Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 08-06-2011) 22-07-2011, n. 29528 Opera dell’ingegno

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catania, in accoglimento dell’impugnazione proposta dal Procuratore Generale della Repubblica avverso le sentenze del Tribunale di Catania, sezione distaccata di Acireale, in data 25.5.2009 ha affermato la colpevolezza di D.G.G. in ordine a due ipotesi di reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. c) e comma 2, oltre al delitto di ricettazione, contestati in due diversi procedimenti, condannandolo alle pene rispettivamente precisate in epigrafe.

Il D.G. era stato assolto dal Tribunale di Catania, sezione distaccata di Acireale, dal reato: 1) di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. d) e comma 2, lett. a) e b), a lui ascritto per avere detenuto per la vendita e posto in commercio oltre cinquanta opere tutelate dal diritto d’autore e, precisamente, 70 compact disk contenenti giochi per play station, 60 compact disk contenenti giochi per PC, nonchè 184 DVD contenenti film vari, tutti illecitamente duplicati e tutti sprovvisti del contrassegno SIAE (sentenza n. 230/09); nonchè dai reati: a) di cui all’art. 648 c.p., a lui ascritto per avere ricevuto, al fine di procurarsi profitto, 408 DVD contenenti opere cinematografiche, 72 CD contenenti giochi per play station, 65 CD contenenti giochi per X-box, 128 CD contenenti giochi per p.c., 32 CD contenenti programmi software per p.c., tutti abusivamente riprodotti e contenuti in supporti privi del contrassegno SIAE e, perciò, di origine illecita; b) di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. c) e d) e comma 2, lett. a), per avere detenuto per la vendita ed al fine di porti in commercio i supporti di cui al capo a) abusivamente riprodotti e privi del contrassegno SIAE (sentenza n. 23109). In sintesi, la Corte territoriale, in applicazione della sentenza Schwibbert della Corte di Giustizia Europea in data 8.11.2007, ha affermato che per i fatti contestati all’imputato in entrambi i procedimenti penali riguardanti i DVD contenenti opere cinematografiche l’illiceità si riferisce alla mancanza del contrassegno SIAE ed ha, perciò, confermato l’assoluzione dell’imputato in ordine a tali supporti; ha ritenuto, invece, che per i supporti magnetici contenenti programmi vari non sia previsto l’obbligo del contrassegno SIAE e che per questi ultimi la illiceità del fatto concernente l’illecita duplicazione è rimasta immutata.

La sentenza ha inoltre escluso di poter unificare sotto il vincolo del medesimo disegno criminoso i reati di cui ai due procedimenti penali in considerazione del non breve intervallo di tempo intercorso tra le violazioni.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell’imputato, che la denuncia per violazione di legge e vizi della motivazione.

Motivi della decisione

Con il primo mezzo di annullamento il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione della L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 2.

Si deduce che la fattispecie prevista dal comma 2, art. citato, sia che la si qualifichi circostanza aggravante, sia che la si qualifichi ipotesi autonoma di reato, richiede per la sua configurabilità, oltre al numero di supporti superiore a 50, che vi sia stato un effettivo atto di vendita o di cessione dei supporti contraffatti, mentre non è sufficiente la detenzione per la vendita contestata all’imputato.

Con il secondo motivo di gravame si denuncia violazione di legge con riferimento alla affermazione di colpevolezza per il fatto contestato nel procedimento penale n. 1804/05.

Si osserva che la sentenza opera una distinzione tra supporti magnetici non cartacei e supporti magnetici cartacei senza precisare le differenze tra le due categorie; afferma che per alcuni supporti non è richiesta l’apposizione del contrassegno SIAE senza spiegarne le ragioni; non ha considerato che per affermare la colpevolezza dell’imputato in ordine al reato previsto dalla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. c), occorre accertare che vi sia stata effettivamente la abusiva duplicazione di opere tutelate dal diritto d’autore; prova che nella specie risulta carente e non può essere desunta dalle dichiarazioni dell’imputato, il quale ha affermato che si tratta di riproduzioni temporanee e parziali autorizzate dalle case madri.

Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge con riferimento alla affermazione di colpevolezza per i fatti contestati nel procedimento penale n. 489/07.

In sintesi, si ribadisce che anche con riferimento alle contestazioni contenute in detto procedimento manca la prova della abusiva riproduzione o duplicazione di opere tutelate dal diritto d’autore e, in relazione al reato di cui all’art. 648 c.p., della loro ricezione da terzi. Sul punto si osserva che l’imputato ha affermato di essere in possesso di apparecchiature atte alla riproduzione delle opere, sicchè il fatto andava eventualmente sussunto nell’ipotesi di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. a). Si aggiunge che la sentenza ha illogicamente affermato che il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171, comma 1, lett. c), costituisce il presupposto del delitto di ricettazione, mentre il rapporto tra le due fattispecie criminose dovrebbe essere esattamente l’opposto.

Con l’ultimo mezzo di annullamento si denuncia, infine, manifesta illogicità della motivazione in relazione al diniego della continuazione.

Si deduce che il giudice di appello non poteva pronunciarsi sul vincolo della continuazione in assenza di una richiesta contenuta nei motivi di gravame o proveniente dall’imputato. Si deduce inoltre che il vincolo della continuazione non poteva essere escluso solo in considerazione dell’intervallo di tempo intercorso tra le violazioni, senza temer conto di altri indici rivelatori della identità del disegno criminoso, che l’imputato non ha avuto modo di illustrare, non avendo formulato la richiesta che si ritenesse l’esistenza del vincolo.

Il ricorso è fondato esclusivamente in relazione all’affermazione di colpevolezza dell’imputato per il reato di cui all’art. 648 c.p..

Preliminarmente deve essere estromessa dal giudizio la SIAE già costituita parte civile.

La Società Italiana Autori ed Editori era parte lesa del reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 1, lett. d), contestato in entrambi i procedimenti; reato dal quale l’imputato è stato assolto dalle sentenze di primo grado, confermate sul punto da quella di appello, che, per l’effetto, non ha emesso pronuncia di condanna dell’imputato al risarcimento dei danni in favore della predetta parte civile.

Invero, persona offesa dei reati concernenti l’abusiva duplicazione o riproduzione di opere tutelate dal diritto d’autore è esclusivamente lo stesso autore dell’opera abusivamente duplicata o riprodotta.

Peraltro, la Società Italiana Autori ed Editori nulla ha dedotto in ordine ad un proprio interesse alla costituzione di parte civile nel giudizio di natura diversa da quella derivante dalla qualità di titolare del contrassegno SIAE. Passando all’esame delle censure del ricorrente, la sentenza impugnata ha correttamente applicato i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di questa Corte a seguito della citata sentenza Schwibbert della Corte di Giustizia della Comunità Europea ed, in particolare, l’affermazione secondo la quale da tale pronuncia deriva solo il venir meno della illiceità dei reati caratterizzati dalla mancanza del contrassegno SIAE, mentre continua a costituire reato qualsiasi attività che comporti l’abusiva diffusione, riproduzione o duplicazione delle opere dell’ingegno (cfr. per tutte sez. 3, 3.9.2008 n. 34555, Cissoko).

Sicchè correttamente è stata affermata la colpevolezza dell’imputato per avere posto in commercio supporti magnetici contenenti opere d’autore abusivamente duplicate, indipendentemente dalla distinzione operata dalla sentenza tra supporti contenenti la riproduzione di opere per le quali è previsto l’obbligo del contrassegno e supporti per i quali non è necessario.

Va ancora osservato che la sentenza risulta adeguatamente motivata in ordine all’accertamento del contenuto abusivo dei supporti magnetici, mentre la censura del ricorrente sul punto è generica e fattuale.

E’ opportuno ancora precisare in punto di diritto che i fatti di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter, comma 2, integrano ipotesi autonome di reato e non circostanze aggravanti (sez. 3, 5.11.2003 n. 42190; sez. 3, 25.5.2007 n. 39415; sez. 3, 2.4.2008 n. 13844, RV 226582).

A proposito di tali fattispecie criminose è stato anche affermato da questa Corte che il reato di cui alla L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 171 ter, comma 2, lett. a), ha natura di reato a consumazione anticipata, in quanto la formula legislativa "vende o pone altrimenti in commercio" non richiede l’effettivo compimento di un negozio dispositivo, ma un’attività consistente nel porre in vendita o rendere disponibili per il noleggio cassette o supporti abusivamente riprodotti (sez. 3, 19.11.2008 n. 2907 del 2009, Zorkani, RV 242279) e, peraltro la prova sul punto può essere anche di natura indiziaria desumibile dalle modalità di rinvenimento e dal luogo della detenzione dei supporti magnetici, (sez. 3, 27.1.2009 n. 9925, Diop, RV 243110).

Orbene, la più puntuale contestazione contenuta in uno dei capi di imputazione relativi al reato di cui alla L. n. 633 del 1941, art. 171 ter e lo stesso accertamento di fatto si riferiscono all’esercizio in forma imprenditoriale di un’attività di distribuzione, vendita o commercializzazione di opere tutelate dal diritto d’autore; attività di commercializzazione che integra l’ipotesi di cui al comma 2, art. citato.

E’, invece, fondato il motivo di gravame afferente alla affermazione di colpevolezza per il reato di cui all’art. 648 c.p..

L’accertamento di fatto in ordine alle ricezione dei supporti magnetici contenenti opere tutelato dal diritto d’autore, abusivamente riprodotte, è totalmente carente di motivazione e si palesa in contrasto, non solo con le deduzioni del ricorrente in ordine alla attività di abusiva duplicazione, ma anche con l’accertamento giudiziale del possesso da parte dell’imputato degli impianti necessari per provvedervi e la sorpresa in flagranza nell’esecuzione di tale attività. E’, infine, infondato l’ultimo motivo di gravame.

Nel caso in esame la Corte territoriale era chiamata a giudicare su tutti i reati ascritti all’imputato, sicchè la stessa aveva il più ampio potere di cognizione per accertare un’eventuale connessione tra i fatti riguardanti imputazioni diverse, indipendentemente da una richiesta dell’imputato, che non era neppure appellante; nè il devoluto dall’impugnazione della pubblica accusa precludeva l’accertamento sul punto (sez. 6, 26.5.2003 n. 36352, Lo Presti, RV 227031). La esclusione del vincolo della continuazione tra i reati facenti parte di procedimenti diversi, infine, è fondata su una motivazione adeguata coerente con quanto richiesto dall’art. 81 cpv. c.p. in punto di identità del disegno criminoso, che è stata esclusa.

Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio limitatamente al reato di cui all’art. 648 c.p., mentre il ricorso va rigettato nel resto.

P.Q.M.

La Corte annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all’art. 648 c.p. con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania; rigetta nel resto il ricorso; estromette la parte civile.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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