Cass. pen., sez. I 23-11-2007 (13-11-2007), n. 43685 Per vizio di motivazione – Poteri del giudice di rinvio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

OSSERVA
1. Il tribunale di Bari, pronunciandosi in sede di rinvio sulla richiesta di riesame dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 7 giugno 2006 dal Gip del tribunale della stessa città nei confronti di P.P., indagato per concorso esterno in associazione di tipo mafioso e concorso in abuso di ufficio aggravato ai sensi della L. n. 203 del 1991, art. 7, accoglieva parzialmente l’istanza proposta dal P., sostituendo alla custodia cautelare in carcere la più blanda misura degli arresti domiciliari.
Nell’ordinanza ora richiamata veniva ripercorso l’iter della vicenda cautelare del P., affermando che la precedente ordinanza emessa il 6 luglio 2006 dal tribunale del riesame di Bari aveva annullato l’ordinanza coercitiva emessa dal Gip, sul rilievo che l’intervento illecito dell’indagato si era manifestato in epoca anteriore a quella di espansione nel territorio di (OMISSIS) del sodalizio criminoso IANNO – MARTINO;
Che la Corte di cassazione Sezione Quinta Penale, con sentenza del 15 gennaio 2007, aveva accolto il ricorso proposto dal PM, annullando con rinvio l’ordinanza del tribunale del riesame, sollecitando un nuovo esame della vicenda alla luce di una serie di atti non presi in considerazione dai giudici del riesame e che dimostravano invece il carattere "pilotato" in favore degli I. delle condotte poste in essere dal P. nella fase esecutiva degli appalti;
E che, proprio passando sinteticamente in rassegna i singoli "qualificati" interventi protrattisi nel tempo dall’indagato era emersa la sua attività fiancheggiatrice del clan IANNO – MARTINO, volta ad "orientare", nella sua qualità di responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune, il regolare, corretto e legale andamento di alcuni appalti in tale fase.
Secondo l’ordinanza, peraltro, non poteva essere condiviso l’assunto difensivo della mancata conoscenza da parte del P. dell’esistenza di un’associazione per delinquere facente capo ai soggetti direttamente o indirettamente interessati agli appalti e subappalti di competenza dell’amministrazione comunale di S. Marco in Lamis, perchè la precisa conoscenza degli interessi mafiosi sottostanti tali lavori pubblici emergeva sia dalle stesse dichiarazioni rese dall’indagato in varie sedi, sia dalla valutazione della posizione del coindagato I.A. fatta dallo stesso tribunale nel 2004 in un altro procedimento, quale emergeva da una serie di elementi specificamente indicati.
Quanto alle esigenze cautelari, a parte la presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3, insita nella formulazione di un’imputazione d concorso esterno in associazione mafiosa, il tribunale richiamava una perizia medico – legale disposta dal Gip che evidenziava l’incompatibilità delle condizioni di salute del P. con il regime carcerario. Di qui l’opportunità di attenuare la custodia cautelare attraverso la concessione degli arresti domiciliari.
Ricorre per cassazione il P. a mezzo del proprio difensore, il quale fa rilevare, sotto il profilo della violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e e), che, ferma restando la ricostruzione delle condotte poste in essere dal suo assistito nella fase esecutiva delle gare di appalto oggetto di considerazione, l’ordinanza impugnata era incorsa in due errori di fondo:
Il primo era che sia il primo giudice di merito che il giudice di rinvio avevano omesso di verificare, ai fini della valutazione del ritenuto concorso esterno, la mancata conoscenza da parte sua dell’esistenza di un’associazione a delinquere facente capo a soggetti direttamente o indirettamente interessati ai lavori pubblici di competenza dell’amministrazione comunale di S. Marco in Lamis, posto che questo punto della decisione non poteva ritenersi assorbito dalla pronuncia di annullamento della Cassazione, la quale era stata chiamata a pronunciarsi sulla configurabilità o meno di un concorso esterno in un’associazione a delinquere in un momento antecedente alla sua costituzione;
Il secondo errore concerneva un’altra omissione, relativa alla mancata acquisizione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 21 giugno 2004 nei confronti di I.M. e I. A. che faceva riferimento a una compagine criminale avente ad oggetto la programmazione di estorsioni, rapine, omicidi e reati in materia di armi e non anche la programmazione di irregolarità nel settore degli appalti. Le risposte date in proposito dal tribunale erano tutt’altro che soddisfacenti.
Con riferimento alle esigenze cautelari, la difesa del P. segnalava che il giudice di rinvio aveva dimostrato che l’indagato aveva rescisso i suoi legami con l’organizzazione criminosa, sicchè era venuta meno la presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3.
In prossimità dell’odierna udienza camerale, la difesa del P. depositava presso la cancelleria di questa Sezione una memoria, in cui faceva rilevare che i due I. erano stati prosciolti dal gup del tribunale di Bari dal reato presupposto loro contestato (associazione a delinquere di stampo mafioso), anche se la sentenza (parziale) era stata impugnata dal PM;
Che non era stata provata la conoscenza da parte dell’indagato degli interessi mafiosi sottostanti gli appalti e subappalti del clan IANNO – MARTINO, avuto riguardo alle date di consumazione dei vari reati contestati;
E che, per quanto concerneva le esigenze cautelari, il P. aveva interrotto il suo rapporto di lavoro con il Comune di S. Marco in Lamis, sicchè era venuta meno l’esigenza di protrarre la sua custodia cautelare sia pure nella forma attenuata degli arresti domiciliari.
2. Il ricorso è solo parzialmente fondato.
Va preliminarmente fatto rilevare che il giudice di rinvio decide si con gli stessi poteri che aveva il giudice del provvedimento impugnato, ma limitatamente ai punti che sono stati oggetto di annullamento o in stretta connessione con la parte annullata.
Peraltro, nell’ipotesi di annullamento per vizio della motivazione, come è avvenuto sostanzialmente nel caso in esame, il giudice di rinvio pur restando libero di determinare il proprio apprezzamento di merito mediante autonoma valutazione dei dati probatori e delle situazioni di fatto concernenti i punti oggetto di annullamento è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, con il vincolo di dare alla decisione una motivazione congrua e il divieto di fondarla sugli stessi argomenti dei quali è stata dichiarata l’illogicità (Cass. Sez. 1, 21 marzo 1996, n. 4882, Velotti, Rv 204636).
La Corte di cassazione ha sollecitato un nuovo esame della vicenda alla luce di una serie di atti non presi in considerazione dai giudici del riesame e che dimostravano invece il carattere "pilotato" in favore degli I. delle condotte poste in essere dal P. nella fase esecutiva degli appalti. Proprio passando sinteticamente in rassegna i singoli "qualificati" interventi protrattisi nel tempo dall’indagato era emersa la sua attività fiancheggiatrice del clan IANNO – MARTINO, volta ad "orientare", nella sua qualità di responsabile dell’Ufficio Tecnico del comune, il regolare, corretto e legale andamento di alcuni appalti in tale fase.
Ciò premesso, si osserva.
Non è fondato il primo motivo di ricorso, perchè, contrariamente a quanto affermato dalla difesa, secondo cui il P. non avrebbe avuto conoscenza dell’esistenza di un’associazione a delinquere facente capo agli I., l’ordinanza impugnata dedica ampio spazio a questa sicura conoscenza da parte dell’indagato dei soggetti "direttamente o indirettamente interessati ai lavori pubblici di competenza dell’amministrazione comunale di San Marco in Lamis", che trovava esplicito conforto innanzitutto nelle dichiarazioni rese dallo stesso indagato sia in sede di interrogatorio di garanzia sia innanzi alla Corte dei conti, oltre che in una serie di elementi, anche di ordine logico, univocamente sintomatici dell’esistenza di una forza intimidatoria facente capo agli esponenti di tale sodalizio, espressamente elencati e valorizzati dal tribunale in sede di appello cautelare sulla posizione del coindagato I.A..
Per quanto concerne in particolare l’oggetto dei due procedimenti penali che vedevano coinvolti gli I., nessuna concreta rilevanza poteva essere attribuita al fatto che nel primo procedimento (quello datato 2004, relativo al sodalizio mafioso IANNO – MARTINO: n. 9105/2003, cui era rimasto estraneo il P.), non si facesse riferimento alla programmazione di appalti e subappalti, esistendo un collegamento tra due procedimenti (quello appena indicato e quello che vede coinvolti in un diverso reato associativo il P. e tale T. a titolo di concorso esterno: proc. n. 10154/04), ad onta della segnalata esistenza nei motivi aggiunti di una sentenza parziale del gup del tribunale di Bari in sede di udienza preliminare e di un supposto bis in idem.
Fondato è invece il motivo di ricorso relativo all’applicazione di un misura cautelare più blanda (quella degli arresti domiciliari) al P. nonostante la ritenuta insussistenza delle esigenze cautelari presunte relative ai delitti contestatigli.
A norma dell’art. 275 c.p.p., comma 3, quale risulta dalle modifiche e dalle integrazioni apportatevi dal D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 5, convertito con modificazioni nella L. 12 luglio 1992, n. 203, le esigenze cautelari relative ai delitti ivi previsti (delitti di cui all’art. 416 bis c.p., o delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto art. 416 bis c.p., ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo) sono presunte e possono essere soddisfatte unicamente con la misura della custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi che in positivo le escludano. La giurisprudenza di legittimità riconosce che si può avere un soddisfacibilità delle stesse esigenze cautelari anche mediante l’applicazione di misure detentive meno gravose della detenzione in carcere, unica ritenuta idonea dal legislatore stante la presunzione di pericolosità per determinati delitti previsti dalla legge.
Il tribunale di Bari ha concesso al ricorrente gli arresti domiciliari, motivando che sussiste incompatibilità "sia pure momentanea" tra le condizioni di salute del P. e il protrarsi dello stato di detenzione (così la relazione del perito Dott. V. richiamata nell’ordinanza) e che il P. è incensurato e le imprese edili dei fratelli I. sono attualmente sottoposte a vincolo reale.
Questa motivazione appare di per sè contraddittoria. Delle due: o il P. è ancora pericoloso per la sua affiliazione (sub specie di concorso estero) alla cosca associativa IANNO e allora deve restare in carcere, stante la presunzione di pericolosità prevista dall’art. 275 c.p.p., comma 3;
Oppure le esigenze cautelari dedotte dalla difesa e accertate dal tribunale non sussistono più e allora allo stesso non andava applicata neppure una misura cautelare meno stigmatizzante della custodia cautelare in carcere come è quella degli arresti domiciliari.
Dalla lettura dell’ordinanza impugnata non risulta infatti quali siano le esigenze cautelari persistenti che giustificherebbero la custodia cautelare del ricorrente, sia pure nella forma attenuata degli arresti domiciliari.
Ripercorrendo l’iter motivazionale, sembrerebbe che il tribunale si sia convinto, sulla base degli elementi dianzi indicati (stato di malattia, incensuratezza dell’indagato, disposto sequestro preventivo dei beni dei fratelli I.) della insussistenza di esigenze cautelari, sicchè l’applicazione degli arresti domiciliari appare di per sè ingiustificata.
L’ordinanza impugnata va dunque annullata e gli atti rinviati al tribunale della libertà di Bari per un nuovo e più approfondito esame del tema delle esigenze cautelari.
Nel resto, il ricorso va rigettato.
P.Q.M.
Visti gli artt. 606, 616, 623 c.p.p..
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia al Tribunale di Bari per nuovo esame.
Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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