Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 25-05-2011) 22-07-2011, n. 29518

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Con sentenza del 14.11.2007 il Tribunale di Barcellona PG condannava B.G., nella qualità da socio e responsabile della Società CO.GE.CA che gestisce l’impianto di frantumazione e lavaggio inerti ubicato nell’alveo del torrente (OMISSIS), alla pena di anni 1, mesi 1 di arresto ed Euro 21.800,00 di ammenda per varie violazioni della normativa sulla sicurezza del lavoro ex D.P.R. n. 547 del 1955, scarico di acque reflue, danneggiamento di acque pubbliche, deterioramento di bellezze naturali e paesaggistiche relativamente ai torrenti (OMISSIS), smaltimento di rifiuti e violazione di sigilli.

La Corte di Appello di Messina, con sentenze del 16.4.2010, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, dichiarava non doversi procedere nei confronti del B. in ordine ai reati di cui ai capi da A) a G), K), I), L), N) del proc. n. 294/05 perchè estinti per prescrizione, rideterminando la pena per i rimanenti reati in anni 1, mesi 1 di arresto ed Euro 20.800,00 di ammenda.

Riteneva (a Corte, disattendendo i motivi di appello, che dagli atti non emergesse la prova certa per pervenire ad una sentenza assolutoria ex art. 129 cpv. c.p.p., per cui andava dichiarata la prescrizione in ordine ai reati per i quali era maturata la causa estintiva. Quanto agli altri reati, la responsabilità dell’imputato risultava, in modo inequivocabile, dagli accertamenti dei C.C. e dalle ulteriori indagini dell’Ispettorato del Lavoro, come ampiamente evidenziato nella condivisibile motivazione del primo giudice, alla quale rinviava. Stante l’oggettiva evidenza delle violazioni non era, poi, necessaria la perizia tecnica, sollecitata dalla difesa.

2) Ricorre per cassazione B.G., a mezzo del difensore, denunciando, con il primo motivo la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione ai capi a), b) e), d) e), f) e g) del proc. n. 40/96. Tali reati risultavano abrogati (e non sostituiti) dal D.Lgs. n. 152/2006, dal D.Lgs. n. 81 del 2008 e dal D.Lgs. n. 155 del 2010.

In ogni caso è ravvisabile una palese mancanza di motivazione, non avendo la Corte di Appello argomentato in ordine agli specifici rilievi contenuti nell’atto di appello, essendosi limitata a rinviare per relationem alla sentenza di primo grado.

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato ex art. 635 c.p., comma 2, n. 3 ascritto al capo J) del procedimento n. 294/05. I Giudici di merito non potevano pervenire ad una sentenza di condanna senza l’ausilio di una perizia. Nonostante le puntuali deduzioni in proposito, la Corte territoriale ha omesso di motivare.

Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al reato di cui all’art. 349 c.p. ascritto al capo o). In ordine a tale reato nè i giudici di primo grado, nè quelli di appello hanno fornito alcuna motivazione.

3) Non essendo il ricorso manifestamente infondato, la forza propulsiva dell’atto di impugnazione consente di rilevare la prescrizione, maturata dopo la emissione della sentenze impugnata, di tutte le residue contravvenzioni e di cui al proc. pen. n. 40/96.

Il termine massimo di prescrizione di anni 4 e mesi 6 secondo la disciplina più favorevole di cui all’art. 157 c.p. previgente, è maturato, pur tenendo conto delle sospensioni per mesi 11 e giorni 12, in data 16,7.2010 (come del resto aveva già accertato la Corte territoriale, nel rigettare l’eccezione di prescrizione perchè non ancora decorsa alla data di emissione della sentenza il 16.4.2010).

Non ricorrono, poi, le condizioni per un proscioglimento nel merito ex art. 129 cpv. c.p.p..

Come affermato anche di recente dalle sezioni unite, con la sentenza n. 35490 del 28.5.2009, "In presenza di una causa di estinzione dei reato il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell’art. 129 c.p.p., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell’imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più d concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento". Le sezioni unite hanno ribadito, altresì, che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità, nè vizi di motivazione, nè nullità di ordine generale (cfr. sent. n. 35490/2009 cit.).

I giudici di merito hanno, con motivazione coerente ed immune da vizi, argomentato in ordine alla sussistenza delle ipotesi contravvenzionali contestate. Per quanto riguarda, in particolare, la dedotta abolitio criminis, va rilevato che vi è continuità normativa con la normativa abrogata, essendo le ipotesi contravvenzionali contestate sanzionate anche dalla nuova normativa.

Basta richiamare il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 264 che, nell’abrogare il D.Lgs. n. 22 del 1997, stabilisce che, "al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, i provvedimenti attuativi del citato D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, continuano ad applicarsi sino alla data di entrata in vigore dei corrispondenti provvedimenti attuativi previsti dalla parte quarta del presente decreto". 4) In ordine alle censure relative ai delitti di cui ai capi j) ed o), è opportuno ricordare che, nell’ipotesi di conferma della sentenza di primo grado, le due motivazioni si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre far riferimento per giudicare della congruità della motivazione.

Allorchè, quindi, le due sentenze concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formate un unico complesso corpo argomentativo (cfr. ex multis Cass. sez. 1 n. 8868 del 26.6.2000-Sangiorgi).

4.1) Il Tribunale, in relazione al reato di danneggiamento, aveva, con accertamento in fatto argomentato ed immune da vizi logici, ritenuto che "l’inerte era sottoposto a lavaggio mediante utilizzo di acqua prelevata da un pozzo artesiano realizzato all’interno dell’impianto; che le acque reflue industriali venivano convogliate in un pozzetto di raccolta e, poi, attraverso una condotta interrata, avviate in vasca di decantazione posta a valle dell’impianto, in area demaniale; che il materiale decantato si depositava sul fondo della vasca medesima, mentre la parte liquida non depurata, di colore marrone scuro, per mezzo di altra condotta interrata, affluiva nelle acque del torrente (OMISSIS), per poi sfociare in mare". Risulta quindi in modo inequivocabile che le acque provenienti dai lavaggi degli inerti, senza alcun intervento di depurazione (come del resto emergeva dal colore "marrone scuro"), venivano immesse nelle acque del torrente, così determinandosi "coscientemente e volontariamente, un deterioramento non certo indifferente delle acque del torrente medesimo". In presenza di un atto di impugnazione, con il quale, genericamente, si deduceva in ordine al reato di cui al capo j) che "il Giudice avrebbe dovuto quantomeno avvalersi di una consulenza per verificare i limiti di accettabilità e la natura delle sostanze e se le stesse abbiano posto in essere un danneggi amento" (cfr. quinto motivo di appello), la Corte di Appello, correttamente, ha, da un lato, rinviato alla motivazione sopra ricordata della sentenza impugnata e, dall’altro, ritenuto che, potendo il processo essere deciso allo stato degli atti, stante "l’oggettiva evidenza delle violazione", non era necessario l’espletamento di una perizia tecnica.

Ed è pacifico che, in presenza di una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, a norma dell’art. 603 c.p.p., comma 1, il Giudice di appello dispone l’integrazione istruttoria solo se ritenga che il processo non possa essere deciso allo stato degli atti. La rinnovazione del dibattimento nella fase di appello ha, infatti, carattere eccezionale, dovendo vincere la presunzione di completezza dell’indagine probatoria del giudizio di primo grado. Ad essa può, quindi, farsi ricorso solo quando il giudice la ritenga necessaria ai fini del decidere. Secondo la giurisprudenza di questa Corte "in tema di rinnovazione, in appello, della istruzione dibattimentale, il giudice, pur investito con i motivi di impugnazione di specifica richiesta, è tenuto a motivare solo nel caso in cui a detta rinnovazione acceda invero, in considerazione del principio di presunzione di completezza della istruttoria compiuta in primo grado, egli deve dar conto dell’uso che va a fare del suo potere discrezionale, conseguente alla convinzione maturata di non poter decidere allo stato degli atti. Non così viceversa, nella ipotesi di rigetto, in quanto, in tal caso, la motivazione potrà essere implicita e desumibile dalla stessa struttura argomentativa della sentenza di appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti alla affermazione, o negazione, di responsabilità" (cfr. Cass. sez. 5 n. 8891 del 16.5.2000; Cass. sez. 6 n. 5782 del 18.12.2006).

E che i rilievi effettuati dagli organi accertatori ed evidenziati dalla sentenza di primo grado fossero sufficienti a ritenere configurabile il reato contestato di cui all’art. 635 c.p. è confermato dalla giurisprudenza di questa Corte, citata dallo stesso ricorrente, secondo cui "In tema di danneggiamento, al fine di escludere la sussistenza del reato non basta che il donno sia di modesta entità, ma occorre che esso risulti talmente esiguo da non integrare una modificazione strutturale o funzionale della cosa" (Cass. pen. sez. 2, 28.5.2008 n. 25882).

4.2) Le medesime considerazioni valgono anche per il reato di cui all’art. 349 c.p. ascritto al capo o). In ordine o tale reato il Tribunale, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, aveva adeguatamente motivato, evidenziando che era stato accertato che la vasca di decantazione, sottoposta a sequestro con provvedimento del GIP del 23.11.2000 continuava ad essere, utilizzata, e che quindi era senza dubbio alcuno integrato il reato di cui all’art. 349 c.p..

E, secondo giurisprudenza consolidata di questa Corte, la violazione di sigilli non consiste nell’atto materiale dell’infrazione, ma nella condotta diretta in maniera specifica a violare la misura cautelare e strumentalizzata al proseguimento dei lavori abusivi, sicchè il reato può concretarsi in qualunque atto comunque diretto al mancato rispetto dell’effettuato sequestro. Oggetto della tutela penale non è infatti l’integrità dei sigilli, ma la conservazione e identità della cosa sottoposta a sequestro. Il custode è obbligato ad esercitare sulla cosa sottoposta a sequestro e sulla integrità dei relativi sigilli una custodia continua ed attenta. Egli non può sottrarsi a tale obbligo se non adducendo oggettive ragioni di impedimento e, quindi, chiedendo ed ottenendo di essere sostituito, ovvero, qualora non abbia avuto il tempo e la possibilità di farlo, fornendo la prova del caso fortuito o della forza maggiore che gli abbiano impedito di esercitare la dovuta vigilanza. Ne consegue che, qualora venga accertata la violazione dei sigilli, senza che il custode abbia provveduto ad avvertire dell’accaduto l’autorità, è lecito ritenere che detta violazione sia opera dello stesso custode, da solo o in concorso con altri, tranne che lo stesso non dimostri di non essere stato in grado di avere conoscenza del fatto per caso fortuito o forza maggiore: Ciò non configura alcuna ipotesi di responsabilità oggettiva, estranea alla fattispecie, ma un onere della prova che incombe sul custode (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 6, 11 moggio 1993 n. 4815; conf. Cass. pen. sez. 3 n. 2989 del 28.1.2000). Risponde, pertanto del reato di cui all’art. 349 c.p. il custode che non dimostri l’esistenza del caso fortuito o della forza maggiore, dal momento che su di lui grava l’obbligo di impedire la violazione dei sigilli che si certe (cfr. Cass. pen. sez. 3 24.5.2006 n. 19424).

Con i motivi di appello ci si limitava ad affermare, senza proporre alcuna censura specifica avverso la sentenza di primo grado, che "… non vi è un’argomentazione probatoria sufficiente a ritenere sussistente anche il reato di cui al capo 0) della rubrica" (quinto motivo di appello). Stante tale generica deduzione (ai limiti dell’ammissibilità) legittimamente la Corte territoriale ha rinviato per relationem alla sentenza di primo grado.

4.3) Alla rideterminazione della pena in ordine a tali due reati residui (capi j ed o) non può provvedersi in questa sede, essendo stata la pena base indicata con riferimento al reato ascritto al capo d) del proc. n. 40/06 R.G., dichiarato prescritto. Va disposto, pertanto, il rinvio, sui punto, alla Corte di Appello di Reggio Calabria.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle contravvenzioni di cui al proc. Pen. n. 40/06 perchè estinte per prescrizione. Rigetta nel resto il ricorso e rinvia alla Corte di Appello di Reggio Calabria per la determinazione della pena in ordine ai delitti di cui ai capi j) ed o) del proc. pen. n. 294/05.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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