Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 25-05-2011) 22-07-2011, n. 29516

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1) La Corte di Appello di Palermo, con sentenza del 7 luglio 2010, confermava la sentenza del Tribunale di Termini Imerese, in composizione monocratica, con la quale V.N. e T. R., previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, erano stati condannati alla pena di mesi 4 di arresto ciascuno per la contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, commi 1 e 2 così qualificata l’originaria contestazione di cui al medesimo art. 256, comma 3.

Riteneva la Corte, disattendendo le doglianze difensive, che non sussistesse l’eccepito difetto di correlazione tra il fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, essendosi il primo giudice limitato a dare al fatto una diverse qualificazione giuridica e non a modificare il fatto medesimo in senso oggettivo e naturalistico. Fin dal decreto di citazione era stato contestato di aver costituito e gestito una discarica mediante accumulo di materiale di risulta da lavori edilizi e stradali, che venivano ivi trasportati con l’autocarro della Comes srl, di cui il T. era rappresentante legale, condotto dal V.; del resto, gli imputati, come emergeva anche dai motivi di appello, avevano avuto la possibilità di difendersi pienamente.

Non risultava, poi, che il V. avesse, svolto attività estranee alle sue mansioni di dipendente della Comes; al contrario emergeva che il predetto, che peraltro non aveva alcun interesse al trasporto e smaltimento dei rifiuti, agisse su direttive del T.. Nè era possibile sostenere che, in una impresa di modeste dimensioni (con soli due dipendenti) quale la Comes, non fosse possibile avere contezza dei movimenti e dei comportamenti dei dipendenti medesimi.

Infine, essendo il reato di natura contravvenzionale, esso è punito indifferentemente a titolo di dolo o di colpa. E la condotta del V. era stata posta in essere su direttive del T. o, comunque, quest’ultimo non aveva vigilato sul suo operato.

2) Ricorre per cassazione il difensore di V.N. e T.R., denunciando, con il primo motivo, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla eccepita mancanza di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza.

Al V. era stato contestato di aver trasportato, nell’area adibita a discarica, il materiale proveniente dai lavori di scavo su direttive di Vi.Ga.; al T. era stato contestato il reato di realizzazione e gestione di discarica non autorizzata per avere quale rappresentante legale della Comes, proprietario del camion utilizzato dal V., che agiva su incarico del Vi., concorso ad adibire l’area a discarica.

Il Tribunale, avendo preso atto che dall’istruttoria dibattimentale era emerso un solo episodio di trasporto e abbandono di rifiuti, qualificava il fatto non più ai sensi del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256, comma 3 ma dei commi 1 e 2. Inoltre il Tribunale evidenziava che non vi era alcuna prova che il materiale abbandonato nella discarica provenisse dai lavori in corso a (OMISSIS).

Con l’atto di appello era stato eccepito il difetto di correlazione tra imputazione e sentenza in quanto al T. era stato contestato il concorso nell’adibizione dell’area a discarica con materiale di risulta proveniente dai lavori del sottopasso ferroviario di (OMISSIS), ma non di aver dato direttive al V. per il trasporto del (OMISSIS) (fatto addebitato ad altro soggetto) o una sua culpa in vigilando. Il T. si era difeso dalla contestazione, dimostrando che il camion della società era stato impiegato nei lavori ed aveva trasportato il materiale in discarica autorizzata.

La Corte di Appello, disattendendo i motivi di appello, ha rilevato che, essendo stato contestato il reato di realizzazione e gestione di discarica, implicitamente fosse stato contestato quello di trasporto, smaltimento e deposito incontrollato, il più comprendendo il meno.

Tale argomentazione però frana nel caso in cui, come nella fattispecie, il trasporto non sia stato operato dal legale rappresentante dell’impresa, come da giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. n. 27275 del 5.6.2007).

Con il secondo motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ricostruzione dei fatti.

La Corte di merito, pur non essendo stata acquisita alcuna prova, ha ritenuto superfluo accertare se V. abbia agito su direttive del datore di lavoro oppure, di sua iniziativa, all’insaputa del primo ed ha ritenuto di ovviare ricavando, addirittura, elementi di accusa dal silenzio degli imputati, peraltro contumaci.

Il coinvolgimento del T. nella condotta posta in essere dal V. è frutto della manifesta illogicità della motivazione. La Corte territoriale ha ritenuto che la Comes srl potesse avere interesse all’abbandono di rifiuti in discariche non autorizzate, senza considerare che, in forza del contratto con la Esselepi srl, la Comes veniva retribuita in ragione del numero e della misura dei trasporti del materiale a discarica effettuati e documentati. Il trasporto di quel carico in discarica non autorizzata ha, quindi, provocato un danno e non un risparmio, come sostenuto dai giudici di merito.

Con il terzo motivo denuncia la violazione di legge e la mancanza di motivazione in relazione all’addebito di colpa mosso al T..

Con l’atto di appello era stato evidenziato che nessuna culpa in vigilando era configurabile, a meno di non voler ipotizzare che l’amministratore di società pedini i suoi dipendenti e che comunque tale profilo esulava dalla contestazione. La Corte di appello ha ritenuto infondate le deduzioni difensive, facendo riferimento ad una circostanza (solo 2 dipendenti della Comes) non emersa dal dibattimento (al contrario la società all’epoca aveva una decina di dipendenti). Peraltro se responsabilità può essere addebitata va ricondotta alla direzione dei lavori e non all’organo amministrativo.

Infine, ricorre il reato di cui all’art. 256, comma 2 se il datore di lavoro impartisce direttive, altrimenti l’ipotesi di illecito amministrativo di cui all’art. 255, comma 1 non sarebbe mai configurabile.

Con il quarto motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena, non avendo la corte territoriale argomentato in ordine all’applicazione della pena detentiva ed all’entità della stessa (superiore del doppio rispetto al minimo edittale).

3) Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

3.1) E’ assolutamente pacifico che si ha violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa contestata solo quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito. La verifica dell’osservanza del principio di correlazione va, invero, condotta in funzione della salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato cui il principio stesso è ispirato. Ne consegue che la sua violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta – che realizza l’ipotesi astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione – venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell’originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l’imputato non ha avuto modo di difendersi (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 6, 8.6.1998 n. 67539). Sicchè "non sussiste violazione del principio di correlazione della sentenza all’accusa contestata quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l’immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza aver avuto nessun possibilità d’effettiva difesa" (cfr. sez. 6 n. 35120 del 13.6.2003).

Anche più di recente questa Corte ha ribadito il principio che "si ha violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali in modo tanto determinante da comportare un effettivo pregiudizio ai diritti della difesa" (cfr. Cass. sez. 6 n. 12156 del 5.3.2009).

3.1.1) Ha, correttamente, rilevato la Corte territoriale che non vi è stata alcuna immutazione dei termini essenziali della originaria contestazione, essendosi il Tribunale limitato a qualificare diversamente il fatto. In effetti, come emerge palesemente da una mera lettura, l’imputazione contestata al T. conteneva ed indicava espressamente: a) la qualità di rappresentante legale ed amministratore della Comes Costruzioni Mediterranea Scavi con sede in (OMISSIS); b) il trasporto con il camion della predetta società, guidato da un dipendente della medesima, V.N., del materiale inerte di varia natura (catrame, cemento e materiale terroso, in un’area contraddistinta dalle particelle n. 319 fol.3 (di proprietà di S.S.), n. 2 fol.

4 (proprietà di D.V.S.) e n. 151 fol. 4 (di proprietà di C.M.), sita in (OMISSIS); c) la data dell’accertamento ((OMISSIS)). Al T., quindi, risultava indubitabilmente contestata, in fatto, una responsabilità riconducibile al suo ruolo di responsabile della società Comes, dei trasporti di rifiuti non pericolosi effettuati in quell’area (trasformata in una discarica abusiva) ed in particolare il trasporto del (OMISSIS) effettuato dal V.. L’aver "limitato", quindi, la responsabilità al solo episodio del trasporto avvenuto in tale ultima data, non essendo stata raggiunta la prova che anche gli apporti precedenti fossero stati conferiti dalla Comes (e quindi non essendovi la prova della realizzazione e gestione abusiva della discarica), lungi dal costituire una immutazione della originaria contestazione, si risolve in una diversa e più favorevole (perchè limitata) qualificazione giuridica del fatto non più D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 256, comma 3 ma ai sensi dei commi 1 e 2 del medesimo articolo.

3.2) Altrettanto correttamente hanno ritenuto i Giudici di merito che fosse configurabile la responsabilità penale del T. in relazione al trasporto, con l’autocarro di proprietà della società, dei rifiuti non pericolosi di cui all’imputazione. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. pen. sez. 3 n. 6420 del 7.11.2007, dep. 11.2.2008) "Il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 2, comma 3, già prevedeva la responsabilizzazione e la cooperazione di tutti i soggetti "coinvolti", a qualsiasi titolo, nel ciclo di gestione non soltanto dei rifiuti ma anche degli stessi "beni da cui originano i rifiuti" e il D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 178, comma 3, ha puntualmente ribadito il principio di "responsabilizzazione e di cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell1 utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti". Sul punto, pertanto, questa Corte (Sez. 3, 24.2.2004, n. 7746, Turati ed altro) ha rilevato che, in tema di gestione dei rifiuti, le responsabilità per la sua corretta effettuazione, in relazione alle disposizioni nazionali e comunitarie gravano su tutti i soggetti coinvolti nella produzione, distribuzione, utilizzo e consumo dei beni dai quali originano i rifiuti stessi, e le stesse si configurano anche a livello di semplice istigazione, determinazione, rafforzamento o facilitazione nella realizzazione degli illeciti. Il concetto di "coinvolgimento" trovava specificazione nelle disposizioni poste dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 10 ed attualmente D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 188 (fatte salve le ipotesi di concorso di persone nel reato), ma la giurisprudenza di questa Corte Suprema ha specificato che anche la mera osservanza delle condizioni di cui all’art. 10 non vale ad escludere la responsabilità dei detentori e/o produttori di rifiuti allorquando costoro si siano "resi responsabili di comportamenti materiali o psicologici tali da determinare una compartecipazione, anche a livello di semplice facilitazione, negli illeciti commessi dai soggetti dediti alla gestione dei rifiuti" (vedi Cass., Sez. 3, 6.2.2000, n. 1767, Riva).

Il sistema della responsabilità penale, inoltre, nella materia in oggetto, "risulta ispirato ai principi di concretezza e di effettività, con il rifiuto di qualsiasi soluzione puramente formale ed astratta" (vedi Cass. Sez. 3 20.10.1999, n. 11951, P.M., in proc. Bonomelli)". I principi sopra richiamati risultano sostanzialmente ribaditi anche alla luce del D.Lgs. 3dicembre 2010, n. 205 (artt. 2 e 16).

Non c’è dubbio che il reato di cui all’art. 256 cit., comma 1 non sia un reato proprio non dovendo necessariamente essere, integrato da soggetti esercenti professionalmente l’attività di gestione rifiuti, dal momento che la norma fa riferimento a "chiunque". E’ altrettanto indubitabile, però, che in presenza di una attività di gestione svolta da un’impresa vigono i principi sopra richiamati in ordine alla individuazione dei soggetti responsabili. Si è così affermato che "In tema di rifiuti la responsabilità per l’attività di gestione non autorizzata non attiene necessariamente al profilo della consapevolezza e volontarietà della condotta, potendo scaturire da comportamenti che violino i doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda" (In applicazione di tali principi la Corte ha ritenuto la responsabilità dei titolari di una impresa edile produttrice di rifiuti per il trasporto e lo smaltimento degli stessi, con automezzo di proprietà della società, in assenza delle prescritte autorizzazioni" cfr. Cass. pen. sez. 3, 11.12.2003, n. 47432). Anche successivamente è stato ribadito che "In tema di gestione dei rifiuti, il reato di abbandono incontrollato di rifiuti è ascrivibile ai titolari di enti ed imprese ed ai responsabili di enti anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che hanno posto in essere la condotta di abbandono (Fattispecie riguardante un autocarro adibito al trasporto di rifiuti abbandonati in modo incontrollato e condotto da un dipendente del titolare dell’impresa)" cfr. Cass. pen. sez. 3, n. 24736 del 18.5.2007).

3.2.1) Ineccepibilmente, quindi, i Giudici di merito hanno ritenuto che del reato dovesse rispondere il T., nella qualità di responsabile della ditta per conto della quale veniva svolta l’illecita attività, non risultando (non era stato neppure allegato) che egli avesse delegato ad altri ogni responsabilità in relazione allo svolgimento di quell’attività, nè che avesse adottato tutte le misure necessarie per evitare l’illecito di cui alla contestazione.

La Corte territoriale ha, per di più, rilevato che, per le dimensioni ridotte dell’impresa, non era ipotizzabile che la condotta del conducente dell’autocarro si svolgesse al di fuori del controllo e delle direttive del responsabile della impresa medesima. Di tali ridotte dimensioni aveva dato conto lo stesso appellante a pag. 3 dei motivi di appello, non contestando il numero dei dipendenti cui aveva fatto riferimento il Tribunale. Non c’è dubbio che, come ricordato nel ricorso (cfr. pag. 17-18) "Il comportamento illecito del dipendente di un’impresa che, con un’iniziativa esclusivamente personale ed estemporanea, e perciò al di fuori di qualsiasi responsabilità del titolare, abbandoni rifiuti provenienti dalla medesima impresa, non integri il reato di cui al D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 51, comma 2, (ora D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256), ma semmai l’illecito amministrativo di cui all’art. 50, comma 1 citato decreto …" (cass. pen. sez. 3 n. 27275 del 5.6.2007). Ma di tale iniziativa autonoma da parte dell’autista V. non c’è, come ha dato atto la Corte di merito, il benchè minimo aggancio nelle risultanze processuale, risultando piuttosto che il V. non aveva alcun interesse al trasporto e smaltimento dei rifiuti. Quanto alla presunta mancanza di interesse da parte della Comes a smaltire in discariche abusive i rifiuti, a parte il fatto, che, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, non è stato allegato, nè indicato, in modo preciso, se e quando sia stato acquisito il contratto cui si fa riferimento nel ricorso, la "derubricazione" del reato originariamente contestato era stata effettuata dal Tribunale, come da atto lo stesso ricorrente, proprio sul presupposto che non vi era alcuna prova che il materiale abbandonato nella discarica, provenisse dai lavori in corso a (OMISSIS).

3.3) Per quanto riguarda, infine, il trattamento sanzionatorio, il Tribunale aveva ritenuto di concedere le circostanze attenuanti generiche in ragione del loro stato di incensuratezza, con riferimento alla più favorevole disposizione dell’art. 62 bis c.p. vigente all’epoca dei fatti. Riteneva, quindi, che non fossero rinvenibili altri elementi positivi a favore degli imputati e che, tenuto conto di tutti i criteri di cui all’art. 133 c.p. ed in particolare dell’"elevato grado del dolo e della colpa" e della Aggettiva gravità della condotta, professionale ed imprenditoriale", risultasse pienamente giustificata l’irrogazione della pena detentiva nella misura di mesi quattro di arresto. La Corte territoriale, dopo aver preso in esame le censure mosse sul punto alla sentenza di primo grado, ha,a sua volta rilevato che la sanzione detentiva irrogata risultava adeguata, pur tenendosi conto dell’unicità dell’episodio accertato. Ed ha, con motivazione esaustiva ed immune da vizi logici, sottolineato che: a) gli imputati avevano optato per una forma di smaltimento più economica e vantaggiosa a discapito dell’ambiente, b) la condotta era stata posta in essere nell’esercizio di attività professionalmente gestita e quindi nella piena consapevolezza delle modalità legali di trattamento dei rifiuti; c) delle condizioni degli imputati si era già tenuto conto nel riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; d) la sanzione irrogata, di poco superiore al minimo edittale, ed era adeguata alla notevole quantità dei rifiuti trasportati e smaltiti. I Giudici di merito hanno, quindi, adeguatamente argomentato in ordine all’esercizio del potere discrezionale loro riconosciuto nella determinazione della pena.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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