezione 4, 11 aprile 2007, Morami).

Qui, il giudicante si è limitato a recepire gli argomenti possibilistici di uno degli elaborati tecnici, con una semplificazione probatoria inaccettabile, vertendosi, appunto, in sede di udienza preliminare.

La sentenza va, pertanto, annullata con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria che si atterrà ai principi sopra indicati.

P.Q.M.

Annulla con rinvio al Tribunale di Reggio Calabria.

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