T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 01-08-2011, n. 6844 Demolizione di costruzioni abusive

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato alla Amministrazione comunale di Roma in data 23 giugno 2006 e depositato il successivo 18 luglio 2006 il ricorrente espone di essere titolare di una attività commerciale di esposizione e vendita di mobili ed a tal fine prima il padre dal 1976 poi egli stesso è locatario di terreni situati in Via Prenestina, n. 1081. Poiché gli immobili destinati all’attività erano insufficienti egli espone di avere realizzato alcuni manufatti oggetto di 3 domande di condono presentate il 10 dicembre 2004. Tali manufatti peraltro costituiscono ampliamenti di altri oggetto di precedente domanda di condono del 1986 per la quale non vi sarebbe stata ancora pronuncia da parte dell’Amministrazione.

Nonostante la pendenza delle ridette domande di condono l’interessato si è visto notificare la determinazione impugnata principalmente avverso la quale deduce:

– eccesso di potere e violazione dell’art. 9, comma 2 della legge 28 febbraio 1985, n. 47. Lamenta che le opere contestate sono oggetto di domande di condono tempestivamente presentate, ma sulle quali il Comune non si è ancora pronunciato;

– eccesso di potere e violazione di legge sotto altri profili;

L’interessato rileva che la determinazione sarebbe motivata per la circostanza che i proprietari del bene si sono opposti al rilascio del permesso a costruire in sanatoria, laddove egli è un detentore qualificato del bene con la conseguenza che ha un titolo autonomo al rilascio della concessione in sanatoria;

– violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990 ed eccesso di potere;

– col quarto motivo l’interessato insiste sulla pendenza delle domande di condono presentate in data 10 dicembre 2004;

– eccesso di potere per genericità dell’oggetto della demolizione;

Conclude chiedendo l’accoglimento dell’istanza cautelare e del ricorso.

Alla Camera di Consiglio del 26 luglio 2006 è stata accolta l’istanza cautelare nella considerazione della pendenza di tre domande di condono presentate nel 2004 dal ricorrente e richiedendo contestualmente documentati chiarimenti al Comune.

Risultando eseguita l’istruttoria alla successiva camera di Consiglio del 14 settembre 2006 è stata accolta l’istanza cautelare sul ridetto presupposto della pendenza delle domande di condono citate.(ordinanza n. 5176 del 14 settembre 2006).

Con atto del 3 maggio 2010 i proprietari del terreno sul quale è situata l’attività gestita dal ricorrente sono intervenuti nella causa, chiedendo la revoca dell’ordinanza di sospensione ora citata n. 5176 del 14 settembre 2006, motivando la loro richiesta con la circostanza che le istanze di condono proposte dal ricorrente erano state tutte rigettate.

Il ricorrente si è difeso e alla Camera di Consiglio del 3 giugno 2010 l’istanza di revoca è stata rigettata.

Con motivi aggiunti del 21 marzo 2011 il ricorrente ha impugnato la determinazione in epigrafe citata con la quale gli è stata ingiunta la sospensione di lavori, qualora non ancora ultimati, sugli immobili di cui è causa.

Avverso tale ulteriore provvedimento l’interessato deduce:

– violazione e falsa applicazione degli articoli 7, 8 e 10 della legge n. 241 del 1990 e s.m.i.; violazione dei principi generali sull’istruttoria e sulla partecipazione al procedimento amministrativo; eccesso di potere per difetto di istruttoria e per mancanza della comunicazione dell’avvio del procedimento; violazione del diritto di difesa; difetto di istruttoria; difetto dell’iter logico; mancanza di motivazione e violazione dell’art. 3 della L. n. 241 del 1990; violazione dei principi di corretta amministrazione e del giusto e corretto procedimento e manifesta ingiustizia.

L’interessato lamenta che la determinazione gravata con i motivi aggiunti è stata emessa in pendenza del giudizio in corso e senza l’emanazione dell’apposita comunicazione di avvio del procedimento. Non risultano neppure le ragioni di particolare celerità a causa delle quali l’Amministrazione possa ovviare alla ridetta comunicazione.

– violazione e falsa applicazione dei principi e delle norme vigenti in tema di pertinenze urbanistiche a servizio di distinti e preesistenti edifici – eccesso di potere per errore sui presupposti – difetto di motivazione.

Il ricorrente lamenta che l’atto è viziato nei presupposti in quanto egli non ha realizzato alcuna modifica in aumento della sagoma dell’edificio. Il riferimento alla determinazione principalmente gravata porta all’istanza di condono n. 77256/2003 riguardante i gazebo per deposito mobili e le tettoie nell’area di pertinenza. Tali gazebo sono da considerarsi pertinenza urbanistica e quindi non assoggettabile al regime abilitativo previsto per l’opera principale.

Conclude chiedendo la sospensione dell’atto gravato e l’accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti.

Gli intervenienti si sono costituiti anche nei motivi aggiunti rassegnando conclusioni opposte a quelle del ricorrente e producendo sentenze del Tribunale civile di Roma sulla vicenda.

Con successivi motivi aggiunti notificati il 25 marzo 2011 il ricorrente ha impugnato anche la determinazione n. 2199 del 10 novembre 2010 con la quale, premesso che egli è stato perseguito con precedenti determinazioni dal 1999 al 2002 per la realizzazione di numerosi manufatti, nella stessa ingiunzione descritti, sul terreno ove è ubicata l’attività di mobilificio che egli svolge, deduce:

– violazione delle norme sul procedimento amministrativo inerenti la comunicazione di avvio del procedimento (articoli 7 e seguenti della legge n, 241 del 1990) e la motivazione degli atti (articolo 3 della medesima norma);

– violazione e falsa applicazione dei principi e delle norme vigenti in tema di pertinenze urbanistiche a servizio di distinti e preesistenti edifici; eccesso di potere per errore dei presupposti, difetto di istruttoria e di motivazione;

– violazione e falsa applicazione dei principi e delle norme vigenti in tema di condono edilizio, difetto di motivazione, difetto di istruttoria, illogicità, disparità di trattamento e sviamento di potere, manifesta ingiustizia.

Conclude chiedendo la sospensione dell’efficacia del provvedimento demolitorio e l’accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti.

Alla Camera di Consiglio del 5 maggio 2011 l’istanza cautelare è stata rinviata ed alla Camera di Consiglio del 19 maggio è stata respinta.

Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 19 maggio 2011.

Motivi della decisione

1.Con il ricorso principale il ricorrente grava la determinazione con la quale il Comune di Roma – Municipio VII ha ingiunto allo stesso ed agli interventori, meglio in epigrafe indicati ed in qualità di proprietari, la demolizione dei alcuni manufatti e dei relativi ampliamenti ed interventi modificativi e di completamento, tutti realizzati senza titolo abilitativo tra il 1999 ed il 2002.

Per alcuni dei manufatti il ricorrente ha presentato altrettante domande di condono che sono state rigettate come di seguito indicato, a causa del mancato consenso degli inteventori che sono ancora i proprietari del fondo e non hanno concordato ex art. 31, comma 1 della legge n. 47 del 1987 sulla richiesta di rilascio del condono, come di seguito precisato:

a) capannone previsto ai punti C3 e H6 della determinazione impugnata oggetto di domanda di n. 0380431003 del 12 dicembre 1986, rigettata con determinazione n. 146 del 24 luglio 2001;

b) tettoia di pertinenza di un immobile commerciale oggetto di domanda di condono ex L. n. 326/2003 assunta al protocollo comunale n. 569538 del 10 dicembre 2004, rigettata con determinazione n. 32 dell’8 febbraio 2008;

c) tettoia di pertinenza di un immobile commerciale oggetto di domanda di condono ex L. n. 326/2003 assunta al protocollo comunale n. 569789 del 10 dicembre 2004, rigettata con determinazione n. 34 dell’8 febbraio 2008;

d) capannone a destinazione commerciale di mq. 407 oggetto di domanda di condono ai sensi della L. n. 47 del 1985 assunta al protocollo comunale al n. 105359 del 19 maggio 1986 rigettata con determinazione n. 35 dell’8 febbraio 2008.

Le ultime tre determinazioni dirigenziali di rigetto sono state rese note dagli intervenienti al momento della richiesta di riesame del provvedimento cautelare del 2006, avanzata nel maggio 2010.

Allo stato il ricorso è divenuto, dunque, in parte improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, in quanto è da ritenersi superato dai dinieghi di condono che, si apprende dal provvedimento gravato con i secondi motivi aggiunti, essere stati a loro volta impugnati con ricorso n. reg. 7617/2010 nell’ambito del quale è stata rigettata l’istanza di sospensione con ordinanza n. 4127 del 24 settembre 2010.

Il ricorso è anche infondato, per la parte dell’ingiunzione che concerne le opere sulle quali non risultano presentate domande di condono o comunque per le quali non si ha notizia della loro presentazione, siccome affidato sostanzialmente alla violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, lamentando l’interessato che, pur risultando dal provvedimento impugnato, che con determinazione n. 1203 del 29 settembre 2005 il Dipartimento IX ha respinto l’istanza ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, l’Amministrazione non ha aspettato il termine per proporre impugnativa dal detto diniego, impugnativa che il ricorrente ha proposto, e con palese violazione della norma in rubrica indicata; sostiene pure che la determinazione non conterrebbe la esatta identificazione delle opere da demolire.

Rilevato che l’ultima censura riportata è smentita dal tenore letterale del provvedimento che, contrariamente a quanto opposto, contiene una descrizione precisa delle opere da demolire (che ammontano a 25 tra manufatti interamente realizzati, ampliamenti degli stessi ed interventi di completamento senza titolo abilitativo) va ancora osservato che la prima censura riferita appare proposta in maniera contraddittoria, dovendosi notare che da un lato il ricorrente lamenta il mancato rispetto delle regole per la comunicazione di avvio del procedimento e dall’altra poi comunque rappresenta di avere potuto ugualmente proporre impugnativa nei confronti dell’atto con il quale è stata respinta una delle domande di accertamento di conformità proposte ex art. 36 del d.P.R. n. 380 del 2001, con la conseguenza che essa va respinta, come il ricorso principale.

2. Con i motivi aggiunti notificati il 21 marzo 2011 il ricorrente impugna la determinazione di sospensione dei lavori del 23 dicembre 2010, notificatagli il 20 gennaio 2011, deducendo le censure meglio in narrativa indicate.

Tale atto giurisdizionale è tuttavia inammissibile, dal momento che, come pure osservato dalla resistente Amministrazione comunale, esso aveva già perso di efficacia alla data di notifica del ricorso essendo decorsi i quarantacinque giorni di cui all’art. 27, comma 3 del d.P.R. n. 380 del 2001 per l’adozione dei provvedimenti definitivi.

Costante la giurisprudenza anche risalente sull’argomento: TAR Lazio, sezione I quater 10 maggio 2011, n. 4022, 4 giugno 2010, n. 15297, 2 ottobre 2009, n. 9527, TAR Marche, 1° settembre 2006, n. 548, 11 aprile 2002, n. 279 riferita alla precedente disposizione di cui all’art. 4 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 confluita nel ridetto articolo 27, comma 3 del d.P.R. n. 380 del 2001).

3. Con il secondo atto per motivi aggiunti il ricorrente impugna la determinazione dirigenziale con la quale il Municipio VII ha riconfermato la validità della determinazione n. 845 del 2006, principalmente impugnata, e, premettendo l’esito negativo di alcune delle domande di condono come sopra indicato e l’esito pure negativo della richiesta cautelare nel giudizio avverso tali dinieghi proposto (ordinanza n. 4127 del 24 settembre 2010) ha ingiunto la demolizione dei manufatti, elencandoli nuovamente.

3.1. Avverso tale ingiunzione il ricorrente lamenta la mancanza della comunicazione di avvio del procedimento, tanto più grave se si considera che sarebbero mancate anche le esigenze di celerità atte a giustificarne la carenza. Qualora egli fosse stato invitato a contro dedurre avrebbe potuto rappresentare che egli in qualità di erede del padre F.R., in virtù dei diritti derivatigli in forza di scrittura privata di compravendita del terreno di cui è questione, stipulata dal padre nel 1988, rivestiva una posizione ben diversa da quella di "responsabile delle opere abusive" erroneamente indicata nel provvedimento impugnato. Ed avrebbe potuto rappresentare la esistenza di domande di condono ex L. n. 326/2003 per ciascuna delle opere sanzionate. Tale carenza ricade sul provvedimento anche in termini di difetto di motivazione.

Con la seconda censura l’interessato approfondisce gli aspetti già rilevati con la prima, osservando che il riferimento recato alla determinazione dirigenziale n. 845 del 2006 porta anche alle istanze di condono riguardanti i gazebo per deposito mobili e le tettoie nell’area di pertinenza, realizzate in struttura metallica su ruote e, comunque non impiantate in terra, con la conseguenza che ad esso appare senz’altro applicabile la nozione di pertinenza urbanistica.

Con la terza censura rappresenta che le norme sul condono edilizio che si sono succedute tra il 1985 ed il 2003 richiedono tutte il versamento di una oblazione determinata in base a vari parametri. Una volta pagata l’oblazione e trascorso un determinato lasso di tempo si verifica il rilascio tacito della concessione in sanatoria, sicchè non è dato comprendere perché sia stata rilasciata la concessione in sanatoria agli intervenienti e non al ricorrente per il capannone attiguo a quello di proprietà degli stessi e quasi di analoga consistenza.

Avverso l’atto di intervento, e pure con memoria proposta per la Camera di Consiglio nella quale è stata rigettata la richiesta di riesame della cautelare adottata nel 2006, altro difensore del ricorrente rappresenta che l’interessato ha anche provveduto a contestare la qualità di proprietari degli intervenienti, atteso che il fondo originariamente era stato concesso al padre del ricorrente in comodato gratuito e che con scrittura privata dell’11 ottobre 1988 gli interventori vendevano al dante causa dell’interessato i suddetti terreni per diciotto milioni di lire. Il ricorrente pagava il corrispettivo della vendita anche nella rata finale, ma non essendo intervenuto atto definitivo egli intraprendeva l’azione civile ex art. 2932 per ottenere la sentenza definitiva costitutiva del diritto di proprietà, notificandolo in data 19 marzo 2010 a tutti i ridetti interventori. In conseguenza di tale ricorso, poiché la questione di proprietà diventa pregiudiziale rispetto all’intervento dei signori Gianni e preliminare al merito in discussione, propone che il TAR sospenda il giudizio ex art. 2 c.p.c.

Nel merito l’abusivismo edilizio non sussisterebbe, atteso che i vincoli che impedivano l’edificabilità sono stati eliminati nel 2004 ed in ogni caso l’interessato potrebbe chiedere la sanatoria ex art. 31 della legge n. 47 del 1985.

3.2 Tutte le censure vanno respinte.

In via preliminare va esaminata la ritenuta applicabilità alla fattispecie giurisdizionale in corso della litispendenza, per essere stato incardinato nel marzo 2010 dinanzi al giudice ordinario un giudizio volto ad ottenere l’obbligo di concludere il contratto di compravendita stipulato dal ricorrente nel 1988 con gli intervenienti e per ottenere una sentenza costitutiva del diritto di proprietà sul fondo.

L’eccezione va respinta.

Nel nostro ordinamento infatti la giurisdizione si incardina in base alle differenti posizioni giuridiche soggettive ex art. 24 Cost. e delle quali gli interessati sostengano la lesione, con la conseguenza che ad esse occorre guardare per verificare quale sia il giudice in capo al quale si radica la giurisdizione su una determinata controversia.

Nel caso in esame la circostanza che il ricorrente asserisca di essere in attesa di ottenere dal giudice ordinario il riconoscimento del diritto di proprietà non consente di sospendere in alcun modo il presente giudizio, perché ai fini della applicazione delle sanzioni in tema di abusivismo edilizio è indifferente al legislatore la posizione di proprietario o di esecutore materiale delle opere, che semmai, qualora l’interessato ottenesse una sentenza del giudice ordinario a lui favorevole, finirebbero oltre tutto per coincidere, senza per questo esimerlo dalla responsabilità relativa.

3.3. La censura di mancata comunicazione di avvio del procedimento non è condivisibile.

In fatto va osservato che per quanto risulta dal provvedimento impugnato il ricorrente è stato destinatario, per quelle citate in detto atto, di otto determinazioni di demolizione tra il 2000 ed il 2002, alla quale si aggiunge quella impugnata con il ricorso principale, con la conseguenza che quand’anche dovesse concordarsi con la necessità della ridetta comunicazione, comunque, in base al principio del raggiungimento dello scopo, il ricorrente poteva considerarsi senz’altro edotto dei procedimenti amministrativi in corso, rilevato che anche ai dinieghi di condono del 2008 egli si era opposto con ricorso depositato il 31 agosto 2010, di tre mesi antecedente alla determinazione ora in esame.

Ma oltre a ciò va rilevato che per costante giurisprudenza sulla materia atteso che le ingiunzioni a demolire sono espressione di attività vincolata, in ordine ad esse non è predicabile alcun utile apporto degli interessati, per cui l’assenza della comunicazione di avvio del procedimento non può ricadere in termini di illegittimità sulla stessa ingiunzione.

3.4. Non merita condivisione neppure la censura con la quale l’interessato fa valere la natura di pertinenze del gazebo e di alcune tettoie.

Non sarà forse necessario riprendere la costante giurisprudenza amministrativa secondo cui la nozione di pertinenza civilistica e quella edilizia differiscono, dal momento che nella seconda rileva l’impegno urbanistico che l’opera va a realizzare, con la conseguenza che il regime abilitativo è legato alla presenza nel manufatto oltre che della caratteristica di rispondere ad un’oggettiva esigenza dell’edificio principale e di essere funzionalmente inserito al suo servizio, anche alla caratteristica di essere sfornito di un autonomo valore di mercato e di essere dotato comunque di un volume modesto rispetto all’edificio principale in modo da evitare il cosiddetto carico urbanistico. (tra le tante, TAR Milano, sezione IV, 13 gennaio 2010, n. 28).

Nel caso in esame per le tettoie è da rilevare che è stata respinta l’istanza di condono, come sopra accennato. Per quanto riguarda il gazebo ciò che rileva e che pur essendo lo stesso già evidenziato nell’accertamento del VII Gruppo di Polizia Municipale del 24 giugno 1999 (punto A.3 della determinazione impugnata), tuttavia l’interessato ha continuato ad operarvi modificazioni con tamponatura della parte frontale per come risulta dall’ulteriore accertamento del 10 dicembre 1999, sempre senza alcun titolo abilitativo. Come sopra chiarito, quand’anche si volesse aderire alla tesi di parte ricorrente sulla natura pertinenziale del manufatto, non per questo esso poteva essere sprovvisto di titolo abilitativo.

3.5 Infine va del tutto contestata la prospettazione secondo cui l’ultimazione delle opere entro i termini previsti dalle norme sul condono di cui alla legge 28 febbraio 1985, n. 47, alla legge 23 dicembre 1994, n. 724 e del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326 unitamente al pagamento dell’oblazione legislativamente determinata provochi il rilascio tacito della concessione in sanatoria.

Premesso che le ridette istanze di condono per quanto concerne le tettoie ed alcuni dei capannoni sono state rigettate ai sensi dell’art. 31, comma 1 della legge n. 47 del 1985 per mancanza del consenso dei proprietari attuali interventori, come sopra accennato, va rilevato che nessun silenzio assenso può essersi formato a seguito dei descritti adempimenti compiuti da parte ricorrente, dal momento che l’effetto recato dall’art. 32, comma 37 del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito nella legge 24 novembre 2003, n. 326 e dall’art. 6, comma 3 della legge regionale del Lazio n. 12 del 2004, siccome producentesi per l’inerzia dell’Amministrazione sulla istanza di condono protrattosi per trentasei mesi, si verifica sì al compimento del trentaseiesimo mese, ma dalla data di scadenza "del versamento della terza rata relativa agli oneri concessori prevista dall’articolo 7, comma 2, lettera b), numero 2),…" (art. 6, comma 3 della L.R. Lazio n. 12 del 2004 come modificato dalla L.R.Lazio n. 17 del 2005) mentre parte ricorrente, almeno per quanto riguarda le domande di condono in alcuni casi ha versato la prima rata degli oneri concessori in altri la seconda rata, con la conseguenza che non si è completata la fattispecie normativamente prevista. (cfr. TAR Lazio, sezione I quater, 11 gennaio 2011, n. 129).

4. Per le superiori considerazioni il ricorso principale ed i motivi aggiunti notificati in data 25 marzo 2011 vanno respinti in ogni loro parte, mentre i motivi aggiunti notificati in data 21 marzo 2011 vanno dichiarati inammissibili.

5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, così dispone:

respinge il ricorso principale ed i motivi aggiunti notificati in data 25 marzo 2011;

dichiara inammissibili i motivi aggiunti notificati in data 21 marzo 2011.

Condanna il ricorrente F.A. al pagamento di Euro 2.000,00 per spese di giudizio ed onorari a favore del Comune di Roma e al pagamento di Euro 2.000,00 per spese di giudizio ed onorari a favore degli interventori F.G., M.R.G., A.G. e M.L.G..

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *