T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., 01-08-2011, n. 6833

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato all’Amministrazione degli Affari Esteri in data 22 ottobre 2010 e depositato il successivo 28 ottobre, espone la ricorrente, in atto cittadina russa, di amministrare in Italia una società denominata "O. s.a.s di B.I. & C." e di avere avviato la procedura di rilascio del visto per lavoro autonomo previsto dal D.M. 12 luglio 2000, predisponendo tutta la necessaria documentazione.

Si vedeva tuttavia notificare il diniego di visto impugnato ed avverso il quale propone:

1. Violazione di legge e/o falsa applicazione dei principi di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, vizi del procedimento, violazione degli obblighi di motivazione, di individuazione e comunicazione del responsabile del procedimento;

2. Violazione di legge e/o falsa applicazione dei principi di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, in particolare difetto di motivazione;

3. Violazione di legge e/o falsa applicazione dei principi di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, in particolare dell’art. 10 bis;

4. Violazione di legge e di regolamenti con particolare riferimento all’art. 2 del D.P.C.M. del 1° aprile 2010; eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di motivazione, illogicità manifesta per disparità di trattamento;

5. Violazione dell’art. 26 del d.lgs. n. 286 del 1998, eccesso di potere per travisamento ed erronea valutazione dei fatti, difetto di istruttoria, disparità di trattamento.

Conclude con istanza di risarcimento dei danni, chiedendo l’accoglimento dell’istanza cautelare e del ricorso.

L’Amministrazione degli esteri si è costituita in giudizio ed ha rassegnato opposte conclusioni.

Alla Camera di Consiglio del 9 dicembre 2010 è stata accolta la richiesta di sospensione del provvedimento impugnato ai fini del riesame, con contestuale fissazione della odierna udienza pubblica alla quale, infine, il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato e va pertanto accolto.

La ricorrente, con esso, impugna il diniego di visto oppostole dal Consolato Generale d’Italia in Mosca e motivato in quanto "l’attività di estetista non può essere considerata di interesse per l’economia nazionale, così come previsto per legge per esercizio di attività imprenditoriale autonoma. Manca la disponibilità di un reddito – relativo al precedente esercizio finanziario – di importo superiore al livello minimo previsto dalla legge per esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (Euro 8.400) già acquisito nel paese di provenienza".

2. In punto di fatto la ricorrente ha esposto di avere predisposto tutta la documentazione necessaria per il rilascio del visto ed in particolare: codice fiscale, stipulazione di un contratto di locazione ad uso abitativo in Vigevano, sede dell’attività, apertura di conto corrente bancario, attestazione dei parametri economico finanziari da parte della Camera di Commercio di Pavia, atti notarili e licenza relativi all’acquisto di quote sociali sas a seguito delle quali ella è divenuta accomandataria della società, iscrizione alla Camera di Commercio, nulla osta per lo svolgimento dell’attività, nulla osta della Questura di Pavia in data 25 giugno 2010.

3. Ciò premesso la ricorrente con i primi tre motivi, in sostanza lamenta la violazione delle regole procedimentali che devono presiedere ad una corretta formazione della volontà dell’amministrazione ed alla partecipazione alla stessa da parte degli interessati.

Con la quarta censura oppone che il provvedimento in effetti reca due motivazioni apparenti, entrambe platealmente e radicalmente infondate. La norma di base cui far riferimento è senz’altro costituita dal D.P.C.M. 1° aprile 2010 che definisce quali sono le quote di lavoratori autonomi che possono entrare in Italia e secondo quali criteri; tra questi l’Amministrazione ha erroneamente ritenuto applicabile quello riservato agli imprenditori che svolgono attività di interesse per l’economia italiana, mentre la ricorrente rientra nella categoria dei "soci e amministratori di società non cooperative".

Con la quinta censura oppone che anche il secondo motivo di reiezione dell’istanza di visto è infondato poiché ella ha dimostrato di possedere, nell’anno precedente a quello dell’ingresso, un reddito di molto superiore al livello minimo previsto dalla legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria.

4. Conviene iniziare dalle due censure proposte per ultime e che sono fondate.

In particolare l’aspetto della motivazione del diniego di visto prospettato per ultimo contrasta con la produzione documentale offerta da parte ricorrente che ha esibito in atti la dichiarazione dei redditi relativa al 2009 e che dimostra in rubli un reddito pari a 756.230,53 pari ad Euro 17.562,98 superiore ad Euro 8.400,00 previsti appunto dalle norme per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria.

Ma anche la quarta censura può essere condivisa.

Il provvedimento sui flussi migratori stagionali per l’anno 2010 adottato con D.P.C.M. 1° aprile 2010 all’art. 2 prevede che tra le categorie di stranieri non comunitari ai quali è consentito l’ingresso per 4.000 unità, sia annoverata espressamente quella dei "soci e amministratori di società non cooperative" e come mostra la visura storica della società cui la ricorrente appartiene, ella riveste la qualità di socio accomandatario dal 14 aprile 2010 all’interno della stessa. Altra categoria pure ricompresa nel decreto sui flussi migratori è quella degli "imprenditori che svolgono attività di interesse per l’economia italiana", nella quale tuttavia la ricorrente non rientra proprio in quanto riveste l’altra qualificazione, in virtù dell’acquisto di quote sociali della citata società in accomandita semplice effettuato con atto notarile in data 14 aprile 2010 a repertorio n. 5634.

Il provvedimento pertanto individua erroneamente la categoria di appartenenza della ricorrente al fine di godere del visto di lavoro autonomo, per come peraltro pure dimostrato da apposita dichiarazione della Camera di Commercio di Pavia a prot. n. 0013000 del 29 luglio 2010 dalla quale si ricava la non necessità di rilascio del nulla osta per l’attività di estetista in capo alla ricorrente in quanto appunto la stessa ricopre la carica di socio accomandatario all’interno della società citata in narrativa.

L’Amministrazione, con relazione del Consolato Generale in Mosca, ha in particolare insistito che comunque la ricorrente non soddisferebbe al requisito per l’avvio dell’attività di estetista in Pavia fissato dalla Camera di Commercio di quella città nella cifra di Euro 40.000,00.

Anche tale circostanza e pure se non la si volesse considerare una integrazione postuma della motivazione, atteso che di tale esternazione non v’è traccia nel provvedimento esaminato, appare smentita dalle risultanze documentali, poiché, per come emerge dal contratto di cessione di quote e modifica dei patti sociali della società in accomandita semplice della quale l’interessata è entrata a far parte in qualità di socio accomandatario nonché amministratore, ella ha acquistato la quota della sua precedente dante causa e del valore nominale di Euro 2.324,05 per un importo di Euro 45.000,00 che "la parte cedente dichiara di avere interamente ricevuto prima del presente atto dalla parte cessionaria".

Emerge, pertanto, che anche tale aspetto posto in evidenza dall’Amministrazione appare ampiamente superato dal pagamento della quota di avvio dell’attività da parte ricorrente per una somma finanche superiore ai 40.000 Euro richiesti dalla Camera di Commercio di Pavia, con conseguente reiezione di tale argomentazione dell’Amministrazione.

5. Ma va anche sostanzialmente accolto il censurato difetto di motivazione che pone in evidenza come il mancato riferimento alla precisa norma di legge rispetto alla quale attribuire la discrasia della situazione giuridica disciplinata dal provvedimento di diniego impugnato non ha consentito alla ricorrente di ricostruire il preciso iter logico giuridico cui la motivazione dell’atto solitamente presiede. Il provvedimento è infatti sprovvisto di qualsivoglia riferimento normativo.

6. In ordine alla censura di mancato preavviso di provvedimento negativo l’Amministrazione ha rilevato che la procedura si è svolta nei centoventi giorni di tempo successivi alla presentazione della domanda a mente dell’art. 26, comma 7 del d.lgs. n. 286 del 1998 e che, essendo la domanda presentata in data 26 luglio 2010, il diniego è stato correttamente comunicato alla ricorrente in data 3 settembre 2010, nei termini di legge.

Al riguardo è opportuno osservare che, nel caso in esame, pur non disconoscendo la giurisprudenza secondo cui i provvedimenti vincolati, come è il diniego di visto, non possono essere annullati per mancanza della comunicazione di avvio del procedimento alla stregua dell’art. 21 octies della legge n. 241 del 1990, comunicazione alla quale viene equiparato, quanto ai ridetti effetti, il preavviso di provvedimento negativo, nel caso del procedimento in esame, tuttavia, è da rilevare una inaspettata celerità nella gestione della tempistica procedurale. In particolare si osserva che, avendo l’Amministrazione ben centoventi giorni per pronunciarsi sull’istanza di visto avrebbe avuto tutto il tempo per un preavviso di provvedimento negativo, poiché non ha utilizzato l’intero termine temporale di conclusione del procedimento previsto dalla norma sopra citata, ma poco più di un mese. Ed ancora: poiché il diniego è stato adottato in data 3 settembre 2010 ed è stato notificato alla ricorrente in data 10 settembre 2010, mentre la stessa aveva già proposto un esposto in data 8 settembre 2010 per segnalare irregolarità procedurali, l’Amministrazione ben avrebbe potuto prudenzialmente ritirare il provvedimento impugnato ed inserire una fase sub procedimentale di contraddittorio con l’interessata prima di notificarle il detto diniego.

Niente di tutto ciò è avvenuto, con conseguente accoglimento anche della ridetta censura.

7. Non può, invece, essere accolta la richiesta di risarcimento del danno come proposta da parte ricorrente e quantificata in Euro 35.000,00 dimostrati dall’affitto a vuoto di un appartamento in Vigevano in attesa del visto, dalla vendita della propria autovettura in Russia e da altre spese sostenute, confidando nella bontà della documentazione ai fini del rilascio del visto, invece, negatole e costituito pure dal disagio morale ricevuto dal rifiuto.

Infatti, ancorché documentata correttamente, la pretesa al risarcimento del danno non appare completata in tutti i suoi elementi, soprattutto in ordine a quello soggettivo.

La ricorrente sostiene che le irregolarità nella gestione di una pratica che si presentava oggettivamente non difficoltosa farebbero ritenere che si sia superato il confine dell’ordinaria diligenza per addivenire ad un comportamento negligente di grave disinteresse foriero di danno.

Tale prospettazione non appare condivisibile alla luce della oggettiva difficoltà interpretativa e di conseguenza applicativa del decreto sui flussi migratori di cui al D.P.C.M. 1° aprile 2010 che ha richiesto anche una circolare applicativa la n. 3500 del 25 maggio 2010 da parte del Ministero dell’Interno e nella quale si riportano le istruzioni del Ministero degli Affari Esteri sull’argomento, distinguendosi tra la categoria degli "imprenditori che svolgono attività di interesse per l’economia" e la cui valutazione è di esclusiva competenza della rappresentanza diplomatico consolare, quale è quella interessata nella vicenda e la categoria dei "soci e amministratori di società cooperative".

In tale prospettiva all’organo consolare può forse imputarsi esclusivamente una inesatta individuazione della fattispecie ed un comportamento affrettato, probabilmente occasionato dalla presentazione dell’esposto da parte della ricorrente, avvenuta appena due giorni prima della notifica del provvedimento, ma tale comportamento non pare individuare quella grave forma di negligenza necessario presupposto perché possa riscontrarsi appunto uno degli elementi del risarcimento del danno, dal momento che esso appare piuttosto giustificato dalla parziale novità del quadro normativo primario e secondario di riferimento, come sopra posta in evidenza.

Come d’altra parte rilevato dalla più recente giurisprudenza in materia, formatasi a ridosso della modifica dell’azione risarcitoria introdotta dall’art. 30 del d.lgs. n. 104 del 2010, ai fini della stessa ammissibilità della domanda non è più sufficiente il solo annullamento del provvedimento, dovendo il giudice procedere a una indagine approfondita dell’elemento soggettivo che per l’amministrazione pubblica si configura in termini di violazione delle regole di correttezza, imparzialità e buona fede cui l’azione deve conformarsi. E tale responsabilità è configurabile soltanto quando "la violazione risulti grave e commessa in un contesto di circostanze di fatto e in un quadro di riferimenti normativi e giuridici tali da palesare la negligenza e l’imperizia dell’organo nell’assunzione del provvedimento viziato, negandola, invece, quando l’indagine conduce al riconoscimento dell’onere scusabile per la sussistenza di contrasti giurisprudenziali, per l’incertezza del quadro normativo di riferimento o per la complessità della situazione di fatto." (TAR Basilicata, 1° maggio 2011, n. 300). Ed ancora lo stesso TAR Lazio approfondisce che "la colpa della p.a. non è data dalla mera "inosservanza di leggi regolamenti, ordini o discipline", secondo la nozione fornita dall’art. 43 c.p., ma dalla violazione dei canoni di imparzialità, correttezza e buona amministrazione, ovvero a negligenze, omissioni o anche errori interpretativi di norme, ritenuti non scusabili;" (sezione II, 24 febbraio 2011, n. 1720) e nel caso in esame tale elementi non paiono proprio ricorrere.

8. Il ricorso va pertanto in parte accolto e per l’effetto va annullato il diniego di visto per lavoro autonomo adottato dal Consolato Generale d’Italia di Mosca in data 3 settembre 2010 nei riguardi della ricorrente e per il resto respinge la domanda di risarcimento del danno.

9. La delicatezza delle questioni trattate e la soccombenza solo parziale fanno ritenere giusti i motivi per la compensazione delle spese di giudizio ed onorari tra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie in parte e per l’effetto annulla il diniego di visto per lavoro autonomo adottato dal Consolato Generale d’Italia di Mosca in data 3 settembre 2010 nei riguardi della ricorrente e per il resto lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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