Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 20-04-2011) 22-07-2011, n. 29433

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

C.D., tramite il difensore ricorre per Cassazione ex art. 311 c.p.p. avverso la ordinanza 9.11.2010 con la quale il Tribunale del riesame di Milano ha confermato la ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere per il seguente reato:

"…di cui all’art. 416 c.p. (perchè si associavano tra loro dando vita ad un sodalizio criminale stabile nel tempo (agendo ininterrottamente almeno dal 2007 e con condotta attuale), dedito alla fraudolenta acquisizione di assegni bancari in assenza di copertura ed alla successiva commissione di un numero indeterminato di delitti di truffa in danno dei soggetti prenditori finali degli assegni. In particolare aprivano per mezzo di persone fortemente indigenti, un elevato numero di conti correnti presso diversi istituti di credito dell’area milanese, versando modeste cifre allo scopo di ottenere dalle stesse banche carnet di assegni "puliti" ovvero non provenienti dal mercato del riciclaggio e quindi non segnalati presso le banche dati delle FF.PP. e del circuito bancario, per poterli poi utilizzare, in parte presentandoli in pagamento di merci ed in parte mettendoli a disposizione di altri soggetti consapevoli della loro illecita provenienza, che li negoziavano per proprio conto con la conseguente consumazione di truffe in danno di terzi (delitti di truffa per i quali si procede separatamente ed analiticamente indicate nella parte conclusiva della presente richiesta con la seguente ripartizione di ruoli all’interno dell’associazione:

P.S., in qualità di promotore, organizzatore e finanziatore di tutte le operazioni;

P.P. in qualità di compartecipe e persona di fiducia del padre nonchè con compiti di collegamento fra il padre e gli altri consociati.

C.D. e R.A. in qualità di compartecipi incaricati di reclutare le persone poi utilizzate per l’apertura dei conti correnti e di seguire le relative operazioni…..

In (OMISSIS) ed altrove dal (OMISSIS) ed attualmente in essere….

C. con la recidiva semplice….".

La difesa dell’imputato richiede l’annullamento del provvedimento impugnato deducendo:

1) erronea applicazione dell’art. 416 c.p. ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), perchè mancherebbe la prova della esistenza di una "accordo criminoso" tra il ricorrente e gli altri coindagati, per la commissione di un indeterminato numero di truffe consistenti nella acquisizione di libretti di assegni aperti su conti correnti bancari intestati a persone non abbienti, con loro successiva spendita presso soggetti terzi. Rileva a tal proposito la difesa che i conti correnti venivano aperti da persone realmente esistenti, che le somme, seppur esigue;erano comunque sufficienti ad ottenere il legittimo rilascio dei libretti di assegni, e che manca la prova della commissione di truffe nei confronti dei prenditori finali dei titoli di credito che per quanto qui di interesse, sono stati regolarmente pagati.

2) vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) ed inosservanza dell’art. 273 c.p.p. e art. 110 c.p. ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) e c), perchè l’accusa è formulata attraverso "una forzatura del dato probatorio" ed un’ errata ricostruzione della fattispecie concreta. In particolare la difesa sostiene che la organizzazione riferita alla figura di vertice del P. si suddivideva in distinti canali uno dei quali era rappresentato dal C. (odierno ricorrente) e dal RU. del tutto autonoma e non collegata con altre articolazioni con le quali il ricorrente non ha avuto contatti. La difesa lamenta inoltre che la ricostruzione della fattispecie concreta avrebbe dovuto portare ad una accusa di concorso in reato di truffa continuata e che il Tribunale del riesame non avrebbe preso in considerazione tale aspetto che era stato dedotto con il gravame 3) violazione ed erronea applicazione dell’art. 274 c.p.p., ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) e vizio di motivazione. La difesa lamenta la carenza dell’elemento della pericolosità sociale di cui all’art. 274 c.p.p., lett. e), sostenendo che questa non può essere desunta esclusivamente dal solo fatto – reato contestato, ma deve essere ricollegata ad elementi diversi che complessivamente considerati siano indicativi di un’inclinazione a delinquere dell’indagato. Lamenta infine come la motivazione dell’ordinanza impugnata sia carente di motivazione in riferimento alla inadeguatezza di una misura cautelare meno afflittiva quale quella degli arresti domiciliari ~ II ricorso è infondato.

Il tribunale del riesame, analizzando i motivi di doglianza, sostanzialmente riproposti con l’odierno ricorso in questa sede, li ha respinti con motivazione da ritenersi adeguata per tutti i punti in discussione. In particolare, con riferimento al primo punto, dalla motivazione del provvedimento impugnato si rileva come il Tribunale del riesame abbia indicato specifiche circostanze in base alle quali ha ritenuto, con motivazione adeguata e non sindacabile nel merito, provata l’adesione dell’imputato alla organizzazione criminosa, richiamando specifiche conversazioni telefoniche (fra le altre: nn. 342, 3374, 598, 2165, 3374, 3416, 432, 918, 978, 2126, 2220) intercorse tra l’imputato e il P.. La motivazione relativa alla valutazione del materiale probatorio acquisito non appare manifestamente illogica, nè tantomeno contraddittoria, nè è indicativa di una erronea applicazione dell’art. 416 c.p., peraltro neppure esplicitata dalla difesa, che non ha formulato specifiche argomentazioni, limitandosi a muovere censure fondate su una diversa e soggettiva valutazione del materiale probatorio.

Con riferimento al secondo motivo di ricorso, va osservato che la difesa propone una ricostruzione alternativa della vicenda, introducendo, in tal modo, un’inammissibile valutazioni di merito circa la portata e il contenuto del materiale probatorio. Con riferimento al terzo motivo va osservato che la analisi, in funzione della verifica dei presupposti dell’art. 274 c.p.p., è stata svolta dal Tribunale in modo accurato e completo. Il Tribunale del riesame ha preso in considerazione la intensità episodica dell’attività illecita nella sua manifestazione, la sua durata, la persistenza dell’attività illecita da parte dei partecipi della associazione pur nella consapevolezza della esistenza di indagini penali in corso nei loro confronti, il danno cagionato (ascendente a diversi milioni di euro) ad oggi, tra l’altro, non ancora pienamente determinabile.

Il giudizio di pericolosità svolto ed illustrato dal tribunale del riesame è corretto e la motivazione è adeguata. L’art. 274 c.p.p., lett. c), dispone che la misura cautelare personale possa essere disposta quando per le specifiche modalità del fatto e dalla personalità dello imputato si possa inferire con un giudizio prognostico la esistenza di un concreto pericolo di reiterazione della condotta illecita. Tale elemento di valutazione può essere desunto tanto dalle specifiche modalità del fatto e dalla personalità del prevenuto desunta da atti concreti o dai precedenti penali. Il Tribunale del riesame ha illustrato tutti i suddetti elementi rilevando e descrivendo le modalità del fatto che per la sua dimensione e per gli effetti dannosi in via di propagazione appare grave, nonchè scrutando il comportamento dello imputato sia in riferimento ai suoi precedenti penali, sia in relazione al suo concreto agire che ben può essere riguardato anche in riferimento al delitto oggetto di accusa. Il ruolo non modesto all’interno della associazione e la insistenza della condotta illecita anche nella consapevolezza della esistenza di indagini, costituiscono elementi di valutazione adeguati, sufficienti per ritenere la motivazione esente dai vizi prospettati.

Parimenti, deve rilevarsi che il Tribunale del riesame ha specificatamente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto che non fosse concedibile una misura cautelare meno gravosa di quella carceraria, individuandole nel fatto che le modalità di commissione dei reati e la natura dell’illecito, a fronte di un concreto rischio di reiterazione della condotta criminosa, sono realizzabili dall’imputato, anche in regime di arresti domiciliari.

Per le suddette ragioni il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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