Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-05-2011) 22-07-2011, n. 29415 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

D.N.M. ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Milano in data 20.9.2010 che ha confermato la responsabilità dell’imputato, accertata in primo grado a seguito di giudizio abbreviato in ordine al delitto continuato di concorso in rapina continuata consumata e tentata in danno di due supermercati, di ricettazione di autovettura rubata nonchè di violazione degli obblighi inerenti la misura della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno ( artt. 81, 110 e 56 c.p., art. 628 c.p., comma 1 e comma 3, n. 1; art. 648 c.p., art. 61 c.p., n. 2; art. 628 c.p., comma 1 e comma 3, n. 1; L. n. 1423 del 1956, art. 9). Eccepisce la nullità del decreto di citazione per il giudizio di appello emesso in data 5.6.2010 in quanto contenente una erronea data di fissazione di udienza in giorno festivo, deducendo che il successivo decreto integrativo indicante la esatta data del 20.9.2010 deve essere dichiarato nullo perchè non "rinnovato e compilato per intero in ciascuno dei suoi elementi costitutivi ex art. 601 c.p.p., comma 6 e art. 429 c.p.p., lett. F. Deduce inoltre vizio di motivazione per essere la prova di colpevolezza fondata sulle sole dichiarazioni confessorie dell’imputato, peraltro non attinenti anche alla violazione degli obblighi. Definisce incongruente l’accertamento degli elementi costitutivi del tentativo di rapina; deduce che le attenuanti generiche dovevano essere concesse per la condotta processuale e lamenta la carenza di motivazione in ordine al diniego dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4.

Il primo motivo ricorso è manifestamente infondato. L’art. 465 c.p.p., prevede la possibilità per il Presidente del Tribunale o della Corte di Assise, una volta ricevuto il decreto che dispone il giudizio, di anticipare l’udienza o differirla, per giustificati motivi (comma 1) e stabilisce che il decreto debba essere comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti private, alla persona offesa ed ai difensori, fermi restando i termini di cui all’art. 429 c.p.p., commi 3 e 4, almeno sette giorni prima della nuova udienza (comma 2). Tale disposizione consente alle parti processuali di venire a conoscenza dei rinvii disposti fuori udienza e di essere quindi posti in condizione di partecipare all’udienza rinviata a data diversa da quella già programmata. Nel mentre invero i rinvii disposti in udienza vengono dati oralmente ed essi sostituiscono le citazioni e le notificazioni per coloro che sono comparsi o debbono considerarsi presenti ( art. 477 c.p.p., comma 3), quelli disposti fuori udienza non possono che essere comunicati alle parti private ed ai loro difensori con le forme delle notificazioni. Sicchè l’eventuale omissione determina una nullità riconducibile all’art. 178 c.p.p., lett. c), incidendo sull’intervento, assistenza e rappresentanza dell’imputato e delle altre parti private. Tanto non è avvenuto nella concreta fattispecie in cui il difensore e l’imputato sono stati posti in grado di conoscere ed hanno personalmente partecipato all’udienza differita alla data corretta che è stata loro comunicata ad integrazione del precedente decreto contenente tutti i dati previsti dall’art. 429 c.p.p..

Il ricorso relativo al vizio di motivazione è parimenti inammissibile. Le S.U. della Corte (S.U. 24.9.03, Petrella) hanno confermato che l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. In conclusione il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6, 6 giugno 2002, Ragusa). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv 207944 Dessimone).

Deve invece affermarsi che nella concreta fattispecie la Corte territoriale ha espresso un giudizio probatorio non illogico e del tutto incontrovertibile avendo accertato che il prevenuto confesso è stato fotografato mentre rubava la Ford Fiesta usata per la rapina;

è stato quindi sorpreso dai Carabinieri nell’atto di assaltare il secondo supermercato trovandosi in luogo diverso dal comune di soggiorno.

Le doglianze per l’attenuante del danno di particola tenuità sono genericamente proposte non indicando il motivo che avrebbe dovuto indurre i giudici a concedere la circostanza favorevole. Inoltre per le generiche si osserva che il giudizio sulle circostanze e sulla quantificazione della sanzione deve ritenersi esaurientemente compiuto con il porre in risalto anche una sola delle circostanze suscettibili di valutazione. Nel caso specifico la motivazione è stata esposta con riguardo ai numerosi precedenti, non essendo il giudice comunque tenuto a considerare in maniera analitica i singoli elementi di cui all’art. 133 c.p. esponendo per ciascuno di questi le rispettive ragioni che lo hanno indotto a formulare il proprio conclusivo giudizio (Cass. 2, 2.9.00 n. 9387, ud 15 6 00 rv 216924).

L’impugnazione è pertanto inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1,000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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