Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 15-06-2011) 22-07-2011, n. 29428

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza del 12/10/2010, la Corte di Appello di Catania, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal g.u.p. del tribunale della medesima città in data 27/05/2008, così decideva:

– assolveva F.R. e F.C. dal reato di cui alla lett. d) del capo d’imputazione (danneggiamento continuato);

– confermava la predetta sentenza nella parte in cui aveva ritenuto:

a) M.R., M.G., F.R. e F.C. responsabili dei delitti di tentata estorsione e lesioni ai danni di N.A.; b) M.R. e M. G. responsabili del delitto di danneggiamento continuato (incendio di due automezzi) ai danni del suddetto N.; c) F.R. e M.G. dei reati di minaccia nei confronti del N..

2. Avverso la suddetta sentenza, tutti gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione.

2.1. M.R., a mezzo del proprio difensore, ha dedotto i seguenti motivi:

1. OMESSA motivazione in ordine al delitto di cui all’art. 337 c.p. (capo a) d’imputazione) del quale comunque, non sussistevano i presupposti nè soggettivi nè oggettivi;

2. violazione degli artt. 56 e 629 c.p. per avere la Corte territoriale ritenuto la responsabilità del ricorrente sulla base delle sole dichiarazioni della parte offesa N. che, però, erano inverosimili tant’è che sia il giudice della convalida che il tribunale del riesame le avevano qualificate come inadeguate a sorreggere l’imputazione di tentata estorsione. La tesi della Corte doveva ritenersi "macchinosa" e, comunque smentita da quanto dichiarato dalla teste della difesa D.G. che aveva dichiarato che fra le parti vi erano motivi di astio reciproco;

3. Violazione dell’art. 62 bis c.p. per non avere la Corte territoriale motivato in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche e/o alla possibile riduzione della pena.

2.2. M.G., a mezzo del proprio difensore, ha dedotto i seguenti motivi:

1. Violazione dell’art. 337 c.p. perchè nel fatto addebitato non erano ravvisabili gli estremi soggettivi ed oggettivi del reato contestato;

2. violazione degli artt. 56 e 629 c.p.: il ricorrente, con i motivi sub 2 e 3, deduce, sostanzialmente, la stessa doglianza di M. R..

2.3. F.R. e F.C., in proprio e con due separati ricorsi, peraltro perfettamente identici, hanno dedotto illogicità della motivazione per avere la Corte territoriale fondato la propria decisione sulle dichiarazioni della sola parte offesa, ignorando la testimonianza resa da D.G., non considerando che il narrato della parte lesa non era stato "riscontrato da nessuno, per un episodio già qualificato da ben quattro precedenti giudici in violenza privata aggravata" e non poteva considerarsi attendibile avendo reso più dichiarazioni discordanti. La Corte, poi, non aveva spiegato in cosa fosse consistito il dolo dell’ingiustizia del profitto che costituisce uno degli elementi del reato estorsivo. Infine la Corte non aveva chiarito quale fosse stato il ruolo di essi ricorrenti nella tentata estorsione.

Motivi della decisione

1. In via preliminare, va osservato che la Corte territoriale ha ricostruito i fatti per cui è processo nei seguenti termini:

"risulta dagli atti di P.G. redatti dai Carabinieri di Riposto che in data 10-2-2003, alle ore 19,15, N.A. si presentava presso la loro caserma, con evidenti lesioni sul volto, per denunciare di essere stato malmenato poco prima da quattro giovani. In particolare riferiva il N. che nel pomeriggio di quel giorno si era avvicinato al suo camion adibito alla vendita ambulante di frutta e verdura F.R. seguito a breve distanza dal fratello C. e dagli zii M.R. e M.G..

Il primo lo aveva aggredito con un pugno allo stomaco che lo tramortiva, venendo subito dopo colpito anche dagli altri con calci e pugni al volto tanto da cadere a terra. Precisava che il F. R. gli aveva vietato di vendere frutta e verdura con il figlio in piazza e gli aveva intimato di non denunciare lo accaduto ai Carabinieri altrimenti gli avrebbe sparato in testa e gli avrebbe bruciato il camion. Soccorso da taluni passanti e trasportato all’ospedale era stato giudicato guaribile in giorni sei per le contusioni riportate in vari parti del volto. Mentre il N. si trovava presso la Stazione dei Carabinieri si presentava in Caserma il figlio per riferire che il camion utilizzato dal padre per la vendita ambulante di ortofrutticoli era stato, da poco, dato alle fiamme. Il successivo 12 febbraio, verso le ore 13,00, i Carabinieri si recavano, su segnalazione, in via (OMISSIS) ove constatavano che l’autovettura Volkwagen Polo tg. (OMISSIS), pure in uso a N. A., era in preda alle fiamme. Subito dopo, alle ore 13,30, questi si presentava ai militari dell’arma per riferire che il giorno prima era stato avvicinato dai fratelli M.G. e M. R.: il primo gli aveva detto" mi hai denunciato ai Carabinieri, io non ho fatto niente", aggiungendo" se non ritiri la querela io te la faccio finire male", il secondo aveva, a sua volta, usato nei suoi confronti espressioni minacciose dello stesso tipo". Tanto premesso, si può, ora passare alla disamina dei singoli ricorsi.

2. M.R..

2.1. OMESSA motivazione in ordine al delitto di cui all’art. 337 c.p.: la censura deve ritenersi inammissibile atteso che, da un controllo dei motivi di appello, è risultato che l’imputato, in pratica, non aveva dedotto alcun specifico motivo di doglianza avverso il capo della sentenza di primo grado con il quale il g.u.p. lo aveva ritenuto responsabile del delitto di cui all’art. 337 c.p. 2.2. violazione degli artt. 56 e 629 c.p.: la suddetta censura è manifestamente infondata. Infatti, la questione dell’attendibilità delle dichiarazioni della parte offesa era stata dedotta nei motivi di appello, ma la Corte l’ha disattesa con motivazione ampia, congrua ed adeguata alla stregua di precisi riscontri soggettivi ed oggettivi (spontaneità ed immediatezza della denuncia; lesioni in varie parti del volto; danneggiamento del camion e dell’auto in uso al N.).

La Corte, poi, ha preso in considerazione anche la diversa valutazione giuridica effettuata dai giudici della misura cautelare e, con motivazione logica ed aderente ai dati fattuali, ha spiegato le ragioni per le quali non le condivideva. La Corte, infine, ha illustrato anche il motivo per il quale le dichiarazioni della teste D. dovevano ritenersi intrinsecamente poco credibili.

Alla stregua della suddetta motivazione, è, pertanto, del tutto evidente che la doglianza, nei termini in cui è stata dedotta, va ritenuta nulla più che un modo surrettizio di ottenere, in sede di legittimità, una nuova e diversa valutazione dei fatti così come effettuata, con ragionamento logico, congruo ed adeguato e, quindi, incensurabile, dalla Corte territoriale.

2.3. violazione dell’art. 62 bis c.p.: la censura è inammissibile.

Infatti, a fronte di un’ampia motivazione con la quale il g.u.p. aveva spiegato le ragioni per le quali non riteneva di concedere le richieste attenuanti, l’imputato, non aveva dedotto alcun specifico motivo di appello avverso la suddetta motivazione, limitandosi, in modo del tutto generico, ad invocarne la concessione "tanto per le condizioni socio-economiche e culturali tanto perchè il M. R. è inoltre soggetto tossicomane (…)".

Di conseguenza, il fatto che la Corte territoriale non abbia addotto alcuna motivazione, diventa circostanza priva di alcuna conseguenza giuridica sul piano processuale, proprio perchè, a fronte di un motivo palesemente inammissibile, la Corte non aveva alcun obbligo di motivare.

3. M.G.:

3.1. violazione dell’art. 337 c.p. perchè nel fatto addebitato non erano ravvisabili gli estremi soggettivi ed oggettivi del reato contestato: la censura è manifestamente infondata. Infatti, essendo il fatto del tutto pacifico nella sua materialità, la motivazione addotta dalla Corte territoriale – letta in uno con quella di primo grado (cfr pag. 8) – sebbene concisa, deve ritenersi adeguata e congrua a fronte della generica censura stigmatizzata come "sterile difesa" con la quale erano state addotte "discolpe di comodo non credibili e comunque prive di riscontri" (cfr pag. 6 sentenza impugnata).

3.2. violazione degli artt. 56 e 629 c.p.: la censura va ritenuta manifestamente infondata. Trattandosi, infatti, della stessa doglianza dedotta da M.R., vale quanto già detto (supra 2.2.).

4. F.R. – F.C..

La censura è manifestamente infondata.

Quanto alla pretesa inattendibilità della parte offesa, al fatto che i giudici della misura cautelare avevano qualificato diversamente il fatto e alla mancata considerazione della testimonianza della D., vale quanto già detto (supra 2.2.).

Quanto alla pretesa insussistenza del dolo in ordine all’ingiusto profitto, la Corte ha ampiamente chiarito, alla stregua di un precedente specifico di questa Corte (Cass. 12340/1990) che l’ingiusto profitto è consistito nel tentativo di attuare maggiori vendite e, quindi, realizzare maggiori guadagni a danno della parte offesa. Quanto al concorso, la Corte ha specificato – richiamando la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità – che la presenza degli imputati, non essendo affatto causale, ma, anzi, essendo di chiara adesione, era servita a rafforzare l’intento criminoso dell’autore materiale del reato.

5. In conclusione tutte le impugnazioni devono ritenersi inammissibili a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, per manifesta infondatezza: alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si determina equitativamente in Euro 1.000,00 ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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