Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-12-2011, n. 27218 Contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. la Corte d’Appello di Milano con la sentenza n. 881 del 14 dicembre 2006, pronunciando sull’impugnazione proposta da Poste Italiane spa nei confronti di C.F., confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Como n. 48 del 2004. 2. Con quest’ultima, era stata dichiarata la natura subordinata a tempo indeterminato del rapporto di lavoro instaurato tra le suddette parti, per l’accertata illegittimità del termine apposto ai contratti stipulati ai sensi dell’art. 8 dell’accordo 26 novembre 1994 e successive integrazioni, e poi ai sensi dell’art. 25 del CCNL 2001, condannando, altresì, Poste Italiane al pagamento delle retribuzioni maturate a decorrere dall’atto di messa in mora delle stessa.

3. La Corte d’Appello ha ritenuto che nel secondo contratto a termine del 12 giugno 2001, il C. era stato assunto con riguardo alla causale contemplata dall’art. 25 del CCNL "esigenze straordinarie conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi", nonchè con l’ulteriore causale "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno settembre".

Ad avviso della Corte, con riguardo alla prima causale, anche non volendo discostarsi dall’orientamento giurisprudenziale di legittimità relativo alla c.d. "delega in bianco", mancava, in concreto, l’offerta di prova, da parte della società, sia della straordinarietà della esigenza, ma soprattutto della relazione causale tra le esigenze di carattere straordinario e l’assunzione del C.: troppo generiche e di conseguenza di fatto non riconducibili alla posizione del lavoratore, le ragioni di riorganizzazione generale sul territorio nazionale illustrate in grandi linee dalla società. 2. Per la cassazione della suddetta pronuncia ricorre Poste Italiane, prospettando sette motivi di ricorso.

3. Resiste con controricorso C.F..

4. Poste Italiane spa ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 nonchè della L. n. 56 del 1987, art. 23 (art. 360 c.p.c., n. 3).

In particolare, ad avviso della ricorrente si porrebbe in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato che la L. n. 56 del 1987, art. 23 attribuisce una delega piena all’autonomia collettiva in ordine all’individuazione delle ipotesi ulteriori , rispetto a quelle già previste dalla L. n. 230 del 1962, art. 1 e dalla L. n. 79 del 1983, art. 8 bis in cui è consentito apporre un termine di durata al contratto di lavoro. L’art. 25 CCNL sarebbe in linea con tale intervento legislativo.

Il quesito di diritto ha il seguente tenore: se il potere dei contraenti collettivi di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle normativamente previste, stabilito dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, può essere esercitato senza limiti di tempo, tenuto conto che la suddetta legge non prevede alcun limite temporale al riguardo.

2. Con il secondo motivo d’impugnazione è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 e dell’art. 25 del CCNL del 2001, in connessione con gli artt. 115 e 116 c.p.c., e con l’art. 2697 c.c. Espone la ricorrente che l’ipotesi pattizia di cui si discute, come ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, fa esclusivamente riferimento ad una situazione aziendale presente a livello nazionale, ragione per cui non si giustifica la richiesta di prova di esigenze eccezionali presenti a livello di singolo ufficio di assegnazione del dipendente.

Il quesito di diritto ha il seguente contenuto: se ai fini della legittimità delle assunzioni a termine ai sensi dell’art. 25 CCNL 2001, è sufficiente la prova – da parte della società – della sussistenza delle esigenze di carattere generale dedotte nella causale del contratto individuale, senza che sia necessario fornire la dimostrazione del nesso causale tra dette esigenze generali e la singola assunzione.

3. Con il terzo motivo d’impugnazione la ricorrente assume la violazione e falsa applicazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2 della L. n. 56 del 1987, art. 23 nonchè dell’art. 25 del CCNL 2001 (art. 360 c.p.c., n. 3).

La sentenza avrebbe affermato che l’assunzione de qua sarebbe illegittima perchè in ordine alla stessa sono state richiamate due ipotesi pattizie, entrambe previste dall’art. 25 CCNL del 2001.

Con ciò la stessa violerebbe il già richiamato principio della delega in bianco, tenuto conto che l’art. 25 CCNL, non prevede alcun divieto di richiamo congiunto, nello stesso contratto, di due delle ipotesi previste.

Il quesito di diritto è il seguente: se sia consentita o meno l’assunzione a termine richiamando congiuntamente due ipotesi pattizie, entrambe previste dall’art. 25 CCNL 2001, non essendo ciò espressamente vietato dalla norma contrattuale de qua.

4. Con il quarto motivo d’impugnazione è dedotta violazione e falsa applicazione della L. n. 56 del 1987, art. 23 degli artt. 1362 e 1367 c.c., degli artt. 112 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 25 CCNL 2001 (art. 360 c.p.c., n. 3).

Il relazione al suddetto motivo è stato articolato il seguente quesito di diritto: se ai fini della legittimità delle assunzioni a termine effettuate ai sensi dell’art. 25 CCNL 2001, a fronte della causale relativa alla "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie, nel periodo giugno-settembre, è sufficiente la prova – da parte della società, che l’assunzione è avvenuta nel periodo di tempo giugno-settembre, individuato dalla suddetta causale pattizia; di riflesso, se, in base alla norma contrattuale de qua, sia necessari al prova che il lavoratore assunto a termine ha sostituito un singolo lavoratore di ruolo.

5. Con il quinto motivo di impugnazione è dedotta contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

La Corte d’Appello ha ritenuto che essa società non avesse dato alcuna prova relativa al singolo ufficio di assegnazione, omettendo di esaminare il capitolo di prova n. 13, di cui alla propria memoria di costituzione, relativo all’avere i dipendenti di tale ufficio usufruito di un maggior periodo di ferie maggiore rispetto ai dipendenti assunti a termine.

6. Con il sesto motivo d’impugnazione è dedotta, in via subordinata rispetto ai precedenti motivi, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 1219, 2094 e 2099 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3).

La ricorrente afferma che il diritto alle retribuzioni, a titolo risarcitorio, sussiste solo dal momento dell’effettiva ripresa del servizio.

Il quesito di diritto è così articolato: se per il principio di corrispettività della prestazione, il lavoratore – a seguito dell’accertamento giudiziale dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui all’art. 1206 c.c. e segg..

7. Con il settimo motivo di censura è dedotta contraddittorietà della motivazione circa un fatto controverso consistente nella pretesa messa in mora di essa ricorrente, in quanto l’istanza ex art. 410 c.p.c., non conteneva alcuna offerta di prestazione e non era idonea a costituire messa in mora.

8. Con l’ottavo motivo di impugnazione è prospettata, con riguardo alla quantificazione del preteso danno conseguente alla mancata percezione delle retribuzioni, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1219, 1223, 1227, 2099 e 2697 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Il risarcimento deve essere quantificato in relazione all’effettiva perdita subita tenendo conto dell’aliunde perceptum.

Il quesito di diritto ha il seguente contenuto: se nel caso di accertamento della pretesa illegittimità del termine apposto al contratto di assunzione, il risarcimento del preteso danno derivante dalla perdita della retribuzione, debba in ogni caso essere quantificato considerando l’aliunde perceptum, ovvero – ai sensi dell’art. 1227 c.c. – del concorso colposo del lavoratore che abbia omesso di ricercare una diversa occupazione.

9. I motivi da 1 a 5 devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro intrinseca connessione. Gli stessi sono fondati e devono essere accolti in conformità con l’indirizzo costantemente dettato da questa Corte, in relazione ai contratti stipulati ai sensi dell’art. 25 del CCNL 2001 (nel regime anteriore al D.Lgs. n. 338 del 2001).

9.1. In particolare questa Corte Suprema (v., fra le altre, Cass. 26 settembre 2007 n. 20162, Cass. 1-10-2007 n. 20608) decidendo in casi analoghi, ha cassato la sentenza del giudice di merito che ha dichiarato illegittimo il termine apposto ad un contratto stipulato in base alla previsione della norma contrattuale sopra citata, osservando, in linea generale, che la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 nel demandare alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare – oltre le fattispecie tassativamente previste dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1 e successive modifiche nonchè dal D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, art. 8 bis convertito con modificazioni dalla L. 15 marzo 1983, n. 79 – nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati all’individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge (principio ribadito dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte con sentenza 2 marzo 2006 n. 4588), e che in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, quella di cui al citato art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001.

In specie, quale conseguenza della suddetta delega in bianco conferita dal citato art. 23, questa Corte ha precisato che i sindacati, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere oggettivo ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente "soggettivo", costituendo l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato idonea garanzia per i lavoratori e per un’efficace salvaguardia dei loro diritti.

Premesso, poi, che l’art. 25, comma 2, del c.c.n.l. 11 gennaio 2001 prevede, come si è visto, quale ipotesi legittimante la stipulazione di contratti a termine, la presenza di esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti all’introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi, questa Corte ha ritenuto viziata l’interpretazione dei giudici del merito che, sull’assunto della assoluta genericità della disposizione in esame, ha affermato che la stessa non contiene alcuna autorizzazione ad avvalersi liberamente del tipo contrattuale del lavoro a termine, senza l’individuazione di ipotesi specifiche di collegamento tra i singoli contratti e le esigenze aziendali cui gli stessi sono strumentali.

Tale orientamento va confermato in questa sede, essendo, del resto, la tesi accolta dalla Corte di Appello (circa la definizione "in termini assolutamente generali" della clausola collettiva) fondata sull’erroneo presupposto che il legislatore non avrebbe conferito una "delega in bianco" ai soggetti collettivi ed avrebbe imposto al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962.

Del pari, nel quadro delineato, neppure era necessario che il contratto individuale contenesse specificazioni ulteriori rispetto a quelle menzionate nella norma collettiva (v. fra le altre Cass. 14-3- 2008 n. 6988).

Parimenti, poi, va accolta la censura rivolta contro la affermazione della nullità del termine in relazione alla seconda causale, riguardante la "concomitanza di assenze per ferie".

Sul punto, premesso che "l’indicazione di due o più ragioni legittimanti l’apposizione di un termine ad un unico contratto di lavoro non è in sè causa di illegittimità del termine per contraddittorietà o incertezza della causa giustificatrice dello stesso" (v. Cass. 17-6-2008 n. 16396), con riferimento a tale seconda causale, in particolare già Cass. 13-6-2005 n. 12632 ha affermato che "in materia di assunzione a termine dei lavoratori subordinati regolata dalla L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 e non dalla L. 18 aprile 1962, n. 230, la mancata indicazione del nominativo del lavoratore sostituito non comporta alcuna nullità del contratto per difetto di forma nè la conseguente conversione del rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato, non essendo la nullità per difetto di forma prevista dalla legge applicabile al rapporto "ad substantiam", stante il principio di tassatività della forma vigente nel nostro ordinamento".

Nel contempo, più in generale, si è consolidato l’indirizzo secondo cui la L. n. 56 del 1987, art. 23 "che demanda alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria "delega in bianco" a favore dei sindacati, i quali, pertanto, senza essere vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge, possono legittimare il ricorso al contratto di lavoro a termine per causali di carattere "oggettivo" ed anche – alla stregua di esigenze riscontrabili a livello nazionale o locale – per ragioni di tipo meramente "soggettivo", (v. fra le altre Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In specie, poi, questa Corte (cfr., da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), decidendo su una fattispecie simile a quella in esame (anche se con riferimento alla analoga precedente previsione collettiva ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, relativa alla "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno- settembre") ha cassato la sentenza di merito che aveva affermato la sussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto a termine il nome del lavoratore sostituito avendo ritenuto la sussistenza di una violazione di norme di diritto e di un vizio di interpretazione della normativa collettiva.

In particolare la violazione di norme di diritto è stata individuata nella statuizione con la quale la sentenza di merito ha negato che l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva fosse del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie, ponendosi in contrasto col principio di diritto della "delega in bianco" enunciato dalle Sezioni Unite.

Altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, sempre con riferimento alla precedente analoga previsione collettiva) hanno confermato la decisione di merito che aveva ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Tale orientamento va confermato anche con riferimento alla nuova previsione collettiva contenuta nell’art. 25 del CCNL del 2001 (che, del resto, parimenti non prevede alcun obbligo di indicazione nel contratto individuale del nominativo del dipendente da sostituire).

La tesi interpretativa accolta nell’impugnata sentenza, infatti, si muove pur sempre nella (erronea) prospettiva che il legislatore non avrebbe conferito una delega in bianco ai soggetti collettivi, imponendo al potere di autonomia i limiti ricavabili dal sistema di cui alla L. n. 230 del 1962 (v. fra le altre Cass. 12-3-2008 n. 6658).

10. L’accoglimento dei motivi da 1 a 5 di impugnazione, in quanto più generali ed assorbenti esclude che il Collegio debba pronunciarsi anche sugli ulteriori (e subordinati) motivi di ricorso.

11. Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza della Corte d’Appello di Milano va cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio, alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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