Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 18-05-2011) 22-07-2011, n. 29509 Reati edilizi

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso – Con la sentenza qui impugnata, la Corte d’appello ha confermato la condanna per violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c e D.Lgs. n. 42 del 2004, art. 181 pronunciata nei confronti dell’odierna ricorrente accusata di avere "in totale difformità rispetto a quanto assentito, chiuso completamente una veranda coperta tamponandola lateralmente mediante l’installazione di infissi in alluminio e vetro, in area demaniale posta a meno di 300 metri dalla battigia, senza essere in possesso dell’autorizzazione prescritta".

Avverso tale decisione, l’imputata ha proposto ricorso, tramite il difensore deducendo:

1) violazione e falsa applicazione della legge penale da ravvisare nel fatto di avere ritenuto sussistente l’infrazione dell’art. 44, lett. c) e, segnatamente, la "totale difformità" dell’opera laddove il quadro normativo e giurisprudenziale impedisce di ritenere violata tale disposizione in presenza della mera predisposizione di una porta a vetri, in luogo di saracinesca preesistente.

In particolare, si richiama l’attenzione sul fatto che la totale difformità ricorre solo quando si è al cospetto di un organismo edilizio totalmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche e di utilizzazione.

Ricorda, quindi, la ricorrente che la fattispecie in esame concerne la chiusura con infissi dei lati di una veranda coperta a servizio di uno stabilimento balneare e che il muro sul lato fronte mare munito degli infissi incriminati era già assentito come pure esisteva già il diritto di chiudere quello spazio con una serranda (alias saracinesca metallica).

Errano, pertanto, i giudici quando assumono che la chiusura con la porta con ante "a libro" di cui si discute fosse finalizzata a destinare lo spazio a luogo di ristorazione con tavolini perchè questa vocazione dei luoghi era già sussistente ed avrebbe potuto essere realizzata anche con la serranda. Quindi, una volta installate le porte vetrate, peraltro lasciate quasi sempre aperte, non si è verificata alcuna utilizzazione diversa degli spazi ma si è verificata solo un modo più pratico e decoroso di utilizzazione dello spazio (contrariamente a quanto affermatosi a f. 4 della sentenza di primo grado che accenna ad una "maggiore utilità" che avrebbe determinato "trasformazioni tipologiche e planovolumetriche da tale entità da costituire uno stravolgimento complessivo dell’originario progetto"). Si ricordano, a tal fine, decisioni di questa stessa sezione (5.7,05, n. 34142) ove è stato affermato che "il concetto di difformità parziale si riferisce ad ipotesi tra le quali possono farsi rientrare gli aumenti di cubatura o di superficie di scarsa consistenza nonchè le variazioni relative a parti accessorie che non abbiano specifica rilevanza e non siano suscettibili di utilizzazione autonoma" e si richiama l’attenzione sul tenore del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 32 a proposito della definizione di variazione essenziale che ricorre in presenza di una o più delle seguenti condizioni: a) mutamento della destinazione d’uso che implichi variazione degli standards previsti dal D.M. 2 aprile 1968; b) aumento consistente della cubatura o della superficie di solaio da valutare in relazione al progetto approvato; c) modifiche sostanziali di parametri urbanistico-edilizi del progetto approvato o della localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza; d) mutamento delle caratteristiche dell’intervento edilizio; e) violazione delle norme vigenti in materia di edilizia antisismica non attinente e fatti procedurali.

Pertanto, la creazione delle porte a vetro e la rimozione di quelle del chiosco-bar (peraltro tenute sempre aperte in precedenza) non può rientrare nè nella nozione di "difformità totale" nè in quella di "variazione essenziale" perchè non comportano quello stravolgimento dell’opera assentita;

2) violazione di legge penale e processuale da ravvisare nel fatto di avere sostenuto la violazione del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c per carenza del titolo abilitativi e violazione dell’art. 192 c.p.p. per avere erroneamente valutato le risultanze istruttorie come la deposizione dell’ing. B., progettista e direttore dei lavori di ampliamento dello stabilimento balneare il quale ha dichiarato chiaramente che, nel progetto, la parte tratteggiata in corrispondenza dei lati corti della veranda ben si poteva "intendere come chiusura";

3) violazione di legge penale con riferimento all’elemento soggettivo in quanto, per la mancata enunciazione, da parte del Comune di Francavilla, di prescrizioni l’imputata, si era incolpevolmente convinta della liceità della installazione delle porte. Si sarebbe, quindi, dovuto assolvere la E., quantomeno, ex art. 530, comma 2 sotto il profilo psicologico.

La ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

2. Motivi della decisione – Il ricorso è infondato.

Ancorchè tutti i motivi siano stati svolti con l’intento di sostenere che i giudici di merito erano incorsi in una erronea applicazione della legge, l’analisi degli argomenti sviluppati dalla ricorrente testimonia come, nella sostanza, ella cerchi di coinvolgere questa S.C. in una rivalutazione dei dati fattuali.

Detto, in altri termini, ciò che viene introdotto come violazione delle norme è semplicemente un tentativo di rivalutazione delle emergenze processuali per trame conclusioni differenti e più favorevoli alla ricorrente.

Deve, però, rammentarsi che rientra sicuramente nelle competenze di questa S.C. verificare se un fatto affermato come esistente sia invece inesistente ovvero se le argomentazioni della motivazione siano sostenute da elementi di fatto acquisiti in atti e se, in sostanza, il giudice del merito abbia "fotografato" correttamente la realtà sulla scorta di quanto accertato nel provvedimento gravato;

tale verifica, però, non può risolversi in una valutazione della prova al punto da optare per la soluzione che si ritiene più adeguata alla ricostruzione dei fatti, valutando, ad esempio, l’attendibilità dei testi, le conclusioni di periti o consulenti tecnici o esaminando fotogrammi o planimetrie (sez. iv, 17.9.04 n, cricchi, Rv. 229690).

Tutto ciò è di esclusiva competenza del giudice del merito e, nel momento in cui questi abbia fornito una spiegazione plausibile della propria analisi probatoria, l’esame dei dati processuali si esaurisce nella fase dinanzi ad esso essendo preclusa, in sede di legittimità (Sez. n 11.1.07, Messina, Rv. 235716), "la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova".

Tanto premesso, quanto al primo motivo, (sostanzialmente il principale) si deve osservare che la totale difformità dell’opera è stata bene evidenziata nella prima e nella seconda sentenza di merito ove si sottolinea che, nel progetto allegato al permesso di costruire, la veranda viene indicata come chiusa solo sul lato lungo, mentre le due aperture laterali dovevano rimanere aperte e suscettibili di chiusura solo con le preesistenti saracinesche metalliche (così come descritte nella concessione demaniale n. 416/02)".

Ulteriore riscontro obiettivo dell’assunto i giudici lo rinvengono nel dato fattuale che "nel progetto assentito non si indicava graficamente la presenza di infissi sui due lati corti, mentre questi erano indicati (sia graficamente che con annotazione scritta) sul lato lungo".

Come ricordano i giudici, tale ultima circostanza è stata confermata anche dal teste B. che, a proposito della linea tratteggiata, ha riferito trattarsi di una "separazione funzionale".

La querelle sul punto della ricorrente (richiamata anche nei secondo motivo) è più adeguatamente confutata dal giudice di merito con la considerazione logica che "lo stesso progettista lì dove ha voluto indicare l’apposizione di infissi li ha analiticamente disegnati, mentre sui lati corti si è limitato ad un semplice tratteggio che – come egli stesso riferisce – indicano una separazione funzionale tra spazi coperti e scoperti, ma non consentono affatto di desumere la volontà di chiudere con infissi anche ai lati corti della veranda".

L’argomentare del giudice di merito di primo grado viene inglobato a pieno dalla Corte che sottolinea la "portata dirimente delle acute osservazioni del Tribunale" e che viene riassunta osservando che "se fosse stata prevista la chiusura anche dei lati corti della veranda con infissi in alluminio, risulterebbe del tutto incomprensibile a mancata indicazione degli stessi nel disegno della porzione laterale dell’immobile oggetto dei lavori (laddove nella medesima tavola progettuale erano ben evidenziati gli infissi posti a chiusura degli accessi al chiosco preesistente) salvo ad ammettere, come unica ipotesi plausibile sul piano progettuale, che la veranda di nuova realizzazione, dovendo rimanere aperta sui due lati corti giocoforza imponeva il mantenimento delle porte-finestre originariamente esistenti a chiusura del chiosco bar".

Tanto brevemente richiamato, in punto di fatto, a proposito delle principali obiezioni che i giudici di merito hanno mosso a quelle difensive, si ha ancora maggior contezza del fatto – anticipato inizialmente – che la ricorrente, con le proprie argomentazioni odierne, attraverso dotte evocazioni di indirizzi giurisprudenziali in tema di "difformità" (totale o parziale) e di differenze con la nozione di "variazione essenziale", tenta esclusivamente di distogliere l’attenzione dallo sforzo che essa compie di ottenere da questa S.C. una nuova lettura dei medesimi dati processuali già così attentamente e logicamente analizzati dal Tribunale e dalla Corte.

E se ciò vale con riguardo alla disamina operata da questi ultimi circa il progetto e le dichiarazioni del progettista, a fortiori, il rilievo è giusto quando si passa a valutare la correttezza delle considerazioni svolte dai giudici di merito in punto di "maggiore utilitas" che la ricorrente ha tratto dalle opere della cui illiceità si sta trattando.

Nuovamente, la Corte afferma che "colgono nel segno le convincenti considerazioni della sentenza gravata, mutuate dalla forza dimostrativa dei rilievi grafici eseguiti dalla P.G. (v. foto allegate alla relazione n. 44 della Polizia Municipale in data 26 giugno 2006)".

In effetti risulta molto chiaro ciò che il Tribunale afferma in merito quando osserva che "a seguito della chiusura della veranda su tutti i lati, con infissi in alluminio, la E. ha potuto procedere alla rimozione degli infissi posti a chiusura dei varchi di accesso al chiosco originarì e "… in tal modo l’area chiusa è stata apprezzabilmente ampliata di circa 50 mq (come accertato dal P.M.) realizzando una sala in precedenza non esistente nè assentita nel permesso a costruire n. (OMISSIS)".

A tale stregua, del tutto giustificata risulta la conclusione dei giudici di appello quando affermano che "l’opera realizzata ha modificato sostanzialmente l’originario chiosco creando una nuova struttura chiusa, di molto più estesa rispetto a quella preesistente".

Nè vale l’ulteriore rilievo difensivo – qui reiterato – secondo cui le aperture laterali della veranda erano comunque chiuse da saracinesche perchè – e la considerazione è del tutto logica plausibile – se è vero che le saracinesche consentivano ugualmente la chiusura della veranda è anche vero che, "al contempo, ne impedivano la fruizione da parte dei clienti del bar: ben diversa è la possibilità di utilizzo della veranda che è derivata dalla apposizione degli infissi in allumini, posto che questi consentono la fruizione della veranda anche nelle giornate di cattivo tempo, garantendo l’integrale chiusura della veranda e lasciando intatta la sua destinazione funzionale".

A fronte di tali obiettive, argomentate e del tutto logiche considerazioni, di nessun pregio sono le obiezioni – di carattere fattuale – che la ricorrente svolge quando richiama l’attenzione sul fatto che le porte del chiosco bar rimosse erano sempre tenute aperte in precedenza.

Per tutto quanto fin qui detto, infondate ed ingiustificate sono le censure che (nel secondo motivo) la ricorrente muove alla Corte a proposito della valutazione delle parole del teste, progettista, ing. B. ed, ampiamente assorbite ed irrilevanti sono, infine, anche le obiezioni di cui al terzo motivo circa una pretesa buona fede dell’imputata per assenza di prescrizioni da parte del Comune quando ne è in re ipsa evidente la superfluità a fronte di un progetto assentito che chiaramente non includeva le opere diverse poste in essere dalla E..

Nel respingere il ricorso, segue, per legge, la condanna, della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Visto l’art. 615 e ss. c.p.p.;

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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