Cass. civ. Sez. V, Sent., 16-12-2011, n. 27160

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Il 4 novembre 2006 la CTR dell’Emilia-Romagna (sez. Parma) ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dal Comune di Piacenza nei confronti di C.F., C.I. e C.L. avverso la sentenza della CTP di Piacenza n. 6/03/2004 che aveva accolto l’istanza di rimborso avanzata dai contribuenti per ICI 1993.

Ha motivato la decisione, rilevando che l’assenza di qualsivoglia sottoscrizione nella copia dell’impugnazione indirizzata alle parti private e la mera apposizione delle dicitura "F.to in originale" costituiva insanabile violazione delle inderogabili prescrizioni del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1 e art. 18, comma 3. Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi e memoria, l’amministrazione comunale; i contribuenti resistono con controricorso.

Motivi della decisione

In applicazione del decreto del Primo Presidente in data 22 marzo 2011, il Collegio ha disposto che sia adottata una motivazione semplificata:

IL ricorso è inammissibile.

1.1.- Con il primo motivo, il Comune ricorrente denuncia violazione di legge (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1 e art. 18, comma 3) e, a pag. 9, formula conclusivamente il seguente quesito di diritto: "In relazione al disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., come modificato da D.Lgs. n. 40 del 2006 si chiede alla Suprema Corre di Cassazione di stabilire quale sia il corretto ambito di applicazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 18 e 53, in relazione all’interpretazione degli stessi fornita dalla Commissione tributaria regionale per l’Emilia Romagna sez. Parma nella sentenza n. 152/22/06 del 19/09/06". 1.2.-Col secondo motivo, il Comune ricorrente denuncia, inoltre, vizio di omessa motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), per non avere la CTR affrontato il merito della vertenza, riguardo all’operatività del comma 2, art. 5 D.Lgs., e, a pag. 15, formula il seguente momento di sintesi: "In relazione quanto sinora sostenuto nonchè al disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., come modificato da D.Lgs. n. 40 del 2006, si chiede alla Suprema Corre di Cassazione di stabilire quale sia il corretto ambito di applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5 comma 2". 2.1.- Il primo motivo è inammissibile, perchè il quesito di diritto, riguardante la sola censura di violazione di legge (art. 360, n. 3), è del tutto lacunoso, tautologico e privo dei riferimenti fattuali necessari ai fini della sintesi originale e autosufficiente richiesta dall’art. 366 bis c.p.c., nell’interpretazione corrente di questa Corte di legittimità (Sez. U 11210/08). Esso avrebbe dovuto comprendere l’indicazione sia della "regula iuris" adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che la parte ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo; la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il mezzo inammissibile (Cass. 24339/08). Nè il quesito di diritto può essere desunto o integrato dal contenuto del motivo, poichè, in un sistema processuale che già prevedeva la redazione del motivo con l’indicazione della violazione denunciata, la peculiarità del disposto di cui all’art. 366 bis, consiste proprio nell’imposizione, al patrocinante che redige il motivo, di una sintesi finale ("…ciascun motivo si deve concludere…"), originale ed autosufficiente, della violazione stessa, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della Corte di legittimità (Cass. 20409/2008).

2.2.-Il secondo motivo resta assorbito, in quanto attinge solo il merito della vertenza in presenza di quaestio litis ingressum impediens. Esso, peraltro, sarebbe inammissibile sia perchè denuncia come omessa motivazione una questione di diritto, sia perchè incorre nelle stesse lacune del primo motivo.

3.-La declaratoria d’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 1.200,00 di cui Euro 1.100,00 per onorario, oltre a spese generali e oneri di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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