Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26-05-2011) 22-07-2011, n. 29585 Rivelazione di segreti di ufficio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. – Con la sentenza in epigrafe indicata il G.u.p. del Tribunale di Reggio Calabria ha dichiarato il non luogo a procedere nei confronti di S.R., imputato del reato di cui all’art. 326 c.p. per avere, quale procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, rivelato al procuratore generale, C. F.A., notizie inerenti il procedimento penale n. 1842/04, riguardante anche la posizione di un magistrato, procedimento i cui atti erano ancora coperti dal segreto investigativo.

Secondo l’accusa la rivelazione sarebbe avvenuta nel corso di una riunione avvenuta il 5 maggio 2005 nell’ufficio dell’imputato; il G.u.p. ha ritenuto che non vi fossero le prove sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, in quanto l’imputato avrebbe agito senza "alcun reale intendimento divulgatorio di notizie segrete, ma ritenendosi legittimato alle comunicazioni effettuate al procuratore generale". 2. – Contro questa sentenza ha proposto ricorso il pubblico ministero deducendo l’erronea applicazione dell’art. 43 c.p., con riferimento all’esclusione del dolo richiesto per l’integrazione del reato di cui all’art. 326 c.p., nonchè il vizio di motivazione della sentenza che, dopo avere riconosciuto l’antidoverosità della condotta tenuta dall’imputato, sotto il profilo oggettivo nonchè in riferimento alla consapevolezza circa la segretezza delle notizie, ha in maniera contraddittoria escluso l’elemento psicologico del reato.

3. – Il difensore di fiducia dell’imputato ha depositato una memoria difensiva con cui critica le argomentazioni contenute nel ricorso, di cui chiede il rigetto.

4. – Preliminarmente si osserva che la valutazione che il giudice dell’udienza preliminare è chiamato ad effettuare ai fini dell’emissione della sentenza di cui all’art. 425 c.p.p. riguarda, in primo luogo, la mancanza delle condizioni su cui basare la prognosi sull’evoluzione del materiale di prova acquisito in dibattimento.

Pertanto, il controllo che deve operare la Cassazione non può avere ad oggetto gli elementi raccolti dal pubblico ministero, altrimenti si avrebbe un giudizio sul merito di secondo grado, ma deve essere rivolto a verificare il criterio prognostico adoperato dal giudice per escludere che l’accusa sia sostenibile in giudizio (Sez. 5, 18 marzo 2010, n. 15364, Caradonna).

Con la previsione di una sentenza di natura processuale, quale quella disciplinata dal citato art. 425 c.p.p., il legislatore ha voluto evitare processi dibattimentali "inutili", cioè processi il cui la tesi accusatoria si rivela infondata ovvero in cui si siano raccolti elementi di prova di sicura inidoneità a sopportare la verifica dibattimentale.

Un simile esito è previsto anche per i casi in cui sia insufficiente o contraddittoria la prova della colpevolezza, purchè non appaia integrabile nella successiva fase del dibattimento (è stato infatti soppresso il riferimento all’evidenza dei presupposti per l’emissione del provvedimento, contenuto originariamente nella disposizione).

In sostanza, secondo la giurisprudenza di questa Corte si può affermare che il giudice dell’udienza preliminare può pronunciare la sentenza di non luogo a procedere solo in forza di un giudizio prognostico di "immutabilità" del quadro probatorio nel corso della successiva istruttoria dibattimentale e quando le fonti di prova non si prestino a soluzioni alternative e aperte (Sez. 2, 3 luglio 2008, n. 35178, P.M. in proc. Brunetti; Sez. 6, 16 novembre 2001, n. 45275, Acampora).

Occorre anche sottolineare che l’attuale udienza preliminare, a seguito della riforma di cui alla L. 16 dicembre 1999, n. 479, ha assunto una maggiore ampiezza anche in rapporto alla sentenza di proscioglimento, essendo stato valorizzato il momento di controllo e di valutazione degli esiti delle investigazioni preliminari, con conseguente rafforzamento dei poteri istruttori del giudice, grazie ai quali è possibile raccogliere quegli elementi in grado di consentire una immediata definizione del processo. In ogni caso, anche dopo le modifiche del 1999 il giudice dell’udienza preliminare non deve accertare l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato, bensì verificare la sostenibilità dell’accusa nel giudizio (Sez. 4, 19 aprile 2007, n. 26410, Giganti).

5. – In base alle regole di giudizio sopra enunciate deve riconoscersi che correttamente il giudice dell’udienza preliminare è pervenuto alla sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 425 c.p.p., seppur attraverso un percorso motivazionale che inizialmente sembra valorizzare gli elementi oggettivi del reato, per poi risolversi nel negare la sussistenza dell’elemento soggettivo.

Rispetto alla complessa struttura della sentenza il pubblico ministero ricorrente lamenta un’insanabile contraddizione all’interno della motivazione, ritenendo illogico che il giudice "dopo avere riconosciuto l’antidoverosità del comportamento tenuto dall’imputato, con riferimento sia al fatto materiale, sia alla consapevolezza circa la segretezza delle notizie d’ufficio", abbia ritenuto insussistente l’elemento psicologico del reato. Invero, la denunciata illogicità non emerge in modo manifesto dalla sentenza, che, invece, ha escluso il requisito psicologico con riferimento alle motivazioni che hanno mosso l’imputato, motivazioni che, in base alla ricostruzione dei fatti e delle vicende operate in sentenza, non appaiono ascrivibili ad un "intento divulgatorio", quanto ad un’esigenza di consultazione e di confronto con un organo ritenuto "sovraordinato", con cui pensava di poter approfondire gli aspetti di una vicenda che appariva delicata per l’ufficio. In altri termini, si sostiene che il S. abbia agito "ritenendosi legittimato alle comunicazioni effettuate al procuratore generale". Una lettura questa che non è incompatibile con il dolo generico richiesto dall’art. 326 c.p. – come sostenuto nel ricorso -, che presuppone comunque la coscienza e la volontà di rivelare notizie d’ufficio che devono rimanere segrete.

6. – Pertanto, il ricorso del pubblico ministero deve essere dichiarato inammissibile.

7. – Il Collegio ritiene di dover trasmettere gli atti alla procura generale in sede, per quanto riguarda eventuali responsabilità di tipo disciplinare a carico dei magistrati coinvolti nel procedimento in oggetto.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Dispone la trasmissione di copia degli atti, della sentenza impugnata e del ricorso alla procura generale in sede per quanto di eventuale competenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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