Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-06-2011) 22-07-2011, n. 29474 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Roma, con ordinanza resa all’udienza camerale del giorno 15.07.2010 liquidava a N.N. la somma di Euro 90.000,00 a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta in carcere dal 3.05.2001 al 3.08.2001 (93 giorni) ed agli arresti domiciliari dal 4 agosto 2001 al 28 gennaio 2002 (178 giorni) per il delitto di cui agli artt. 110 e 270 c.p..

Avverso la sopra indicata ordinanza proponeva ricorso per Cassazione il N. e concludeva chiedendo di volerla annullare con tutti i conseguenti provvedimenti di legge. L’Avvocatura Generale dello Stato in rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze produceva tempestiva memoria e concludeva chiedendo di volere dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ovvero di rigettarlo.

Il ricorso si basa su di un unico motivo, con il quale si lamenta vizio di motivazione di cui all’art. 606, lett. e) con riferimento agli artt. 314 e 315 c.p.p., perchè la somma indicata a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione è stata fissata senza alcuna motivazione reale, senza indicare alcun valido parametro per fissare il valore degli elementi ritenuti indennizzabili, in particolare per avere il provvedimento oggetto di censura omesso di indicare i parametri utilizzati per determinare sia il parametro aritmetico giornaliero che l’indennizzo relativo alle conseguenze di salute, personali e professionali della carcerazione ingiustamente subita e ciò alla stregua di una contraddittoria e apparente motivazione. Si contesta che la Corte territoriale sarebbe pervenuta a liquidare a titolo di indennizzo la somma di Euro 90.000,00 sulla base di un errore di calcolo. L’impugnata ordinanza poi, con riferimento alle condizioni di salute del N., sarebbe incorsa in un evidente vizio di motivazione, in quanto, da un lato, aveva ritenuto la riduzione della capacità visiva subita dall’istante eziologicamente collegata allo stato detentivo, mentre, dall’altro, non aveva liquidato l’indennizzo per tale conseguenza senza puntualizzare un logico apparato argomentativo in ordine alle ragioni di siffatta scelta. Per quanto poi attiene alle altre conseguenze diverse da quelle di salute, le stesse sarebbero state inspiegabilmente omesse dalla valutazione della Corte territoriale, che non aveva fornito sul punto alcuna motivazione.

Con separata istanza di correzione di errori materiali proposta ex art. 130 c.p.p. la difesa del ricorrente osservava che nell’ordinanza del 15 luglio 2010 della quarta Sezione penale della Corte di Appello di Roma relativo al procedimento n.133/09 R.G.- Proc. Ex art. 314 c.p.p. inerente all’istanza proposta da N.N. (Presidente dott. Giampaolo Fiorioli, Consigliere relatore dott. Claudio Cavallo), era stata erroneamente indicata la data di nascita del sig. N.N., essendo stata indicata la data del 19 giugno 1956, anzichè quella effettiva del 19 giugno 1959.

Motivi della decisione

Il ricorso non è fondato.

Osserva la Corte che la giurisprudenza è ormai sostanzialmente concorde (cfr., tra le altre, Cass., Sez. 4, Sent. n. 30317 del 21.06.2005, Rv. 232025) nel ritenere che, nella materia di cui è processo, la discrezionalità del giudice debba essere fissata entro parametri ampi, tenuto conto che si tratta di danno liquidabile e valutabile in via equitativa, il che esonera il giudice dall’obbligo di una puntuale motivazione su ogni singolo elemento, essendo sufficiente che il risultato raggiunto soddisfi il requisito della ragionevolezza.

La liquidazione dell’indennizzo previsto a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione deve essere infatti disancorata da criteri o parametri rigidi e deve, al riguardo, procedersi secondo equità (anche perchè la delicatezza della materia e le difficoltà per l’interessato di provare nel suo preciso ammontare la lesione patita ha indotto il legislatore a non prescrivere al giudice l’adozione di rigidi parametri valutativi, lasciandogli, al contrario, sia pure entro i confini della ragionevolezza e della coerenza, ampia libertà di apprezzamento delle circostanze del caso concreto), valutandosi la durata della custodia cautelare e, non marginalmente, le conseguenze personali, familiari, patrimoniali, morali, dirette o mediate, che siano derivate dalla privazione della libertà.

Tanto premesso si osserva che la decisione deve però soddisfare al requisito della ragionevolezza, prendendo come dato di partenza il cosiddetto parametro aritmetico, che è costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell’indennizzo di cui all’art. 315 c.p.p., comma 2 e il termine massimo della custodia cautelare di cui all’art. 303 c.p.p., comma 4, espresso in giorni, moltiplicato per il periodo, anch’esso espresso in giorni, di ingiusta detenzione subita, dovendosi poi procedere alla liquidazione dell’indennizzo, entro il tetto massimo del quantum liquidabile, con apprezzamento di tutte le conseguenze pregiudizievoli che la durata della custodia cautelare ingiustamente subita ha determinato per l’interessato.

A tali principi si è attenuta la Corte territoriale, che ha preso in considerazione tutti gli aspetti pregiudizievoli che il N. aveva prospettato come conseguenze negative della detenzione ed ha inteso dare una risposta alla relativa istanza di giustizia.

I giudici della Corte di appello di Roma, infatti, hanno correttamente tenuto conto di quanto sostenuto dal ricorrente in ordine alla circostanza che la prolungata detenzione aveva peggiorato il suo "visus", nonchè dell’enorme disagio provocatogli dalla detenzione in considerazione del suo stato di persona incensurata e dell’estrema gravità dei fatti contestatigli. Per tali ragioni, sulla base di una valutazione equitativa, così come appunto evidenziato nei sopra indicati parametri giurisprudenziali, hanno ritenuto di aumentare il parametro di collegamento con i termini di custodia cautelare di cui all’art. 304 c.p.p. in misura pari al doppio, a circa 490 Euro al giorno per la detenzione in carcere e alla metà di tale cifra per quella agli arresti domiciliari, pervenendo quindi ad una liquidazione totale di Euro 90.000 che appare adeguata nella presente fattispecie.

In sostanza il percorso argomentativo del provvedimento impugnato ha rispettato quel parametro di ragionevolezza, che deve sempre sussistere, in quanto, in caso contrario, il potere di valutazione equitativa del giudice si trasformerebbe in una discrezionalità priva di controlli.

Il ricorso deve essere quindi rigettato. Per quanto poi attiene alla istanza di correzione di errore materiale, si osserva che l’errata indicazione dell’anno di nascita del ricorrente è frutto di un evidente errore materiale. Non si tratta di una differenza di scrittura che determina una modificazione essenziale dell’atto ove si abbia riguardo alla stabile permanenza della statuizione indicata nel dispositivo della sopraindicata ordinanza, rispetto alla quale la correzione non copre uno spazio di libera determinazione del giudicante, ma uno spazio definito e obbligato dalla regola di cui all’art. 623 c.p.p., comma 1, lett. c).

Si ritiene di compensare le spese tra le parti del presente giudizio in considerazione della genericità della memoria dell’Avvocatura generale dello Stato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso proposto da N.N. in ordine alla quantificazione della riparazione per ingiusta carcerazione già ottenuta e dispone correggersi l’ordinanza impugnata nel senso che dove è scritto: "nato il (OMISSIS)" si deve leggere " (OMISSIS)".

Compensa le spese tra il N.N. e il Ministero dell’Economia.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *