Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 26-05-2011) 22-07-2011, n. 29441

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Lecce, con ordinanza in data 14 dicembre 2010, confermava il provvedimento del G.I.P. presso lo stesso Tribunale, emesso il 19 novembre 2010, di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di M.G., per il delitto di estorsione, così modificata l’originaria imputazione di truffa aggravata di cui alla richiesta del P.M. Secondo tale imputazione, C.C., intendendo rientrare nella disponibilità di un immobile a lui appartenuto oggetto di procedura esecutiva attraverso l’aggiudicazione alla nipote, si rivolgeva a Ca.Gi., tramite il cugino R.A., in quanto ritenuto nell’ambiente in grado di influire sulle aste giudiziarie;

il Ca. si accordava con M.G. per simulare l’interessamento di costui all’acquisto del bene, prospettando in tal modo al C. il pericolo di subire il danno derivante dall’aggiudicazione dell’immobile ad altro concorrente e procurandosi l’ingiusto profitto della somma richiesta per allontanare il possibile acquirente M. dall’asta.

Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo i seguenti motivi:

1) manifesta illogicità della motivazione, in quanto l’ordinanza impugnata avrebbe stravolto la reale portata del contenuto di talune risultanze captative. Secondo la tesi difensiva il M. sarebbe stato contattato ed incaricato dal Ca. solo per visionare l’immobile in vendita nell’ambito della procedura fallimentare e constatarne le condizioni d’uso attraverso una perizia, nell’interesse dello stesso Ca. o di altro soggetto; in tal senso deporrebbe la lettura delle conversazioni intercettate esaminate analiticamente nel loro contenuto dal ricorrente.

2) erronea applicazione della legge penale, in quanto nella fattispecie dovrebbe configurarsi il delitto, come da richiesta del P.M., di truffa aggravata, poichè il Ca. aveva prospettato al debitore proprietario dell’immobile in vendita, il pericolo di non riuscire a rientrare nella disponibilità dell’immobile a causa dell’interessamento all’acquisto manifestato da un terzo, identificato nel M., pertanto, la situazione di pericolo è stata prospettata come proveniente da un terzo e non dalla volontà dello stesso Ca..

3) manifesta illogicità della motivazione, con riferimento alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari. Il ricorrente lamenta che non siano stati considerati lo stato di incensuratezza del M. e l’assenza di carichi pendenti, nonchè il tempo decorso dal fatto contestato (circa tre anni). In subordine, il ricorrente chiede una misura cautelare meno gravosa.

Motivi della decisione

I motivi di ricorso sono infondati e devono essere rigettati.

Il motivo di ricorso con il quale si deduce illogicità della motivazione è manifestamente infondato, nella parte in cui contesta l’esistenza di un logico apparato argomentativo dell’ordinanza impugnata, la quale, invece, non evidenzia alcuna illogicità rilevabile ictu oculi non consentito, nella parte in cui ricostruisce e reinterpreta il contenuto delle risultanze captative, poichè, secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. D’altro canto, la novella dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ad opera della L. n. 46 del 2006, art. 8, nella parte in cui consente la deduzione del vizio di motivazione sulla base anche di "altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame", non ha mutato la natura del giudizio di cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, per cui il riferimento non può che essere agli atti concernenti fatti decisivi, che avrebbero potuto determinare una soluzione diversa da quella adottata, se convenientemente valutati in relazione all’intero contesto probatorio, e non certo alla possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito.

Il motivo di ricorso concernente la qualificazione giuridica del fatto è infondato. Infatti, se è vero, come afferma la difesa, che la situazione di pericolo è stata prospettata come proveniente da un terzo, è, però, vero che – secondo la ricostruzione della vicenda operata dai giudici di merito e non contestabile in questa sede di legittimità – si trattava di una situazione di pericolo "che veniva fatta apparire come controllabile e gestibile proprio dal Ca. e dalla sua capacità di influire personalmente sulla gestione e sugli esiti dell’asta giudiziaria, avendone un controllo diretto o indiretto".

Anche il motivo di ricorso concernente le esigenze cautelari non è accoglibile, in quanto l’ordinanza impugnata ha preso in considerazione, al fine di formulare la prognosi di un pericolo di recidivanza, una serie di elementi negativi (elevata professionalità nel delinquere, complessa organizzazione di attività, elevatissima intensità del dolo) ritenuti certamente prevalenti rispetto a quelli, asseritamente positivi, evidenziati dalla difesa. D’altro canto, "la semplice omissione di un riferimento testuale al tempo trascorso dalla commissione del reato non determina la nullità dell’ordinanza cautelare allorchè risulti l’incidenza complessiva degli elementi di giudizio a carico dell’indagato, atteso che l’inciso relativo al decorso del tempo, introdotto nel testo dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c), dalla L. 8 agosto 1995, n. 332, art. 1 non ha valenza semantica autonoma ed indipendente dalla disposizione nella quale è inserito, ma ne specifica il contenuto con riferimento alla dimensione indiziaria degli elementi acquisiti ed alla configurazione delle esigenze cautelari, ed è integrabile dal giudice del riesame che può esplicitarne i contenuti" (Sez. 1, n. 3634 del 17/12/2009, dep. 28/01/2010, Lo Vasco, Rv. 245637; Sez. 1, n. 11518 del 21/01/2005, Tusa, Rv. 231070). Il ricorso, dunque, deve essere rigettato, con la conseguenza della condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *