Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-05-2011) 22-07-2011, n. 29418 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

M.Z.G. ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Cagliari in data 9 luglio 2010 che ha confermato la responsabilità del prevenuto, accertata in primo grado a seguito di giudizio abbreviato in ordine al delitto di rapina aggravata in una filiale di istituto bancario ed alla contravvenzione di porto di coltello ( art. 81 c.p., art. 628 c.p., comma 1 e comma 3, n. 1; L. n. 110 del 1975, art. 4; art. 99 c.p., fatto commesso il (OMISSIS)).

Il difensore deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. E per avere la Corte territoriale reiterato la motivazione dei giudici di primo grado senza dare risposta alle specifiche doglianze proposte con l’atto di appello concernenti la affidabilità di riconoscimenti fotografici di una persona indicata con il volto segnato da cicatrici di acne, rilevando che l’imputato è stato riconosciuto dai testimoni solo perchè la sua foto era l’unica, tra quelle sottoposte in visione, effigiante una persona con il volto segnato da cicatrici.

Con altro motivo deduce violazione di legge per non avere il giudice di merito riconosciuto la continuazione con fatti commessi il (OMISSIS), risultando la unitarietà del disegno criminoso dalla "necessità da parte del condannato di reperire il denaro quale mezzo per soddisfare i suoi bisogni di tossicodipendente".

Il ricorso è infondato. E’ costante principio di legittimità che il giudice di appello può rinviare agli argomenti esposti nella decisione di primo grado per tutte le questioni già esaminate e risolte per le quali non ritiene di aggiungere ulteriori considerazioni. La valutazione del giudice di appello deve essere autonoma nel solo caso in cui con i motivi di appello non siano state poste specifiche questioni per le quali l’apparato argomentativo della sentenza deve essere autonomo ed autosufficiente (Cass. 5, 23.3.00 n. 3751, ud. 15.2.00, rv. 215722; Cass. 1, 14.7.97 n. 6980, ud. 20.6.97, rv. 208257). La motivazione della sentenza di secondo grado può così rinviare a quanto contenuto nella decisione di primo grado quando le censure formulate non contengono elementi di novità rispetto a quanto già esaminato (Cass. 5, 8.4.99 n. 4415, ud.

5.3.99, rv. 213113; Cass. 5, 11.6.99 n. 7572, ud. 22.4.99, rv.

213643) dovendo essere integrata con la sola risposta ai rilievi critici esposti nell’atto di appello (Cass. 4, 9.4.99 n. 4557, ud.

25.2.99, rv. 213135). Nella concreta fattispecie la Corte territoriale ha nuovamente considerato le specifiche doglianze anche oggi reiterati con il ricorso rilevando che la descrizione del rapinatore effettuata da tutti i testi è perfettamente aderente alle fattezze del prevenuto che è stato riconosciuto da quattro persone presenti all’interno della banca su cinque alle quali sono state mostrate le foto segnaletiche. La Corte di merito ha debitamente posto in risalto la valenza della individuazione dell’impiegata che fu minacciata con il taglierino puntato alla gola nonchè quella di altro teste che ha riconosciuto il ricorrente per le sue fattezze somatiche e non per il volto butterato; il giudice di primo grado ha poi evidenziato la comunanza di tratti somatici riportati dalle fotografie sottoposte all’esame dei testimoni.

E’ manifestamente infondato anche il ricorso relativo al diniego di continuazione con i reati commessi il (OMISSIS) essendo le doglianze esclusivamente fondate sul dato temporale e su un non documentato stato di tossicodipendenza. Al riguardo deve essere confermata la giurisprudenza di legittimità che statuisce che l’istituto della continuazione ha la sua ragion d’essere nel minore disvalore sociale di reati posti in essere da unico progetto criminoso; ha natura esclusivamente soggettiva con riferimento al singolo autore dei fatti specifici e non può essere estesa a ciascun correo. La decisione di commettere reati deve essere presa dall’agente in un momento precedente la consumazione del primo reato, mentre gli altri reati devono essere stati già programmati almeno nelle loro linee essenziali. Non rientrano quindi nell’istituto della continuazione tutti quei fatti costituenti reato che siano riferibili rispetto al primo delitto esclusivamente per essere espressione o di mera occasionalità ovvero di abitualità e di costume di vita. L’unicità dell’intento criminoso non va pertanto confusa con l’inclinazione a commettere reati della stessa indole (Cass. 13.5.96 n. 1146, c.c. 21.2.96, rv. 204608). Tanto deve essere confermato anche dopo la modifica normativa dell’art. 671 c.p. introdotta dal D.L. n. 272 del 2005, art. 4 vicies che con norma sostanziale (Cass. 1, 8.11.06 n. 369 depositata 14.11.06 rv. 235028) dispone: "fra gli elementi che incidono sull’applicazione della disciplina del reato continuato vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza". Questa norma impone la valutazione dello stato di tossicodipendenza, che, si ripete, il giudice di merito ha ritenuto non essere stata documentata, come condizione che può unire una pluralità di delitti che risultino indotti e determinati da detto stato. Peraltro nella concreta fattispecie il giudice del merito ha correttamente applicato la novella ora richiamata in quanto in fatto ha accertato che non è stato nemmeno dedotto alcun disegno unitario in delitti consumati in posti lontani con tempistica non immediatamente prossima. Ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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