Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-06-2011) 22-07-2011, n. 29472 Riparazione per ingiusta detenzione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Lecce, con ordinanza resa all’udienza camerale del giorno 19.11.2008 rigettava l’istanza di riparazione presentata da T.P.N. per ingiusta detenzione in regime di custodia in carcere dal 14/03/01 al 31/12/01 perchè sospettato del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, reato per cui era stato condannato alla pena di anni tre di reclusione con sentenza del G.U.P. del Tribunale di Lecce del 18.12.01 (che aveva escluso il concorso esterno, pur ritenendolo partecipe di associazione mafiosa) e successivamente assolto anche da tale delitto per non aver commesso il fatto con sentenza della Corte di appello di Lecce del 3.06.2003.

T.P.N., a mezzo del suo difensore, proponeva quindi ricorso per cassazione avverso l’ordinanza della Corte di appello di Lecce e concludeva chiedendo di volerla annullare con rinvio.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze a mezzo dell’Avvocatura Generale dello Stato presentava tempestiva memoria e concludeva chiedendo di voler dichiarare inammissibile il proposto ricorso ovvero di rigettarlo. Il ricorrente censurava l’ordinanza impugnata per violazione ed erronea applicazione degli artt. 314 e 315 c.p.p. e per manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), in particolare nella parte in cui la Corte di appello rimproverava in termini di colpa grave condotte insuscettibili di essere riguardate alla stregua di macroscopica negligenza e trascuratezza. Pertanto, ad avviso del ricorrente, non sussisterebbe la colpa grave, impeditiva del riconoscimento del diritto all’equa riparazione.

Con un secondo motivo di ricorso il T. contestava il provvedimento della Corte di appello nella parte in cui lo aveva condannato alla rifusione delle spese processuali sostenute dal Ministero dell’Economia. L’Avvocatura Generale dello Stato in rappresentanza del Ministero dell’Economia e delle Finanze produceva tempestiva memoria e concludeva chiedendo di volere dichiarare l’inammissibilità del ricorso, ovvero di rigettarlo.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Osserva la Corte che il diritto a equa riparazione per l’ingiusta detenzione, regolato dagli artt. 314 e seg. c.p.p., trova fondamento nella condizione soggettiva della persona sottoposta a detenzione immeritata e in tal senso ingiusta. Il quadro sistematico di riferimento è un quadro di diritto civile ma non è quello dell’art. 2043 c.c. che appresta sanzioni contro chi produce per dolo o colpa un danno ingiusto ad altri. Il principio regolatore è piuttosto quello della riparazione legata ad eventi che producono il sorgere, quali conseguenze di principi di solidarietà e di giustizia distributiva, di responsabilità da atto lecito (la distinzione tra responsabilità per danno ingiusto ex art. 2043 c.c. e responsabilità per atto lecito è ben chiarita da Cass. SS.UU. civ. 11/6/2003 n. 9341). E’ ben fermo, in materia, l’assetto delle regole generalissime che disciplinano l’onere della prova civile ex art. 2697 c.c. posto che il procedimento relativo alla riparazione per l’ingiusta detenzione, quantunque si riferisca ad un rapporto obbligatorio di diritto pubblico e comporti perciò il rafforzamento dei poteri officiosi del giudice, è tuttavia ispirato ai principi del processo civile, con la conseguenza che l’istante ha l’onere di provare i fatti costitutivi della domanda, la custodia cautelare subita e la successiva assoluzione (Corte Cass. Sez. 4 sent. n. 23630 02/04/2004 – 20/05/2004) della quale è talora ritenuta irrilevante la formula (Cass. Sez 4 12/4/2000 n. 2365) e talora rilevante, nel senso che indefettibile presupposto del sorgere del diritto sarebbe solo il proscioglimento con una delle formule di cui all’art. 314 c.p.p., comma 1. Peraltro il sorgere del diritto è condizionato alla esistenza di una condotta del richiedente che al tempo del processo in nulla abbia dato causa o concorso a dare causa a quella ingiusta detenzione. L’operazione intesa a cogliere tali condizioni deve scandagliare solo l’eventuale efficienza causale delle condotte dell’imputato che possano aver indotto, anche nel concorso dell’altrui errore, secondo una valutazione ragionevole e non congetturale il giudice a stabilire la misura della detenzione (Cass. SSUU 13/12/95 n. 43, Sez 4, 10/3/2000 n. 1705).

Il giudice,pertanto, deve fondare la sua decisione su fatti concreti e precisi e non su mere supposizioni, esaminando la condotta del richiedente, sia prima e sia dopo la perdita della libertà personale, indipendentemente dall’eventuale conoscenza che quest’ultimo abbia avuto dell’attività di indagine, al fine di stabilire, con valutazione ex ante, non se tale condotta integri estremi di reato, ma solo se sia stato il presupposto che ha ingenerato, ancorchè in presenza di errore dell’autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurazione come illecito penale, dando luogo alla detenzione con rapporto di causa ad effetto (cfr. Cass. Sezioni Unite, Sent. n.34559/2002; Cass., Sez.4, Sent. n.17552 del 2009).

Tanto premesso si osserva che la Corte di Appello di Lecce, con motivazione adeguata, ha enucleato,con congrua verifica degli accertati elementi di riferimento, la condotta del richiedente ostativa all’accoglimento dell’istanza di equa riparazione. In primo luogo ha posto in rilievo la circostanza che dagli atti del procedimento emergeva che il ricorrente aveva mantenuto assidui rapporti con i coimputati M.M. e B.M., condannati per il delitto di associazione mafiosa nello stesso processo in cui il T. è stato assolto, ed aveva effettuato con questi ultimi diverse telefonate dal contenuto criptico ed il cui tenore non era apparso come riferibile ad affari leciti. In particolare in una conversazione effettuata dal ricorrente con B.M. si faceva riferimento all’uso di stupefacenti e al taglio delle sostanze. In un’altra conversazione effettuata con M.M. era apparso evidente l’interesse del ricorrente per gli affari illeciti gestiti dall’associazione criminale. Nel corso del procedimento il T. non era stato in grado di offrire un’adeguata motivazione alle conversazioni telefoniche intercettate, effettuate con i coimputati ed apparse agli inquirenti gravemente compromettenti.

Questo essendo il quadro accusatorio, il motivo proposto dall’odierno ricorrente non può essere accolto.

Il provvedimento impugnato, che definisce il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, supera quindi il vaglio di questa Corte che è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il Giudice è pervenuto ad accertare o negare i presupposti per l’ottenimento del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito, che è tenuto a motivare adeguatamente e logicamente il suo convincimento, la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa e sull’esistenza del dolo.

Il legislatore non ha infatti riconosciuto incondizionatamente il diritto all’equa riparazione, ma l’ha esplicitamente escluso allorquando il comportamento dell’indagato, come appunto nella fattispecie de qua, abbia indotto in errore il giudice circa l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza a suo carico. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato in quanto la Corte di appello, nell’effettuare il regolamento delle spese di giudizio, in applicazione del principio di cui all’art. 91 c.p.c., ha addossato il pagamento delle spese alla parte soccombente, ritenendo che non sussistessero i motivi per compensare le spese di lite. Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. Si ritiene di compensare le spese tra le parti del presente giudizio in considerazione della genericità della memoria dell’Avvocatura generale dello Stato, che si limita sostanzialmente a riportare la giurisprudenza di questa Corte.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Spese tra le parti compensate.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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