Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-05-2011) 22-07-2011, n. 29445

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Catanzaro, con ordinanza emessa in data 4 gennaio 2010, rigettava l’istanza di sostituzione della misura inframuraria per ragioni di salute, proposta da F. A., in custodia cautelare in carcere per i reati di partecipazione ad associazione mafiosa e di partecipazione ad associazione dedita al narcotraffico, oltre a numerose ipotesi delittuose contro il patrimonio aggravate ex L. n. 203 del 1991, art. 7, e in tema di sostanze psicotrope. Il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 13 aprile 2010 rigettava l’appello proposto dal F., ma la Sezione sesta di questa Suprema Corte, con sentenza del 15 luglio 2010, annullava la suddetta ordinanza, affermando che "la valutazione della gravità delle condizioni di salute del detenuto e della conseguente incompatibilità col regime carcerario, deve essere effettuata sia in astratto (vale a dire con riferimento ai parametri stabiliti dalla legge), sia in concreto, cioè con riferimento alla possibilità effettiva di somministrazione, nel circuito penitenziario, delle terapie di cui egli necessita. Consegue che, da un lato, la permanenza nel sistema penitenziario può essere decisa se il giudice accerti che esistano istituti in relazione ai quali possa, sotto ogni profilo rilevante nella specie, formularsi un giudizio di compatibilità, dall’altro, che tale accertamento deve rappresentare un prius rispetto alla decisione e non una mera modalità esecutiva della stessa, rimessa alla autorità amministrativa". In sede di rinvio il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza in data 30 novembre 2010, rigettava nuovamente l’appello e confermava l’ordinanza impugnata, affermando, sulla base delle perizie in atti, che "non sussiste un’incompatibilità assoluta delle condizioni di salute dell’appellante con il regime detentivo, tenuto conto della circostanza che i trattamenti di cui lo stesso necessita si sostanziano nella riduzione della terapia farmacologica oltre a colloqui psichiatrici e psicologici a cadenza settimanale", e concludendo nel senso che "l’attuale restrizione carceraria del F. in una adeguata struttura dell’Amministrazione penitenziaria (dove l’interessato riceve e ben può continuare a ricevere tutti i necessari trattamenti terapeutici per la sua riabilitazione), è l’unica in grado di contemperare adeguatamente la preminente esigenza curativa del paziente con quella – parimenti rilevante ed ineludibile – di tutela della collettività".

Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo violazione delle norme di cui all’art. 275 c.p.p., commi 4 bis e 4 ter, nonchè di cui all’art. 621 c.p.p., commi 2 e 3, in quanto l’ordinanza impugnata avrebbe disatteso la pronuncia della Suprema Corte, negando nuovamente la concessione della misura meno afflittiva senza tuttavia effettuare le verifiche imposte e dare conto dei risultati di tali verifiche in motivazione. Ad avviso del ricorrente si configurerebbe come un fuor d’opera il riferimento alle numerose perizie, atteso che queste hanno tutte palesato la gravità delle condizioni di salute del F. e l’inidoneità dei tentativi di cure nelle strutture penitenziarie presso le quali è stato recluso.

Motivi della decisione

Il motivo di ricorso è infondato e deve essere rigettato.

In conformità a quanto disposto da questa Suprema Corte con la sentenza di annullamento con rinvio, l’ordinanza impugnata effettua non solo un verifica in astratto della compatibilità con il regime carcerario, ma anche in concreto. Infatti, dal contesto motivazionale si evince, sulla base delle perizie in atti, tra cui un’ultima del 23 ottobre 2010, che non sussiste una incompatibilità assoluta con lo stato di detenzione in carcere e che "la malattia psichica del F. sia in fase di compenso, evidenziando altresì che il trattamento medico in regime detentivo in carcere, strettamente e globalmente inteso, sia in linea di massima ancora possibile".

In concreto, poi, la stessa ordinanza osserva che "i trattamenti di cui lo stesso necessita si sostanziano nella riduzione della terapia farmacologica oltre a colloqui psichiatrici e psicologici a cadenza settimanale". Sì tratta, pertanto, di motivazione congrua, adeguata ai criteri fissati da questa Corte nella sentenza di annullamento e, quindi, in nessun modo censurabile.

Il ricorso, dunque, deve essere rigettato, con la conseguenza della condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Copia del presente provvedimento deve essere trasmesso al direttore dell’istituto penitenziario, affinchè provveda a quanto previsto dall’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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