Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-05-2011) 22-07-2011, n. 29442

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Svolgimento del processo

Il Tribunale di Lecce, in data 14 dicembre 2010, parzialmente accogliendo la richiesta di riesame di ordinanza applicativa della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di C. P., annullava l’ordinanza stessa con riferimento al delitto di estorsione tentata ravvisato dal G.I.P., originariamente contestato come truffa aggravata, e qualificato dal Tribunale come tentata truffa semplice, reato in relazione al quale non è applicabile una misura cautelare coercitiva; confermava, invece, l’ordinanza impugnata con riferimento ai reati di turbativa della libertà degli incanti, tentata estorsione ed estorsione consumata.

Secondo la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito, P.V., che intendeva rientrare nella disponibilità di un suo immobile oggetto di procedura esecutiva, si rivolgeva, tramite C.P. e D.P.G., a Ca.Gi., ritenuto nell’ambiente in grado di influire sulle aste giudiziarie.

La tentata estorsione è ravvisata nel momento in cui il Perrone, presidiando insieme al C., al Ca. e al D.P. l’aula in cui doveva avvenire la gara per l’aggiudicazione, alla domanda del cancelliere se vi fossero persone interessate alla procedura esecutiva, rispondeva che non vi era nessun interessato, benchè un avvocato presente in aula, in rappresentanza di S. V., anch’egli presente, avesse risposto affermativamente;

l’estorsione consumata è ravvisata nell’avere costretto il S. a partecipare alla gara e ad aggiudicarsi il bene e a promettere la successiva rivendita al P.. Il reato di tentata truffa veniva ravvisato nella condotta di Ca.Gi., il quale, tramite C.P. e Sp.Lu., si presentava a Si.Ed. come persona in grado di influire su C. F., professionista incaricato della vendita di un immobile in una procedura esecutiva, e di fargli acquistare l’immobile direttamente dall’istituto di credito procedente, inducendo in errore il predetto Si., cui veniva proposto l’acquisto dell’immobile al prezzo di Euro 95.000 di gran lunga superiore rispetto a quello di euro 69.000 posto a base d’asta.

Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo i seguenti motivi:

1) erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 353 c.p., in quanto tale reato non sarebbe configurabile nel caso di specie, essendosi la gara conclusa proprio con l’aggiudicazione e l’effettivo trasferimento dell’immobile a S.V. unico offerente, ciò sul presupposto che il reato contestato dovrebbe considerarsi un reato di evento e non di pericolo.

2) manifesta illogicità della motivazione, in quanto l’ordinanza impugnata avrebbe stravolto la reale portata di talune risultanze captative, dalle quali risulterebbe che il S. avrebbe spontaneamente manifestato la propria disponibilità a fare rientrare l’immobile nella disponibilità del P..

3) manifesta illogicità della motivazione con riferimento al delitto di truffa, in quanto dal contenuto delle conversazioni intercettate si evincerebbe che l’intervento del C. era finalizzato solo a consentire all’amico Si.Ed. di fare un affare nell’acquisto dell’immobile in vendita e il Si. aveva contezza che il prezzo richiestogli comprendeva anche un compenso per coloro che si stavano attivando per definire l’acquisto.

4) manifesta illogicità della motivazione con riferimento alle esigenze cautelari, il ricorrente lamenta che non siano stati considerati lo stato di incensuratezza del C. e l’assenza di carichi pendenti, nonchè il tempo decorso dal fatto contestato (circa tre anni). In subordine, il ricorrente chiede una misura cautelare meno gravosa.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono infondati e devono essere rigettati.

E’ infondata le censura relativa al reato di cui all’art. 353 c.p., in quanto si basa sulla sua configurazione quale reato di evento.

Questa Suprema Corte, invece, ha già chiarito che l’evento del reato di cui all’art. 353 c.p. si configura non soltanto in un danno immediato ed effettivo, ma anche in un danno mediato e potenziale, trattandosi di reato di pericolo (Sez. 6, n. 40831 del 08/06/2010, Dell’Aquila, Rv. 248788; Sez. 6, n. 37337 del 10/07/2003, D’Amico, Rv. 227320). La censura di "stravolgimento" della portata di talune risultanze captative è manifestamente infondato, nella parte in cui contesta l’esistenza di un logico apparato argomentativo dell’ordinanza impugnata, la quale, invece, non evidenzia alcuna illogicità rilevabile ictu oculi; non consentito, nella parte in cui ricostruisce e reinterpreta il contenuto della risultanze captative, poichè, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. D’altro canto, la novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, nella parte in cui consente la deduzione del vizio di motivazione sulla base anche di "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, per cui il riferimento non può che essere agli atti concernenti fatti decisivi, che avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, se convenientemente valutati in relazione all’intero contesto probatorio, e non certo alla possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito.

Il motivo di ricorso concernente la sussistenza del delitto di truffa, ritenuto dal Tribunale in luogo di quello di estorsione, è inammissibile per mancanza di interesse a ricorrere, in quanto, avendo il Tribunale stesso escluso la configurabilità di aggravanti, il reato medesimo non è stato posto a base della misura cautelare.

Anche il motivo di ricorso concernente le esigenze cautelari non è accoglibile, in quanto l’ordinanza impugnata ha preso in considerazione, al fine di formulare la prognosi di un pericolo di recidivanza, una serie di elementi negativi (particolare gravità delle modalità e delle circostanze dell’azione, elevata intensità del dolo) ritenuti certamente prevalenti rispetto a quelli, asseritamente positivi, evidenziati dalla difesa. D’altro canto, "la semplice omissione di un riferimento testuale al tempo trascorso dalla commissione del reato non determina la nullità dell’ordinanza cautelare allorchè risulti l’incidenza complessiva degli elementi di giudizio a carico dell’indagato, atteso che l’inciso relativo al decorso del tempo, introdotto nel testo dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c), dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, art. 1, non ha valenza semantica autonoma ed indipendente dalla disposizione nella quale è inserito, ma ne specifica il contenuto con riferimento alla dimensione indiziaria degli elementi acquisiti ed alla configurazione delle esigenze cautelari, ed è integrabile dal giudice del riesame che può esplicitarne i contenuti" (Sez. 1, n. 3634 del 17/12/2009, dep. 28/01/2010, Lo Vasco, Rv. 245637; Sez. 1, n. 11518 del 21/01/2005, Tusa, Rv. 231070).

Il ricorso, dunque, deve essere rigettato, con la conseguenza della condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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