Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-05-2011) 22-07-2011, n. 29412

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

G.S. ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna in data 3 giugno 2010 che ha confermato la responsabilità del prevenuto, accertata in primo grado a seguito di giudizio abbreviato, in ordine al delitto continuato di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione in danno di P.L.I. e L.A., di rapina di un cellulare e di un passaporto della L., di tentata estorsione della somma di Euro 3.000 in danno della stessa e di porto di un coltello a serramanico.

E’ stata determinata la pena in anni 3 mesi 4 di reclusione ed Euro 8.000 di multa.

Il difensore deduce contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione che ha omesso di considerare una serie di anomalie presenti nella denuncia atteso che al momento dell’intervento della Polizia la P. aveva il denaro all’interno della sua giacca, mentre la L. ha dichiarato di avere autonomamente praticato la prostituzione. Rileva che il solo prelevare la denunciante dal posto di lavoro non costituisce concreto ausilio dell’attività di meretricio stante il rapporto sentimentale tra la stessa L. e l’imputato. Con altro motivo deduce lo stesso vizio motivazionale con riferimento al diniego di riconoscimento della continuazione con i fatti giudicati dal Tribunale di Bologna con sentenza n. 1037/08, considerato che la stessa decisione oggetto di ricorso riconosce che il G. ha "abitudine a trarre dal lenocinio i proventi necessari al proprio sostentamento".

Il ricorso che si limita a proporre censure solo con riferimento ai delitti inerenti la prostituzione, è manifestamente infondato. Le S.U. della Corte (S.U. 24.9.03, Petrella) hanno confermato che l’illogicità della motivazione censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. In conclusione il compito del giudice di legittimità è quello di stabilire se il giudice di merito abbia nell’esame degli elementi a sua disposizione fornito una loro corretta interpretazione, ed abbia reso esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti applicando esattamente le regole della logica per giustificare la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (Cass. 6, 6 giugno 2002, Ragusa). Esula infatti dai poteri della Corte di Cassazione quello di una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Cass. S.U. 2.7.97 n. 6402, ud. 30.4.97, rv.

207944, Dessimone). Il giudice di merito inoltre non è tenuto a confutare ogni specifica argomentazione dedotta con l’atto di appello. Il concetto di mancanza di motivazione non include ogni omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori perchè un elemento probatorio estrapolato dal contesto in cui esso si inserisce acquista un significato diverso a quello attribuibile in una valutazione completa delle prove acquisite (Cass. 1, 22.12.98 n. 13528, ud. 11.11.98, rv. 212053). Non può quindi dedursi vizio di motivazione per avere il giudice di merito trascurato uno o più elementi di valutazione che ad avviso del ricorrente avrebbero potuto o dovuto portare ad una diversa valutazione, perchè ciò si tradurrebbe in una rivalutazione del fatto preclusa in sede di legittimità (Cass. 5, 17.4.00 n. 2459, Garasto; Cass. 1, 11.6.92 n. 6922, ud. 11.5.92, Cannarozzo).

Deve invece affermarsi che nella concreta fattispecie la Corte territoriale ha espresso un giudizio probatorio non illogico avendo accertato che le analitiche e precise dichiarazioni della L., così come riportate nella decisione di primo grado, hanno avuto il conforto di quelle della P. che ha ammesso di essere stata favorita nella sua attività dal G. che l’accompagnava, le portava il cibo e la andava a riprendere, nel rinvenimento del coltello usato per la tentata estorsione, nelle dichiarazioni della vicina di casa che vide la L. calarsi dal sovrastante appartamento terrorizzata e la aiutò per raggiungere il posto di polizia. Il secondo motivo è assertivamente proposto avendo l’imputato dedotto sussistere il vincolo della continuazione per la sola reiterazione nel tempo di analoghi delitti senza avere adempiuto all’onere di porre in evidenza le specifiche ragioni dalla cui prospettazione i giudici dell’impugnazione possano trarre elementi per ravvisare, sotto il profilo sia oggettivo che soggettivo, l’unicità del disegno criminoso. La costante e mai contraddetta giurisprudenza di legittimità al riguardo (Cass. S.U. 21.4.79, Chiarugi; Cass. 27.10.88, De Dominicis; Cass. 6.11.81, Folta) ha evidenziato l’insufficienza della mera indicazione della sentenza cui si assume i fatti essere stati commessi in continuazione ove non siano indicati dall’appellante gli elementi dimostrativi di un programma unitario di attività delinquenziale per una persistente condotta antigiuridica comprensiva dei diversi fatti reato lontani di oltre un anno tra di loro.

L’impugnazione è pertanto inammissibile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonchè al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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