Cass. pen., sez. I 15-11-2007 (08-11-2007), n. 42291 Nozione di parti di arma – Silenziatore

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FATTO E DIRITTO
1. A S.I. venivano sequestrate il 15 settembre 1999, a seguito di una perquisizione eseguita da personale di polizia della Questura di Milano, tra gli altri oggetti, numerose armi da sparo e munizioni, tra i quali un silenziatore calibro 22 marca Unique e una carabina ad aria compressa.
La corte di appello di Milano, con sentenza del 22 dicembre 2005, in parziale riforma della sentenza emessa il 13 marzo 2003 dal gup del tribunale della stessa città, all’esito di un giudizio celebrato con le forme dei rito abbreviato, riteneva lo S. colpevole del reato di cui alla L. n. 497 del 1974, artt. 10 e 14 con riferimento al solo possesso del silenziatore, condannandolo alla pena di mesi due di reclusione e Euro 60,00 di multa, mentre lo mandava assolto dal reato di detenzione illegale della carabina ad aria compressa perchè il fatto non era previsto dalla legge come reato e dichiarava di non doversi procedere in relazione a tutte le altre armi e munizioni sequestrate, dovendosi il reato contestato (L. n. 497 del 1974, artt. 10 e 14) qualificarsi più esattamente come contravvenzione ai sensi del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 221 (t.u.l.p.s.), estintosi nel frattempo per prescrizione. Con la sentenza veniva disposta anche la confisca delle armi e delle munizioni in sequestro, ad accezione della carabina ad aria compresa che veniva restituita allo S., al quale veniva però negata la concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, stante una precedente condanna infintagli dal tribunale militare di La Spezia.
Nel ricorso per cassazione proposto dal difensore di fiducia dello S. per erronea applicazione della legge penale, le censure vertono su due punti: il primo investe l’affermazione della sua responsabilità penale per la detenzione del silenziatore calibro 22 marca Unique, che la corte territoriale ha ritenuto "parte di arma agli effetti della legge penale", e quindi essenziale per la funzionalità della stessa, anzichè come "accessorio inquadrarle nel materiale di armamento", punibile solo in caso di sua utilizzazione mediante l’innesto sulla canna di un’arma, da ricomprendere nell’ambito della previsione residuale dell’art. 697 c.p.; il secondo motivo di ricorso critica la mancata concessione del beneficio di cui all’art. 175 c.p., sul rilievo che la precedente condanna riportata era costituita da una sentenza di patteggiamento risalente al 18 novembre 1993 (divenuta irr. il 7 gennaio 1994) ed era ampiamente decorso il termine di cinque anni previsto dall’art. 445 c.p.p. per l’estinzione del reato e di ogni altro effetto penale.
Il processo, trasmesso in origine alla 7^ sezione penale, è stato restituito a questa Sezione per la trattazione, a seguito di una memoria difensiva presentata dalla difesa dello S. ai sensi dell’art. 611 c.p.p..
2. Il ricorso è solo parzialmente fondato.
Il primo problema posto dall’atto di ricorso è se il possesso di un silenziatore calibro 22 possa essere assimilato a quelle "parti di arma", la cui detenzione illegale è sanzionata dalla L. n. 497 del 1974, art. 14.
Come evidenza la sentenza impugnata, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto di sì, sul rilievo che il silenziatore va considerato "parte di arma" in quanto tale, indipendentemente dall’accertamento della sua riferibilità a un’arma specifica, dal momento che "agli effetti della legge penale costituisce parte di arma non solo ogni parte strettamente necessaria a rendere l’arma stessa atta allo sparo, ma anche quella che contribuisce a rendere l’arma più pericolosa per volume di fuoco o rapidità di sparo, precisione di tiro e simili, ovvero più insidiosa, sempre che, pur avendo una sua autonomia funzionale, si presti a una ricomposizione con l’arma mediante un procedimento di facile e veloce effettuazione, di guisa che risultano penalmente irrilevanti solo le parti di mera rifinitura od ornamento, non aventi cioè riflesso alcuno, nè diretto nè indiretto, sul funzionamento e/o sulla pericolosità dell’arma al momento della sua utilizzazione" (Cass., Sez. 1^, 24 ottobre 2004, n. 41704, Frittelli, Rv 222944).
Da questo orientamento, consolidato da tempo nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., n. 5381 del 1997, Rv. 207819; Id., n. 80 del 1996; Id., n. 6238 del 1994), il Collegio non ritiene di doversi discostare, accogliendo una discutibile e in ogni caso poco convincente distinzione tra "parti" e "accessori" di arma, come quella prospettata dalla difesa, che non è destinata ad incidere assolutamente sulla pericolosità dell’arma. Del tutto fuori di luogo poi appare il tentativo di inquadrare la detenzione di un silenziatore nell’ambito delle previsioni dell’art. 697 c.p., che ha un proprio specifico ambito di applicazione, riguardando la detenzione di armi proprie non da sparo e di munizioni per armi comuni da sparo (Cass., Sez. 1^, 16 marzo 1994, n. 1279, Moschella).
Il primo motivo di ricorso deve essere dunque rigettato.
Fondato è invece il secondo motivo di ricorso, col quale si lamenta la mancata concessione del beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta dei privati, sul rilievo che il predetto beneficio non poteva essere concesso avendone l’imputato già beneficiato in occasione di una precedente condanna infettagli dal tribunale militare di La Spezia.
Come ha osservato giustamente la difesa del ricorrente, il precedente richiamato è una sentenza del tribunale militare di La Spezia risalente al 18 novembre 1983, divenuta irrevocabile il 7 gennaio 1994, con la quale allo S. è stata applicata, su accordo delle parti, la pena di mesi dieci di reclusione per il reato di violenza contro un inferiore, ossia una pena che, cumulata con quella di mesi due di reclusione ed Euro 60,00 di multa infittagli dalla sentenza ora impugnata, rispetta i limiti quantitativi di pena stabiliti dall’art. 175 c.p. ed è quindi reiterabile da parte del giudice di merito (cfr. Corte cost., n. 155 del 1989, in Giur. cost., 1984, 1051).
Alla stregua di questi rilievi, fermo restando che l’art. 445 c.p.p., comma 2 prevede l’estinzione del reato oggetto di patteggiamento ove sia irrogata una pena detentiva non superiore a determinati limiti, è evidente che la scadenza del termine (nel caso in esame: cinque anni, ormai ampiamente decorsi) funge da condizione sospensiva dell’estinzione del reato e di ogni effetto penale (Cass., Sez. Un., 3 maggio 2001, n. 31). Poichè nel caso in esame tra il momento del passaggio in giudicato della sentenza di patteggiamento e la commissione del nuovo reato è trascorso un termine ben superiore a quello necessario per l’operatività dell’art. 445 c.p.p., comma 2, ben poteva la Corte di appello concedere il beneficio richiesto.
La sentenza impugnata va dunque annullata limitatamente alla mancata concessione della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, beneficio che questa Corte concede avuto riguardo al fatto che la sua mancata concessione è dipesa chiaramente da un’erronea applicazione della legge penale e processuale.
P.Q.M.
Visti gli artt, 606, 616 e 620 c.p.p. annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla mancata concessione della non menzione della condanna, che concede.
Rigetta il ricorso nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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