Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 09-06-2011) 22-07-2011, n. 29546 Aggravanti comuni danno rilevante

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Perugia, sezione distaccata di Foligno, con sentenza del 17/12/08, dichiarava R.R. colpevole dei reati di cui alla L. n. 75 del 1958, art. 3, nn. 4 e 8, art. 61 c.p., n. 2, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, per avere reclutato C. L., in (OMISSIS), al fine di farle esercitare la prostituzione in Italia, fornendole la disponibilità dei luoghi ove esercitare il meretricio e pretendendo che costei gli versasse parte del ricavato del suo lavoro, e lo condannava alla pena di anni 3 di reclusione ed Euro 6.000,00 di multa.

La Corte di Appello di Perugia, chiamata a pronunciarsi sull’appello avanzato nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 5/3/2010, ha confermato il decisum di prime cure.

Propone ricorso per cassazione la difesa del R., con i seguenti motivi:

– violazione ed errata applicazione dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, art. 161 c.p.p., comma 4 e art. 179 c.p.p. e D.L. n. 39 del 2009, art. 5, comma 10, convertito nella L. n. 77 del 2009, in quanto il decreto di citazione in appello andava notificato nel domicilio eletto dal prevenuto e non presso il difensore di fiducia, anche in dipendenza della normativa richiamata regolante le notifiche degli atti aventi destinatari residenti in territorio colpito dal sisma del 2009 in zona di L’Aquila;

– violazione ed errata applicazione dell’art. 512 c.p.p., visto che la Corte territoriale trae elementi di colpevolezza a carico del R. anche dalle dichiarazioni di Ci.Ma.Ro., acquisite ex art. 512 c.p.p.: nel caso di specie era sicuramente prevedibile che una cittadina straniera, senza fissa dimora, avrebbe ben presto lasciato l’Italia per tornare nel suo paese di origine nel quale, peraltro non è stata svolta alcuna attività di ricerca;

– insussistenza di prove rilevanti a carico dell’imputato ed errata valutazione delle emergenze istruttorie;

– eccessività della pena inflitta, rilevato che il giudice non ha tenuto conto della modesta gravità del reato e della incensuratezza dell’imputato;

– la Corte di Appello non ha espresso alcuna motivazione in ordine alla intervenuta prescrizione, eccepita dalla difesa alla udienza dibattimentale.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La argomentazione motivazionale, adottata dal giudice di merito a sostegno del decisum, è logica e corretta.

In ordine alla eccepita violazione e errata applicazione dell’art. 157, comma 8 bis, si rileva come la Corte territoriale abbia correttamente interpretato e applicato la normativa regolante la notifica degli atti (nella specie del decreto di citazione in appello) all’imputato.

Il decidente, infatti, ha evidenziato che il domicilio eletto dal R.R., in data, 27/11/04, presso la sua residenza in (OMISSIS), domicilio presso il quale la difesa lamenta non essere stato ritualmente citato l’appellante, risulta in realtà essere divenuto inidoneo, in quanto un tentativo di notifica allo stesso, compiuto in data 6/4/09, ha dato come esito "trasferitosi presso Istituto Tecnico (OMISSIS)", e nella relata che accompagna il successivo tentativo di notifica leggesi "anzi non potuto consegnare in quanto, da informazioni assunte presso la segreteria dell’Istituto, il R. è pensionato da circa cinque anni". Ciò avrebbe comportato che la notifica venisse effettuata al difensore, ex art. 161 c.p.p., ed è esattamente quello che è accaduto: la notifica, infatti, è stata eseguita presso il difensore di fiducia, sia pure ai sensi dell’art. 157 c.p.p., comma 8 bis, con un richiamo normativo errato, ma sortendo esattamente lo stesso effetto che la norma vuole.

Di conseguenza, a giusta ragione, la Corte territoriale ha ritenuto rituale la notifica all’imputato, del quale ha dichiarato la contumacia.

Di poi, il ricorrente eccepisce la violazione ed errata applicazione dell’art. 512 c.p.p., in quanto la Corte territoriale avrebbe tratto elementi di colpevolezza anche dalla dichiarazione di Ci.

M.R., acquisita ai sensi della citata norma; nonchè vizio di motivazione in relazione all’art. 192 c.p.p., rilevando che la sentenza si fonderebbe su elementi probatori incerti e privi di riscontri oggettivi.

Orbene, si osserva che il giudice di merito perviene alla affermazione di colpevolezza dell’imputato, per i reati ad esso ascritti, indipendentemente dalla dichiarazione della Ci. e ciò viene posto in netta evidenza dallo stesso decidente, che richiama, ad abundantiam, dette dichiarazioni, peraltro solo in riferimento alla sussistenza degli elementi concretizzanti il reato di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 12, comma 5, ritenendo la piattaforma probatoria già ampiamente consolidata, pur non utilizzando le dichiarazioni de quibus, da ulteriori prove acquisite:

quanto riferito dalla C. sul trasferimento della stessa, dalla Romania in Italia, organizzato dal R., con la promessa da parte di costui di sposarla; la circostanza che appena giunta in Italia fu indotta dall’uomo ad esercitare la prostituzione, in luoghi dallo stesso predisposti (prima in una roulotte, poi in diversi appartamenti), da ultimo nell’immobile di via (OMISSIS), all’interno del quale i Carabinieri, ai quali si era rivolta la donna, avevano rinvenuto materiale pornografico e fotografie in cui veniva immortalata la C. nell’esercizio del meretricio.

In aggiunta a tali emergenze, il decidente richiama anche gli esiti degli appostamenti, effettuati dai militi, che confermavano l’andirivieni di uomini dal predetto appartamento, e quanto dichiarato dalla stessa C. in ordine al prelievo dei suoi guadagni da parie dell’imputato, che per costringerla a continuare a prostituirsi era solito picchiarla.

Peraltro, la doglianza sulla incertezza delle emergenze istruttorie palesa il tentativo di procedere ad una analisi rivalutativa della prova, su cui al giudice di legittimità è precluso ogni riesame estimativo.

Con l’ulteriore motivo di ricorso la difesa del R. si duole della eccessività della pena inflitta. La censura è manifestamente priva di fondamento, rilevato che la Corte di Appello, nel ritenere congruo e palesemente conforme ai criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p. il trattamento sanzionatorio, anche con riferimento all’entità dell’aumento praticato per la continuazione, ha evidenziato la gravità e la reiterazione delle condotte criminose, volte a consentire l’ingresso alle straniere in Italia, con false promesse di un posto di lavoro regolare, che poi si rivelava inesistente, in quanto il vero fine a cui tendeva il prevenuto era quello di fare prostituire le donne per poi appropriarsi dei guadagni delle stesse.

Infondata, del pari, risulta essere la eccezione di prescrizione dei reati: la data di commissione di essi è individuata al marzo 2003, per cui il termine relativo al delitto di cui al capo a) della rubrica si andrà a maturare al marzo 2015, mentre quello del delitto di cui al capo b) si è consumato nel settembre 2010, successivamente alla pronuncia di seconde cure, ma la inammissibilità del ricorso dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un corretto rapporto di impugnazione e preclude la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità, ai sensi dell’art. 129 c.p.p. (Cass. S.U. 21/12/2000, De Luca).

Tenuto conto della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il R. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente determinata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di Euro 1.000,00.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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