Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 08-06-2011) 22-07-2011, n. 29532

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Svolgimento del processo

Il Gup presso il Tribunale di Chieti, con sentenza del 27/6/07, resa a seguito di rito abbreviato, dichiarava T.G.V. colpevole del reato di cui all’art. 81 cpv e art. 609 quater c.p., comma 1, n. 2 e art. 609 bis c.p., comma 5, e, concesse allo stesso le attenuanti generiche, ritenute equivalenti alla aggravante di cui all’art. 609 quater, comma 5 applicato l’aumento per la continuazione e riconosciuta la diminuente premiale, lo condannava alla pena di anni 4 di reclusione, con applicazione delle pene accessorie;

condannava altresì l’imputato al risarcimento del danno in favore della p.c., da liquidarsi in separata sede, liquidando in favore della stessa una provvisionale, immediatamente esecutiva, pari ad Euro 5.000,00.

La Corte di Appello di L’Aquila, chiamata a pronunciarsi sull’appello interposto nell’interesse del prevenuto, con sentenza del 20/1/2010, in parziale riforma del decisum di prime cure, riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 609 quater c.p., comma 3, ha rideterminato la pena in anni 2 e mesi 8 di reclusione.

Propone ricorso per cassazione il T. personalmente, con i seguenti motivi:

– nullità del compendio probatorio, per aperta violazione della Carta di Noto per quanto riguarda le prove fornite dalla minore ed errata valutazione delle restanti emergenze istruttorie;

– errata applicazione della diminuzione della pena in applicazione della concessa attenuante della minore gravità;

– manifesta illogicità della motivazione circa la determinazione del quantum della pena base, inflitta nella misura di anni 5 e mesi 6 di reclusione, in luogo del minimo editale di anni 5, ricollegabile alla riconosciuta lievità del fatto;

– contraddittorietà della motivazione, in relazione alla riconosciuta sporadicità dei lievi episodi e la eccessiva quantificazione della continuazione.

Motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile.

La argomentazione motivazionale. adottata dal decidente, si palesa del tutto logica e corretta.

In ordine alla censura avanzata col primo motivo, con cui la difesa dell’imputato contesta le modalità di acquisizione delle dichiarazioni rese dalla minore, perchè assunte nel mancato rispetto dei principi dettati dalla Carta di Noto, rilevasi che le linee guida in detto documento indicate non costituiscono regole di carattere legale, nè per la acquisizione, nè per la valutazione delle prove, così che la loro violazione non può essere dedotta come causa di nullità o di inutilizzabilità della prova (Cass. 14/12/07, Granillo; Cass. 10/4/08, Gruden).

Nè può riconoscersi valenza alle ulteriori eccezioni mosse dal ricorrente alle testimonianze della madre della vittima. S. E., e della assistente sociale, che intrattenne colloqui con la minore, sol perchè costituirebbero prove de relato.

Sul punto, si evidenzia che, in materia di violenza sessuale su minore, avvenuta in ambito familiare, le dichiarazioni dei congiunti, che hanno raccontato le confidenze del minore costituiscono veri e propri riscontri, allorchè integrano qualificate deposizioni de relato e riferiscono informazioni rese in un contesto di normalità allo scopo di soddisfare un naturale bisogno di difesa e protezione del minore stesso (Cass. 3/12/03, n. 46289); come, del pari, le dichiarazioni rese da persone qualificate professionalmente, che abbiano avuto modo, nel corso dei colloqui intrattenuti con il minore, di ricevere dallo stesso la rivelazione dell’abuso patito.

Peraltro, osservasi.

Dal vaglio di legittimità a cui è stata sottoposta la pronuncia impugnata emerge, in maniera in equivoca, che il giudice ha proceduto ad un attento e compiuto esame della piattaforma probatoria, adottando l’esatto metodo di indagine estimativa: infatti il decidente, nel valutare la prova, ha preso in considerazione ogni singolo fatto ed il loro insieme, non in modo parcellizzato e avulso dal generale contesto probatorio, ed ha verificato che essi, ricostruiti in sè e posti vicendevolmente in rapporto, potevano essere ordinati in una costruzione logica, armonica e consonante, tale da consentirgli, attraverso la valutazione unitaria del contesto, di attingere la verità processuale, pervenendo, così, ad affermare la colpevolezza dell’imputato in ordine al reato ad esso ascritto. Peraltro, con il motivo di ricorso la difesa del T. tende ad una analisi rivalutativa delle emergenze istruttorie, sulle quali al giudice di legittimità è precluso di procedere a nuovo esame estimativo.

Esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata, in via esclusiva, al giudice di merito, senza che possa, quindi, integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente, più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.

In una tale prospettiva, il giudice di legittimità non può sovrapporre la propria valutazione a quella del giudice di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova raccolte, essendo, invece, compito di questa Corte stabilire se il decidente abbia esaminato tutti gli elementi a sua disposizione, se abbia fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbia esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta delle conclusioni raggiunte (Cass. 23/1/03, Cozzi; Cass. 19/9/02, Di Benedetto; Cass. 6/3/03, Di Folco).

Nel caso in esame il giudice ha dato contezza di avere fatto buon governo dei principi affermati dalla giurisprudenza, sia in materia di valutazione del narrato del minore, vittima di violenza sessuale, sia del complessivo compendio probatorio, sviluppando un discorso giustificativo esente da vizi e del tutto esaustivo.

Del pari totalmente prive di fondamento si rivelano le doglianze attinenti alla riduzione applicata in dipendenza della concessione della attenuante di cui all’art. 609 quater c.p., comma 3 al quantum della pena base inflitta e alla eccessiva quantificazione della continuazione, visto che su tali punti il decidente, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ha applicato la sanzione ritenuta adeguatamente corrispondente alla gravita del fatto, senza travalicare i limiti ex lege fissati.

Tenuto conto, poi, della sentenza del 13/6/2000, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che il T. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, lo stesso, ai sensi dell’art. 616 c.p.p. deve, altresì, essere condannato al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al 4 pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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