Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-05-2011) 22-07-2011, n. 29419

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

R.G. ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli in data 16 novembre 2010 che ha confermato la responsabilità dell’imputato, accertata in primo grado a seguito di giudizio abbreviato, in ordine al delitto continuato di tentata rapina di una borsa, di furto con strappo, resistenza, danneggiamento, lesioni volontarie ( artt. 81 e 56 c.p., art. 628 c.p., comma 1; art. 582 e 585 c.p., art. 576 c.p., n. 1; artt. 337, 582 e 585 c.p.; art. 635 c.p., comma 2, n. 3; art. 624 bis c.p., comma 2; art. 582 e 585 c.p.). E’ stata irrogata la pena di anni 3 di reclusione ed Euro 1.200 di multa.

Deduce violazione di legge per essere il giudizio di appello stato celebrato in contumacia malgrado il suo impedimento a comparire in quanto si trovava agli arresti domiciliari per altra causa. Con un secondo motivo deduce che alla tentata rapina deve essere applicato il principio della desistenza rilevando che "l’azione non è mai stata resa irrealizzabile dalla vittima e che, qualora avesse voluto, l’aggressore avrebbe potuto portare senza dubbio a termine l’azione delittuosa ed appropriarsi del bene della persona offesa". Con riferimento al delitto di danneggiamento deduce difettare l’elemento del dolo avendo proseguito la corsa in ciclomotore convinto di potere superare l’ostacolo dell’auto dei Carabinieri. Con altro motivo deduce violazione di legge e mancanza di motivazione con riferimento al delitto di resistenza, essendo stata posta in essere una mera fuga. Deduce anche mancanza di motivazione con riferimento al delitto di lesioni in danno delle due donne, rilevando non essere stato accertato il rapporto causale delle patologie con la tentata rapina e con il furto con strappo. Deduce inoltre la nullità della sentenza per l’omesso riconoscimento delle attenuanti del danno lieve e della restituzione ai sensi del disposto dell’art. 62 c.p., nn. 4 e 6.

Lamenta gli stessi vizi della decisione con riferimento alla graduazione della pena che doveva essere contenuta in misura inferiore.

Il ricorso è infondato. Le doglianze relative alla impossibilità di chiedere autorizzazione al giudice per allontanarsi dal luogo degli arresti domiciliari è stata genericamente avanzata in quanto non sono state indicate nè la data di sottoposizione nè gli altri elementi fattuali che non consentirono al prevenuto di chiedere al magistrato autorizzazione a presenziare in udienza. L’imputato sottoposto ad arresti domiciliari per altra causa, qualora intenda comparire in udienza, ha l’onere di chiedere tempestivamente al giudice competente l’autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio per il tempo necessario, non essendo, in tal caso, configurabile un obbligo dell’autorità giudiziaria procedente di disporne la traduzione (Cass. 2, 24.4.08 n. 21529, depositata 28.5.08, rv.

241007, principio di legittimità assolutamente costante).

Con riferimento al secondo motivo di ricorso si osserva che la Corte di Napoli ha correttamente escluso la desistenza per il rilievo che l’imputato rinunciò a proseguire nell’azione criminosa in conseguenza della resistenza della vittima e per l’opposizione fisica della parte offesa che ha trattenuto la borsa ed il venir meno della convinzione di potere condurre a termine il disegno delittuoso (Cass. 1, 4.2.09 n. 9015, depositata 27.2.09, rv. 2428779). L’esclusione della diminuente è del tutto corretta dal momento che la desistenza volontaria è una circostanza di carattere speciale che trova fondamento nella considerazione utilitaristica di politica criminale secondo cui è opportuno mandare impunito il colpevole di un reato tentato per incentivare l’abbandono di iniziative criminose e per la considerazione che l’agente, il quale volontariamente desiste, dimostra una ridotta volontà criminale. Di conseguenza, pur se non è necessario che si identifichi con la spontaneità, la desistenza deve essere deliberata in una situazione di libertà interiore, indipendente da fattori esterni che influiscano sulla volontà dell’agente limitandone la libera determinazione (Cass. 1, 29.5.97 n. 5037, ud. 8.4.97, rv. 207647; Cass. 6, 18.7.95 n. 7937, ud. 10.3.95, rv. 202577).

Il terzo motivo di ricorso si sostanzia in censure all’accertamento da parte del giudice di merito del dolo eventuale che ha sorretto il delitto di danneggiamento dell’auto dei Carabinieri ferma per sbarrare la sua fuga. La negativa del ricorrente che vede sussistere nella fattispecie l’elemento soggettivo della colpa risulta manifestamente infondata dal momento che il giudice di merito ha debitamente evidenziato la continuità di manovre pericolose poste in essere dal fuggitivo inseguito dai carabinieri, avendo il R. previsto ed accettato il rischio di venire a collidere che l’auto dei verbalizzanti. Anche i restanti motivi di ricorso sono palesemente infondati dal momento che i giudici di merito hanno debitamente accertato che le lesioni patite dal maresciallo dei Carabinieri sono l’effetto delle violenze poste in essere dal prevenuto, come le refertate lesioni patite dalle vittime delle aggressioni sono evidente conseguenza dell’azione violenta portata dall’imputato per impossessarsi delle cose altrui, Deve essere rigettato il ricorso relativo alla negata concessione dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4, avendo correttamente il giudice di merito considerato l’intera entità dei fatti cagionanti un danno non certamente limitato al denaro contenuto nella borsetta, mentre le doglianze proposte per la attenuante della restituzione sono genericamente avanzate a fronte di un recupero di parte della refurtiva dovuto all’intervento della polizia giudiziaria.

Il ricorso proposto in ordine alla graduazione della pena anche per gli aumenti della continuazione è inammissibile in quanto il giudizio sulle circostanze e sulla quantificazione della sanzione deve ritenersi esaurientemente compiuto con il porre in risalto anche una sola delle circostanze suscettibili di valutazione. Nel caso specifico la motivazione è stata esposta con riguardo alle modalità del fatto ed alla entità e gravità delle azioni, non essendo il giudice comunque tenuto a considerare in maniera analitica i singoli elementi di cui all’art. 133 c.p. esponendo per ciascuno di questi le rispettive ragioni che lo hanno indotto a formulare il proprio conclusivo giudizio (Cass. 2, 2.9.00 n. 9387, ud. 15.6.00, rv.

216924).

Al rigetto del ricorso consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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