Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-04-2011) 22-07-2011, n. 29570

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ordinanza emessa il 3 dicembre 2009, il Tribunale del riesame di Napoli confermava il provvedimento datato 26 ottobre 2009, con cui il giudice per le indagini preliminari aveva disposto la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di P.S. in relazione ai delitti di partecipazione all’associazione camorristica denominata "clan Mazzarella" (dedita, tra l’altro, ad attività usurarie) e ad uno specifico reato di usura ai danni dei fratelli V. (capi nn. 1 e 15 della contestazione provvisoria).

2. Risultava dall’ordinanza impugnata che i fratelli V., – sottoposti a forti pressioni da parte di I.A. (esponente del gruppo malavitoso) finalizzate al pagamento di un credito usurario – si erano rivolti alla P. (moglie di uno dei M.) perchè intercedesse a loro favore presso la suocera C.A. (moglie di M.G.). L’intervento delle due donne aveva sortito l’effetto sperato dai debitori, che avevano ottenuto una dilazione di pagamento.

Secondo i giudici di merito, l’efficace intervento della P. e della suocera nella vicenda, dimostrava l’inserimento di entrambe nel clan Mazzarella, apparendo del resto logico e conforme alla consuetudine, che stante la detenzione dei rispettivi mariti, entrambi capi clan, le mogli avessero assunto un ruolo nel sodalizio.

Altra circostanza ritenuta dal Tribunale significativa della partecipazione della P. al sodalizio criminoso capeggiato dal marito e dal suocero era quella relativa ad un fatto di estorsione in danno di un soggetto che lamentava di essere contemporaneamente taglieggiato da un altro clan, oltre che dal sodalizio guidato dai M..

In ordine a tale fatto non era stata emessa misura cautelare nei confronti della P., che i giudici territoriali ritenevano però pur marginalmente coinvolta nella vicenda in termini comunque confermativi della sua appartenenza al sodalizio.

La donna era stata infatti chiamata in causa dalla vittima che, aveva manifestato l’intenzione di inviare per suo tramite un "fiore" (cioè una rata della tangente periodicamente versata al clan Mazzarella) al di lei marito, all’epoca detenuto.

3. La Corte di cassazione, investita dell’impugnazione di legittimità della P., con sentenza del 6.5.2010 annullava con rinvio l’ordinanza impugnata.

3.1 Riteneva il giudice di legittimità che il Tribunale del riesame avesse confermato l’ordinanza applicativa della misura cautelare senza rispondere agli specifici motivi, contenuti in una memoria scritta della difesa, depositata nell’udienza di riesame, peraltro espressamente menzionata nella premessa descrittiva dell’ordinanza impugnata.

In tale memoria il difensore aveva trascritto talune specifiche conversazioni telefoniche, intercettate nel luglio 2008 ed acquisite agli atti, relative all’incontro dei V. con la coppia P. – C., ed alla ragione della conoscenza che le due donne avevano delle pressioni della I..

Di tali conversazioni non vi era cenno nel provvedimento impugnato, pur essendo stato prospettato al Tribunale del riesame che il loro contenuto e la loro sequenza cronologica renderebbero impossibile e illogica la ricostruzione e l’interpretazione offerta dal Tribunale sul ruolo svolto dall’indagata nella vicenda usuraria ai danni dei V., tanto più che da talune conversazioni emergerebbe la concessione, da parte della C., di un prestito gratuito in favore delle persone offese, in relazione al quale la C., avrebbe dato disposizioni ad una figlia.

3.2 Analoga omessa motivazione rilevava il Collegio in ordine al colloquio oggetto di intercettazione nel quale compariva l’accenno relativo al "fiore" da mandare al marito della P..

Trattandosi di punti rilevanti sul piano, della valutazione indiziaria, la ricostruzione dei giudici di merito sarebbe stata legittima soltanto se avesse preso in considerazione e logicamente disatteso la diversa interpretazione difensiva, con espressa motivazione sugli specifici, articolati e argomentati motivi svolti nella memoria sottoposta al Tribunale del riesame.

Essendo però mancata la motivazione su tali decisivi elementi, il discorso giustificativo in ordine alla doppia contestazione (capi 1 e 15), appariva quindi claudicante, oltre che incentrato prevalentemente sulla posizione della C. più che su quella della P. (nemmeno menzionata nella parte dedicata all’ipotesi associati va, per quanto anche la ricorrente fosse citata come promotrice e organizzatrice nella contestazione provvisoria).

3.3 Osservava infine il Collegio che nell’ordinanza impugnata non si rinveniva alcuna replica all’osservazione difensiva circa la mancanza di riferimenti alla P. da parte dei numerosi collaboratori esaminati, omissione tanto più singolare in relazione al ruolo apicale nei sodalizio criminoso attribuito alla donna dall’accusa, senza che tali carenze potessero essere minimamente compensate dall’affermazione secondo cui "appare logico e conforme alla consuetudine che, stante la detenzione dei rispettivi mariti, entrambi capi clan, le mogli abbiano un ruolo nel sodalizio", affermazione che finiva con l’affidare ad una troppo generalizzante massima di esperienza ciò che doveva invece essere oggetto di specifico e concreto apprezzamento valutativo ex art. 273 c.p.p..

4. Con successiva sentenza del 4 giugno 2010 la Corte cassazione annullava con rinvio anche l’ordinanza dello stesso Tribunale del riesame del 2 dicembre 2009, confermativa del provvedimento datato 26 ottobre 2009 con cui il giudice per le indagini preliminari aveva disposto la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti della summenzionata C., accusata degli stessi reati attribuiti alla P. (capi nn. 1 e 15 della contestazione provvisoria).

4.1 I motivi dell’annullamento sono in parte coincidenti con quelli esposti nella sentenza del 6.5.201 in ordine alla rilevanza indiziaria delle concrete modalità del coinvolgimento della C. nella vicenda usuraria riguardante i fratelli V..

Il Tribunale aveva ritenuto che la vicenda configurasse il concorso dell’indagata nelle attività d’usura riferibili al clan Mazzarella, e che costituisse inoltre riscontro delle dichiarazioni rese dal collaborante Mi.Gi. sulla partecipazione della C. al clan Mazzarella con ruolo di promotrice e organizzatrice.

Altra circostanza valorizzata dal Tribunale per affermare la partecipazione della C. al sodalizio criminoso capeggiato dal marito e dal figlio (rispettivamente M.G. e F.) era quella relativa al colloquio tra tali D.G. e A., nel corso del quale, secondo i giudici di merito, si faceva riferimento proprio alla C., indicata dagli interlocutori con il suo nome di battesimo, la cui figura veniva in rilievo come quella di un personaggio in posizione di vertice all’interno del clan. 5. Anche in ordine a tale pronunciamento del tribunale del riesame, la Corte di legittimità rilevava che i giudici territoriali avevano confermato l’ordinanza applicativa della misura cautelare senza rispondere agli specifici motivi, contenuti in una memoria scritta depositata dalla difesa nell’udienza di riesame, nella quale si evidenziava che il contenuto di alcune intercettazioni telefoniche (le stesse che riguardano anche la P.) sarebbe incompatibile con la ricostruzione dei fatti operata dall’accusa e con il presunto ruolo criminale svolto dalla C. nella vicenda usuraria che aveva riguardato i fratelli V..

5.1 Analoga lacunosa motivazione rilevava il Collegio in ordine al colloquio D.G. – A., in cui si faceva riferimento ad una donna di nome A..

Nella memoria scritta depositata al Tribunale, sulla base anche di determinate intercettazioni di conversazioni telefoniche, la difesa aveva infatti svolto uno specifico e articolato motivo volto ad evidenziare lacune e confusioni nell’identificazione della nominata A., da parte del g.i.p. (con specifico riferimento alla fonte della notizia sulla ricerca della casa per il figlio) ed a identificarla in persona diversa dalla C..

Il Tribunale aveva però confermato (p. 39) la ricostruzione operata dal giudice per le indagini preliminari, senza farsi carico delle non generiche censure mosse dal richiedente il riesame.

In mancanza di motivazione su tali decisivi elementi, la Corte riteneva pertanto significativamente lacunoso il discorso giustificativo in ordine alla doppia contestazione (capi 1 e 15), tanto più che nell’ordinanza non si era in nessun modo replicato all’osservazione difensiva circa l’anomalia dell’isolato riferimento all’indagata da parte di uno soltanto dei numerosi collaboratori sentiti nel corso del procedimento, pur essendo stato contestato alla donna un ruolo apicale nel sodalizio criminoso.

5.2 La Corte censurava, inoltre, l’affermazione dei giudici del riesame secondo cui "appare logico e conforme alla consuetudine che, stante la detenzione dei rispettivi mariti, entrambi capi clan, le mogli abbiano un ruolo nel sodalizio". 6. Con ordinanza del 24.11.2010, infine, il Tribunale della Libertà di Napoli, decidendo in sede di rinvio sulle richieste di riesame delle due imputate, nel frattempo riunite, confermava ancora una volta nei confronti di entrambe il provvedimento cautelare impugnato.

6.1 I giudici territoriali partivano dalla valutazione della posizione associativa, all’interno del clan Mazzarella, di I. N., moglie di E.A. detto " T. (OMISSIS)", e dello stesso E..

Analizzavano quindi nel dettaglio i fatti di usura ed estorsione subiti dai fratelli V. ad opera della I., e ricostruivano modi e tempi del successivo intervento della P. e della C. a favore delle vittime, a partire dal mese di Luglio del 2008, quando i due fratelli si erano rivolti alle due donne per ottenere un "alleggerimento" delle pressioni usurarie. Nel provvedimento è ampiamente trascritto il contenuto di alcune conversazioni telefoniche, dalle quali i giudici del riesame traggono il convincimento della esistenza di interessi criminali delle due indagate nella vicenda e di un potere di intervento in fatti riguardanti la cosca di presunta appartenenza, implicante una posizione di vertice all’interno dell’organizzazione, che sarebbe peraltro naturale promanazione, secondo collaudate consuetudini criminali, del loro rapporto di coniugio con i capi clan all’epoca detenuti (vedi le considerazioni svolte a pag. 13 e 14 dell’ordinanza).

6.2 Sui punti di criticità segnalati dalla sentenza di annullamento della precedente ordinanza di riesame, i giudici territoriali rilevavano:

a) la ricostruzione offerta dall’accusa non poteva ritenersi validamente contrastata dalla tesi difensiva diretta a ricondurre l’intervento della P. e della C. a ragioni diverse dalla comune appartenenza di entrambe, in posizione di vertice, al clan Mazzarella, ragioni legate, in particolare, alla considerazione del rapporto sentimentale all’epoca intrattenuto tra un figlio della P. (e nipote della C.) e la figlia di uno dei fratelli V.. Ad avviso del Tribunale, infatti, il legame affettivo tra i due ragazzi avrebbe potuto costituire la ragione per la quale i V. confidavano nell’intervento delle due imputate, ma non avrebbe potuto spiegare l’autorità con la quale le stesse erano intervenute nella vicenda usuraria ottenendo effettivamente la moderazione delle pretese della I.. Peraltro, il collaborante Mi.Gi. era stato esplicito nell’indicare la C. come personaggio di riferimento all’interno della cosca per la gestione della attività usurarie, e il contenuto delle conversazioni indicate dalla difesa non deponeva affatto a favore della tesi di un intervento "umanitario" o per ragioni familiari. Nemmeno la vicenda del prestito a titolo gratuito concesso ai due V. dalla P. sarebbe incompatibile con la prospettazione accusatoria, esprimendo soltanto un segno di "attenzione" nei confronti delle persone offese per i particolari rapporti tra i due nuclei familiari legati al fidanzamento tra i due ragazzi, ma anche la volontà della donna di chiudere la questione con i V., stabilendo per il futuro le opportune distanze, come poteva desumersi dal fatto che la P. non si era incaricata personalmente della consegna della somma di denaro agli interessati, ma l’aveva affidata alla figlia N.. b) L’identificazione nella persona della C. della donna di nome " A." alla quale si erano riferiti D.G.V. e A.E. in un colloquio intercettato, doveva essere ribadita, considerando che l’ipotesi difensiva che si trattasse della moglie o della convivente di un tale " M. (OMISSIS)", non aveva trovato alcun riscontro in atti. Peraltro, convergeva sulla figura della C. anche l’annotazione di pg riportata nella sintesi del progressivo 5619 secondo cui " L." aveva affermato di avere avuto contatti con la signora A. in quanto la stessa stava cercando casa per il figlio, essendo emerso che in quel periodo la C. effettivamente era impegnata nella ricerca di un’abitazione per conto del figlio. Non meritavano accoglimento le contestazioni difensive sull’attendibilità di tale indicazione processuale, e si tratterebbe, peraltro, di questione nemmeno decisiva, in concreto, ai fini delle valutazioni del caso. c) la vicenda del "fiore" che un tale Ma. aveva manifestato l’intenzione di recapitare a M.F. per il tramite della P. era valutata dal tribunale nei termini di un ribadito significato indiziante, in quanto confermativa del ruolo di intermediaria nelle illecite attività del marito svolto dalla donna, indipendentemente dal suo effettivo intervento. D’altra parte, la tesi difensiva della spontaneità della elargizione concepita dal " Ma." doveva ritenersi inverosimile. d) la scarsa diffusione, nell’ambiente associativo, della notizia che le due imputate avevano assunto un ruolo di vertice all’interno del clan Mazzarella, poteva spiegarsi con la considerazione che si trattava di un fatto recente, determinato dallo stato di detenzione dei rispettivi mariti e capi clan, anteriormente al quale la necessità di un coinvolgimento diretto di entrambe nella gestione nel clan evidentemente non si era posta.

3.2. Infine, i giudici del riesame si soffermavano sui nuovi contributi dichiarativi offerti sul conto delle due imputate da E.A., marito della I.N., divenuto nel frattempo autore di una scelta di collaborazione con la giustizia.

Ricordava il Tribunale che l’ E. aveva delineato l’adesione delle indagate al clan Mazzarella in termini assolutamente conformi a quanto emergeva dagli atti di indagine acquisiti in precedenza, confermando che esse avevano il compito di tenere la cassa del clan e di sovrintendere alle attività di usura e, più in generale, di gestire le attività della cosca uniformandosi alle direttive dei rispettivi coniugi detenuti. Si legge nell’ordinanza che l’ E. era stato, in particolare, chiarissimo nel riferire che la cassa del clan, dove affluiva il 50% dei proventi di tutte le attività illecite dei singoli associati, era tenuta da C.A., moglie di M.G.. Secondo il collaborante, il personaggio di riferimento delle attività usurarie era stato, peraltro, fino al suo arresto, M.F., che aveva successivamente disposto che il denaro proveniente dalle attività delittuose della cosca venisse consegnato alla moglie P.S., che aveva mantenuto le redini del clan, occupandosi anche degli "stipendi" dei singoli associati. Analoghe indicazioni di un ruolo egemone all’interno dell’associazione il dichiarante formulava anche nei confronti di C.A., che sarebbe stata in sostanza la "mandante" della I. nella vicenda V.. L’ E. aveva ancora precisato i nominativi di alcuni soggetti che si sarebbero prestati a "cambiare" gli assegni rilasciati dalle vittime delle attività usurarie del clan, costrette a subire un tasso di interessi del 6% mensile.

Le dichiarazioni dell’ E. dovevano considerarsi, secondo il Tribunale, che riteneva pertanto di dovere disattendere le deduzioni formulate al riguardo dalla difesa con apposita memoria scritta, coerenti, circostanziate ed attendibili, per tutte le ragioni particolarmente indicate alle pagg. 25 e ss. dell’ordinanza.

4. Hanno proposto ricorso la P. e la C. per mezzo del proprio difensore, per i seguenti motivi. a) violazione di legge ex art. 606, lett. c) in relazione agli artt. 125 e 178 c.p.. b) manifesta illogicità e mancanza della motivazione sui punti decisivi del discorso | giustificativo, ai sensi dell’art. 606, lett. E);

c) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione anche in dipendenza del vizio di travisamento della prova risultante dal raffronto del testo del provvedimento con gli atti specificamente indicati dalla difesa davanti al giudice del riesame (art. 606, lett. e, ultimo inciso);

d) difetto di motivazione su specifiche e decisive doglianze formulate dalla difesa con la memoria depositata all’udienza del 19.10.2010 (art. 606, lett. e);

e) violazione di legge e mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni rese da Mi.Gi. ed E.S. ( art. 606 c.p.p., in relazione all’art. 273 c.p.p., comma 1 bis e art. 192 c.p.p., comma 3);

f) mancanza grafica della motivazione in ordine alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia S.V., ed alle dichiarazioni di B.E., + ALTRI OMESSI decisive in ordine alla valutazione dei fatti oggetto di imputazione.

Le argomentazioni a sostegno delle censure sono però sviluppate in maniera "promiscua", senza tener conto delle singole articolazioni indicate in premessa. In concreto la difesa lamenta:

1) il riferimento dei giudici del rinvio all’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti di I.A., sulla quale la difesa non sarebbe stata messa in grado di interloquire, avendone conosciuto l’esistenza solo dopo il deposito del provvedimento;

2) il travisamento delle dichiarazioni di E.S. nella parte relativa alla presunta società occulta della moglie I. N. con il M. o con le due indagate, così come riguardo al ruolo direttivo di queste ultime nel sistema di usure facente capo al clan Mazzarella; nel ricorso sono riportati alcuni stralci delle dichiarazioni del collaboratore;

3) l’omessa considerazione delle dichiarazioni di alcuni testi che consentirebbero di riferire l’origine dei rapporti usurari ai rapporti commerciali tra le vittime e i coniugi E. e, quindi, a causali diverse dalle attività del gruppo mafioso.

4) La sovrapponibilità delle argomentazioni dei giudici del rinvio a quelle già censurate in sede di legittimità e la mancata risposta del Tribunale del riesame ad alcune notazioni difensive;

5) L’illogica valorizzazione delle dichiarazioni del Mi., le cui conoscenze dovrebbero arrestarsi al 2005, essendo lo stesso in stato di detenzione dal Gennaio 2006;

6) L’erronea valorizzazione dell’inciso riportato nel progressivo 5619 dei brogliacci delle trascrizioni di pg, dal quale si trarrebbe conferma della circostanza che la C. stava cercando casa per il figlio; l’argomento è minuziosamente sviluppato in ricorso (pagg.

19-28);

7) La mancata risposta alle obiezioni difensive formalizzate nella memoria depositata il 19.10.2010, riguardante, tra l’altro, le incoerenze e contraddizioni rilevabili nelle dichiarazioni di E.S.; la memoria è allegata al ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

1. Dall’ampia, precedente rassegna dei contenuti del nuovo intervento dei giudici del riesame si desume che in sede di rinvio il Tribunale ha dato sufficiente risposta alle questioni il cui approfondimento era stato sollecitato dalla sentenza di annullamento, valendosi, peraltro, dell’elemento indiziario sopravvenuto costituito dal contributo dichiarativo dell’ E.. Non convincono, e non sono comunque particolarmente incisivi, i rilievi con cui la difesa ha cercato di insidiare la tenuta logico-giuridica anche della nuova ordinanza, che verranno di seguito esaminati secondo la progressione più conveniente dal punto di vista dell’ordine logico delle questioni.

2. Va premesso, anzitutto, che la motivazione di un provvedimento giudiziario non è censurabile in sede di legittimità per il suo silenzio su specifiche deduzioni prospettate col gravame quando le stesse trovano adeguata confutazione nel complessivo percorso argomentativo della decisione. Pertanto, per la validità della pronuncia non è necessario che il giudice di merito sviluppi nella motivazione la specifica ed esplicita confutazione della tesi difensiva disattesa, essendo sufficiente per escludere la ricorrenza del vizio che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della deduzione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa. Sicchè, ove il provvedimento indichi con adeguatezza e logicità quali circostanze ed emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del convincimento del giudice, sì da consentire l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata, non vi è luogo per la prospettabilità del denunciato vizio di preterizione (su questi principi, cfr. Corte di Cassazione Nr. 01307 del 26/09/2002 Delvai; Cass. Pen. Sez. 2, nr. 29434 del 19/05/2004, Candiano ed altri). Detti principi sono coerenti con l’istanza fondamentale della sintesi oggetto della specifica prescrizione dell’art. 544 c.p.p., comma 1, che corrisponde all’ovvia esigenza di escludere che l’adeguatezza del costrutto motivazionale di un provvedimento giudiziario si misuri su un mero confronto "aritmetico" tra deduzioni difensive e risposte del giudice, favorendo incontrollabili e strumentali proliferazioni argomentative di parte. Va ulteriormente sottolineato che l’incompletezza della motivazione di un provvedimento impugnato deve essere apprezzata in relazione a quelle specifiche doglianze che siano dotate del requisito della decisività (Corte di Cassazione nr 35918 17/06/2009 SEZ. 6, RIC. Greco) e che, infine non costituisce causa di annullamento della sentenza impugnata il mancato esame di un motivo di appello che risulti manifestamente infondato (Corte di Cassazione Sez. 4, 17/04/2009 Ignone e altri).

3. Alla luce dei principi su esposti, non può stavolta attribuirsi rilievo decisivo alla presunta, mancata risposta dei giudici territoriali alla nuova memoria difensiva depositata dalla difesa in sede di rinvio. Si tratta di deduzioni articolate su una selezione parziale, e per giunta "sintetica", di numerosissime conversazioni oggetto di intercettazione e di brani delle dichiarazioni dei collaboranti, effettuata ovviamente in funzione delle esigenze difensive, senza la produzione integrale dei verbali, in modo da non consentire una valutazione complessiva dei contenuti collaborativi, eventualmente idonea a superare apparenti contraddizioni e incertezze.

4. La questione dell’introduzione "a sorpresa", nel materiale probatorio utilizzato per la decisione, delle risultanze istruttorie indicate nell’ordinanza cautelare a carico della I., è posta dalla difesa senza il necessario chiarimento se le fonti "dirette" di prova considerate in quel provvedimento, siano diverse dalle dichiarazioni del Mi. e dell’ E. analizzate nell’ordinanza impugnata, che è poi quello che veramente conta, dal momento che dette dichiarazioni sono comunque autonomamente valutate dai giudici del rinvio, indipendentemente da qualunque riferimento mediato.

5. La deduzione relativa alla implausibilità dei contributi dichiarativi del Mi. in quanto riferibili, per la parte concernente le due ricorrenti, ad epoca successiva all’inizio del suo stato di detenzione, non corrisponde ad alcuna massima di esperienza codificata nella prassi giudiziaria, nè desumibile dalla logica comune. Non necessariamente, infatti, la detenzione interrompe il flusso di informazioni sulle vicende associative a favore dell’affiliato detenuto.

6. Sulla contestazione dell’attendibilità dell’ E. si è già detto a proposito della questione della nuova memoria depositata dalla difesa in sede di rinvio; si può aggiungere che la deduzione difensiva secondo cui dalle dichiarazioni dell’ E. si ricaverebbe che lo stesso avrebbe escluso qualunque intromissione dei M. nel settore ittico è contraddetta dal riconoscimento che il collaborante ne aveva in realtà fatto cenno, sia pure precisando che detti interessi sarebbero stati coltivati dai M. per un arco di tempo limitato, con l’ingresso nella società "Fratelli Mare";

7 nulla esclude la sovrapponibilità di rapporti criminali a rapporti commerciali e la riferibilità delle vicende usurarie ad entrambi i contesti, ne fossero o meno pienamente consapevoli le persone offese;

8. la questione del progressivo 6179 appare del tutto marginale; in ogni caso le deduzioni difensive segnalano non il contrasto delle valutazioni del tribunale con dati processuali di obiettiva evidenza, ma piuttosto il contrasto tra le motivazioni del provvedimento impugnato e quelle del gip. Ma quel che conta è che il percorso argomentativo dei giudici del riesame sia anche al riguardo intrinsecamente logico e coerente;

9. In generale, tutte le altre deduzioni difensive corrispondono in sostanza ad alternative valutazioni di merito delle risultanze istruttorie secondo profili di analisi che appaiono peraltro non del tutto coerenti con i limiti delle valutazioni proprie dell’incidente cautelare. Nella prospettiva della gravità indiziaria, che corrisponde soltanto ad un elevato grado di probabilità della colpevolezza dell’indagato, non richiedendosi la prova piena della responsabilità penale, possono essere disattesi, infatti, soltanto gli elementi istruttori che appaiono fin dall’origine inevitabilmente destinati ad un negativo scrutinio di merito nel futuro dibattimento, mentre le deduzioni difensive, in un certa misura proprio per la loro estrema minuziosità, ma soprattutto perchè non colgono clamorosi aspetti di falsità nelle dichiarazioni dei collaboratori, nè sottolineano l’aperto e decisivo contrasto di altre risultanze istruttorie con l’ipotesi accusatoria, rivelano al contrario la necessita di un conveniente approfondimento dibattimentale dei vari temi di prova.

Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso va pertanto rigettato, con le conseguenti statuizioni sulle spese. Il cancelliere dovrà provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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