Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 25-05-2011) 22-07-2011, n. 29517

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) Il Tribunale di Sulmona, con sentenza del 11 marzo 2010, condannava D.L.F.F. e C.G., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generi che, alla pena di Euro 2.000,00 di ammenda ciascuno per il reato di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1 per avere il D.L., quale Presidente della Comunità Montana Alto Sangro e Altopiano delle Cinque Miglia, ed il C., quale presidente del Consiglio di Amministrazione della Società A.S.A. Alto Sangro Ambiente srl, gestito un impianto di trattamento di rifiuti solidi urbani e annessa discarica di servizio per lo smaltimento dei sovvalli, in assenza dell’autorizzazione D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 210 scaduta il 29.11.2006 e non rinnovata.

2) Ricorre per cassazione D.L.F.F., a mezzo del difensore, per violazione di legge in relazione al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 1.

L’impianto di smaltimento e compostaggio dei rifiuti, di cui all’imputazione, è di proprietà della locale Comunità Montana, la quale, però, con contratto del 13.12.2001, nè affidò la gestione alla ASA Alto Sangro Ambiente srl, che ne assumeva ogni onere, ivi comprese le responsabilità verso le autorità deputate al controllo ed il rispetto delle norme di gestione, E’ pertanto la sola ASA a dover rispondere della imputazione. Denuncia, altresì, la violazione dell’art. 521 c.p.p.. Era stata, contestata la gestione dell’impianto in assenta di autorizzazione; il Tribunale, ampliando il campo di indagine, si è spinto a decidere su chi incombesse l’onere di richiedere il rinnovo dell’autorizzazione scaduta. Denuncia ancora la contraddittorietà della motivazione. Il Tribunale, pur avendo riconosciuto che, in virtù della convenzione stipulata con la Comunità Montana, la Società Alto Sangro dovesse farsi carico della regolarità amministrativa dell’Attività, ha poi, contraddittoriamente, affermato la responsabilità del presidente della Comunità Montana.

Con il quarto motivo, infine, denuncia la violazione di legge per inosservanza delle norme statutarie della Comunità Montana, da cui risulta che il Presidente è organo di indirizzo politico e che le funzioni dirigenziali-amministrative sono delegate al Segretario Generale.

2.1) Propone, a sua volta, ricorso per cassazione C. G., denunciando, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione della legge penale. L’impianto era munito di regolare autorizzazione per anni cinque, rinnovabile. Una volta scaduto il provvedimento de quo, la Comunità Montana, proprietario dell’impianto, aveva fatto richiesta di nuova autorizzazione, che veniva regolarmente rilasciata anche se con ritardo (senza alcun pregiudizio o rischio, quindi, per la popolazione residente e per l’ambiente). Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione di legge. L’impianto era di proprietà della Comunità Montana, tanto che fu il suo Presidente a chiedere il rinnovo dell’autorizzazione. La Società Alto Sangro non era quindi responsabile del rinnovo della Autorizzazione amministrativa, dovendo rispondere solo della gestione dell’impianto.

Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione. Il Tribunale, pur ritenendo che fosse onere della Comunità montana richiedere il rinnovo dell’autorizzazione, configura la responsabilità della Società Alto Sangro sulla base di una asserita violazione di un obbligo di sollecito non previsto da alcuna norma di legge. Con il quarto motivo, infine, denuncia la violazione di legge in relazione alle norme di organizzazione della Società Alto Sangro. In ogni caso la violazione non poteva essere addebitata al Presidente della Società, ma all’amministratore delegato che ha la responsabilità tecnico amministrativa dell’attività. 3) I ricorsi sono infondati.

3.1) Va ricordato preliminarmente che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 6420 del 7.11.2007, dep. 11.2.2008) "Il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 2, comma 3, già prevedeva la responsabilizzazione e la cooperazione di tutti i soggetti "coinvolti", a qualsiasi titolo, nel ciclo di gestione non soltanto dei rifiuti ma anche degli stessi "beni da cui originano i rifiuti" e il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 178, comma 3, ha puntualmente ribadito il principio di "responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti". Sul punto, pertanto, questa Corte (Sez. 3, 24.2.2004, n. 7746, Turati ed altro) ha rilevato che, in tema di gestione dei rifiuti, le responsabilità per la sua corretta effettuazione, in relazione alle disposizioni nazionali e comunitarie gravano su tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo dei beni dai quali originano i rifiuti stessi, e le stesse si configurano anche a livello di semplice istigazione, determinazione, rafforzamento o facilitazione nella realizzazione degli illeciti. Il concetto di "coinvolgimento" trovava specificazione nelle disposizioni poste dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 10 ed attualmente D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 188 (fatte salve le ipotesi di concorso di persone nel reato), ma la giurisprudenza di questa Corte Suprema ha specificato che anche la mera osservanza delle condizioni di cui all’art. 10 non vale ad escludere la responsabilità dei detentori e/o produttori di rifiuti allorquando costoro si siano "resi responsabili di comportamenti materiali o psicologici tali da determinare una compartecipazione, anche a livello di semplice facilitazione, negli illeciti commessi dai soggetti dediti alla gestione dei rifiuti" (vedi Cass., Sez. 3, 6.2.2000, n. 1767, Riva).

Il sistema della responsabilità penale, inoltre, nella materia in oggetto, "risulta ispirato ai principi di concretezza e di effettività, con il rifiuto di qualsiasi soluzione puramente formale ed astratta" (vedi Cass., Sez. 3 20.10.1999, n. 11951, P.M., in proc. Bonomelli)". I principi sopra richiamati risultano sostanzialmente ribaditi anche alla luce del D.Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205 (artt. 2 e 16).

3.1.1) Correttamente il Tribunale ha ritenuto responsabili del reato ascritto entrambi i ricorrenti.

3.1.1.1) Il D.L., quale Presidente della Comunità Montana proprietario dell’impianto e titolare dell’autorizzazione, aveva l’obbligo di richiedere il rinnovo della smessa. Che tale obbligo gravasse sulla Comunità Montana è attestato dal fatto che essa, sia pure tardivamente, in data 8.2.2007, fece richiesta del rinnovo dell’autorizzazione, a mezzo del suo Presidente entrato in carica pochi giorni prima. Nè tale obbligo veniva certamente meno per il fatto che l’impianto era stato dato in gestione alla Società ASA Alto Sangro. Che questa dovesse farsi carico della regolarità della gestione non significa che venissero meno gli obblighi del titolare dell’impianto medesimo. L’art. 4 della convenzione prevedeva solo che la Società Alto Sangro subentrasse alla Comunità Montana "in tutti gli obblighi in essere con i terzi relativamente alla gestione degli impianti e dei servizi della convenzione". E’ pacifico, infine, che il tardivo rinnovo debba essere equiparato a mancanza di autorizzazione, essendo indubitabile che dal momento della scadenza della precedente autorizzazione l’impianto veniva esercitato senza alcun titolo e quindi abusivamente. Non può, conseguentemente, minimamente parlarsi, sotto tale profilo, di immutazione della originaria contestazione.

E’ assolutamente pacifico, invero, che si ha violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito. La verifica dell’osservanza del principio di correlazione va, invero, condotta in funzione della salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato cui il principio stesso è ispirato. Ne consegue che la sua violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta – che realizza l’ipotesi astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione – venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell’originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l’imputato non ha avuto modo di difendersi (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 6, 8.6.1998 n. 67539). Sicchè "non sussiste violazione del principio di correlazione n della sentenza all’accusa contestata quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l’immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza aver avuto nessun possibilità d’effettiva difesa" (cfr. sez. 6 n. 35120 del 13.6.2003). Anche più di recente questa Corte ha ribadito il principio che "si ha violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali in modo tanto determinante da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa" (cfr. Cass. sez. 6 n. 12156 del 5.3.2009).

Ed il D.L. è stato posto pienamente in condizione di difendersi, essendogli stato contestato di avere, nella qualità, gestito l’impianto in assenza di autorizzazione perchè scaduta il 29.11.2006 e non rinnovata.

3.1.1.2) Del reato deve rispondere, come ineccepibilmente ha ritenuto il Tribunale, anche il C., nella qualità di effettivo gestore dell’impianto. A prescindere dal riferimento fatto dal Tribunale ad un onere di sollecito, è indubitabile che l’impianto sia stato gestito dalla "Alto Sangro Ambiente s.r.l." in assenza di autorizzazione, a partire dal momento in cui quella rilasciata in precedenza era scaduta il 29.11.2006, Ed un elementare dovere di diligenza avrebbe dovuto consigliare al responsabile di tale società di accertare se vi fosse stato il rinnovo, nei termini di legge, dell’autorizzazione.

3.2) Il Tribunale ha poi correttamente motivato, in fatto ed in diritto, anche in relazione alla responsabilità individuale del D. L. e del C.. Quanto al D.L., come si è già visto, a smentire l’assunto difensivo è la circostanza che fu proprio il Presidente, e non altri, a richiedere, anche se tardivamente il rinnovo dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto di smaltimento e compostaggio. Quanto al C. ha già rilevato il Tribunale che la responsabilità della gestione dell’impianto non può che ricadere sul Presidente, quale legale rappresentante della società che ne aveva assunto la gestione medesima. E tale responsabilità non può certo essere esclusa dalla nomina, di cui al verbale del Consiglio di amministrazione del 13.11.2002, di un "Preposto alla conduzione degli uffici e degli impianti della A.S.A. srl". Ha rilevato infatti il Tribunale, interpretando, in modo corretto ed argomentato, tale verbale, che "La contemporanea assegnazione delle rispettive funzioni esclude che al Preposto siano state attribuite funzioni assegnate nel medesimo atto al Presidente …". Ha, inoltre, aggiunto, a dimostrazione delle evidenziate "funzioni" del Presidente, che fu proprio il C. a presentare in data 15.3.2007 (e quindi successivamente anche al verbale del Consiglio di Amministrazione del 18.1.2005, che peraltro non mutava, espressamente, il quadro di riferimento delineato e di cui al verbale del 13.11.2002) alla Regione Abruzzo la richiesta di autorizzazione integrata ambientale ai sensi del D.Lgs. n. 59 del 2005, art. 5.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti singolarmente al pagamento delle spese processuali.

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