Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 08-06-2011) 22-07-2011, n. 29537 Diritti d’autore

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 16 ottobre 2009, la Corte d’Appello di Napoli confermava la decisione con la quale, in data 1 giugno 2007, il Tribunale di quella città condannava P.G. per il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, commi 1 e 2, per aver detenuto per la vendita programmi per elaboratore e supporti audiovisivi palesemente contraffatti e sprovvisti del contrassegno SIAE. Avverso tale decisione il predetto proponeva ricorso per cassazione.

Con un primo motivo di ricorso deduceva la violazione degli artt. 149, 150, 151 e 415 bis c.p.p., rilevando che il Pubblico Ministero procedente aveva disposto la notifica dell’avviso di conclusione indagini mediante telefax e che la Corte territoriale erroneamente aveva respinto la sollevata eccezione, in quanto la disciplina sulle notificazioni consentiva soltanto al giudice, peraltro con le formalità specificate nelle disposizioni richiamate, l’effettuazione delle notifiche a mezzo telefax ed altrettanto erroneamente aveva ritenuto che l’atto avesse raggiunto il suo scopo non essendovi certezza, sulla base del solo rapporto di trasmissione, che tale mezzo di comunicazioni garantisca l’effettiva ricezione dell’atto da parte del destinatario.

Con un secondo motivo di ricorso lamentava che la Corte territoriale non aveva tenuto conto della giurisprudenza comunitaria e di quella di questa Corte in ordine alla mancata applicazione del contrassegno SIAE sui supporti commercializzati e che, essendo la condotta contestatagli riconducibile all’ipotesi di reato presa in considerazione dalla predetta giurisprudenza, doveva ritenersi il fatto non previsto dalla legge come reato.

Insisteva, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile perchè basato su motivi manifestamente infondati.

Occorre rilevare, con riferimento alla questione relativa alla dedotta nullità della notificazione dell’avviso di cui all’art. 415 bis c.p.p., che l’utilizzazione del telefax per il compimento dell’atto è pacificamente ammesso.

La norma applicabile, nella fattispecie, è l’art. 148 c.p.p. il quale, al comma 2 bis, stabilisce che l’autorità giudiziaria può disporre che le notificazioni o gli avvisi ai difensori siano eseguiti con mezzi tecnici idonei tra i quali rientra, ovviamente, il telefax.

La medesima disposizione richiede che l’ufficio che invia l’atto attesti in calce ad esso di aver trasmesso il testo originale.

La eventuale mancanza di tale attestazione, peraltro, comporta una mera irregolarità, insuscettibile, come tale, di dar luogo a giuridica inesistenza o a nullità dell’atto (Sez. 1^ n. 217, 8 gennaio 2003).

Si è inoltre chiarito che la notificazione a mezzo fax rientra tre le forme ordinarie di notificazione e non tra le forme particolari di notificazione disposte dal giudice ai sensi dell’art. 150 c.p.p., con la conseguenza che non è richiesto alcun decreto motivato del giudice essendo sufficiente una "disposizione" consistente anche in un provvedimento organizzatorio di carattere generale (Sez. 2 n. 8031, 1 marzo 2010).

Con specifico riferimento all’avviso di conclusione indagini, si è anche spiegato che la ritualità della notificazione effettuata al difensore dell’imputato a mezzo telefax consente di qualificare come abnorme il provvedimento del giudice del dibattimento con il quale, ritenuta invece la nullità di detta notificazione e del successivo decreto di citazione a giudizio, sia stata disposta la restituzione degli atti al pubblico ministero (Sez. 5 n. 16512, 15 maggio 2006).

Alla luce di tali principi, che il Collegio condivide e dai quali non intende discostarsi, appare di tutta evidenza che la Corte territoriale, contrariamente a quanto affermato in ricorso, ha fatto buon uso delle norme processuali applicate.

A conclusioni analoghe deve pervenirsi per quanto riguarda il secondo motivo di ricorso.

Occorre ricordare, a tale proposito, che, in tema di diritto d’autore, relativamente ai reati di detenzione per la vendita di supporti privi del contrassegno Siae, secondo la giurisprudenza comunitaria (Corte di Giustizia Europea 8 novembre 2007, Schwibbert), dopo l’entrata in vigore della direttiva Europea 83/189/CEE, la quale ha previsto una procedura di informazione comunitaria nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche, l’obbligo di apporre sui compact disk contenenti opere d’arte figurativa il contrassegno SIAE in vista della loro commercializzazione nello Stato membro interessato, costituisce una "regola tecnica" che, qualora non sia stata notificata alla Commissione della Comunità Europea, non può essere fatta valere nei confronti di un privato.

Con riferimento al reato di cui all’art. 171 ter, comma 1, lett. d) si è osservato che l’obbligo di apposizione del contrassegno Siae sui supporti rappresentati da musicassette, fonogrammi, videogrammi o sequenze di immagini in movimento è stato introdotto, per la prima volta, dal D.Lgs. n. 685 del 1994, successivamente all’entrata in vigore della menzionata direttiva comunitaria, senza che ne sia stata fatta comunicazione alla Commissione (Sez. 3 n. 13816, 2 aprile 2008).

Sulla base di tale presupposto, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto l’inopponibilità nei confronti dei privati dell’obbligo di apposizione del predetto contrassegno quale effetto della mancata comunicazione alla Commissione dell’Unione Europea di tale "regola tecnica" in adempimento della direttiva Europea 83/179/CE, rilevando che ciò comporta l’assoluzione del soggetto agente con la formula " il fatto non è previsto dalla legge come reato" (cfr. Sez. 3 n. 13816, 2 aprile 2008; n. 34553, 3 settembre 2008; Sez. 2 n. 30493, 22 luglio 2009).

E’ inoltre evidente che, in caso di concorso con il reato di ricettazione, la cui configurabilità deve essere ritenuta (SS. UU. n. 47164, 23 dicembre 2005), la non punibilità del reato presupposto travolge anche i delitto di cui all’art. 648 c.p..

La successiva entrata in vigore del D.P.C.M. 23 febbraio 2009, n. 31, di approvazione della regola tecnica oggetto del procedimento di notifica alla Commissione UE n. 2008/0162/1, ha reso nuovamente perseguibili penalmente le condotte successive al 21 aprile 2009.

Resta invece ferma la confisca in quanto i supporti sequestrati non sono comunque suscettibili di vendita (Sez. 3 n. 7622, 25 febbraio 2010).

Si è tuttavia esplicitamente osservato che, nonostante il richiamato indirizzo interpretativo, continuava ad essere vietata e sanzionata penalmente qualsiasi attività comportante l’abusiva diffusione, riproduzione o contraffazione delle opere dell’ingegno (Sez. 3 n. 34555, 3 settembre 2008).

Altra giurisprudenza di questa Corte, peraltro non uniforme, ha tuttavia escluso il valore probatorio o indiziario dell’illecita duplicazione o riproduzione dei supporti audiovisivi alla semplice mancanza, sugli stessi del contrassegno Siae (Sez. 3 n. 44892, 20 novembre 2009; Sez. 3 n. 27109, 4 luglio 2008; Sez. 7 n. 21579, 29 maggio 2008, Difformi Sez. 3 n. 34266, 27 agosto 2008; Sez. 3 n. 129, 8 gennaio 2009).

Ciò posto, si osserva come nella fattispecie la Corte territoriale abbia dato atto, con argomentazioni in fatto immuni da censure in questa sede, della circostanza che la condotta contestata riguarda l’abusiva duplicazione dei supporti risultante dalle dichiarazioni dello stesso imputato che, per tale ragione, è stato assolto dal concorrente reato di ricettazione e della circostanza che, pur a fronte della indicazione, in rubrica, dell’art. 81 c.p. e del reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 bis, il giudice di prime cure non ha effettuato alcun aumento per la continuazione.

Appare del tutto evidente, alla luce di tali considerazioni ed in ragione dell’aggravante della immissione in commercio di oltre 50 copie o esemplari di opere abusivamente duplicate, che la condotta in contestazione era unicamente quella individuata dalla Corte d’Appello.

Ne consegue la dichiarazione di inammissibilità e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento in favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in Euro 1.000,00 tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità".(Corte Cost. 186/2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente la pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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